Si chiamano development bond e potrebbero essere lo strumento finanziario che permetterà alle banche di smobilizzare dai loro portafogli i crediti deteriorati corporate (sofferenze, incagli, crediti ristrutturati e scaduti), cioé quella quota di crediti dubbi che è più difficile da cedere, proprio perché si tratta di finanziamenti a imprese non finanziarie e non attive nel settore del real estate, che per essere recuperati dovrebbero comportare un processo di ristrutturazione aziendale ad hoc. Lo scrive MF-Milano Finanza in edicola dallo scorso sabato 30 maggio, precisando che si tratta di un progetto portato all’attenzione del Ministero dello Sviluppo Economico della task force del ministero formata da tecnici di supporto al team di Stefano Firpo, direttore generale per la politica industriale, la competitività e le piccole e medie imprese, incaricato di delineare la nuova politica industriale per il rilancio dell’Italia.
Gran parte delle compravendite di sofferenze non performing loan (Npl), infatti, è stata condotta su crediti chirografari, cioè tipicamente prestiti al consumo, in questo caso valutati tra l’1 e il 5% del loro valore nominale, oppure su mutui ipotecari residenziali o commerciali, garantiti cioè da un immobile e che per questo spuntano valutazioni più elevate, comprese in genere tra il 30 e il 70% del valore nominale, a seconda dell’anzianità e della qualità del portafoglio e delle possibilità quindi di recupero dell’asset e del credito in tempi più o meno brevi.
Proprio il fatto che la stragrande maggioranza dei crediti in sofferenza in portafoglio alle banche spagnole fossero di tipo immobiliare ha permesso non a caso al governo spagnolo di riuscire a strutturare con successo la propria bad bank, con gli istituti di credito che si sono tutti liberati dei propri Npl, con la conseguenza di liberare patrimonio di vigilanza per riprendere a impiegare liquidità sulle imprese.
Il problema, però, è che, a differenza di quanto accaduto in Spagna, dove la veloce crescita economica precedente lo scoppio della crisi finanziaria era stata trainata dal settore real state, in Italia i crediti immobiliari rappresentano soltanto una quota minoritaria del complesso dei crediti deteriorati nei portafogli delle banche e quindi l’approccio da adottare deve essere diverso.
Come illustrato nel Bollettino Statistico di Banca d’Italia, l’esposizione finanziaria delle banche italiane nei confronti delle imprese è di circa 800 miliardi di euro lordi. Di questo totale, circa 230 miliardi sono crediti deteriorati corporate. La stima che circola tra addetti ai lavori è che del totale dei 230 miliardi, circa un terzo e quindi 70-80 miliardi, sia gravemente compromesso. Per contro, gli altri due terzi di quei crediti, siano essi sofferenze o altri deteriorati, hanno ancora un valore sostanziale, perché se le aziende debitrici fossero dotate di adeguata liquidità per rilanciare gli investimenti, sarebbero in condizione di consentire il recupero di gran parte del credito.
Esperienza insegna che un’azienda-tipo con un’esposizione debitoria di 100 nei confronti delle banche possa uscire dal tunnel se si vede stralciare una quota di quei debiti e contemporaneamente immettere nuova finanza per almeno un 20% da destinare a investimenti necessari al rilancio strategico del business. Stiamo quindi parlando del 20% di due terzi di 230 miliardi, cioè di 30-40 miliardi di euro, per far ripartire l’intera macchina produttiva che si è in criccata. Non sono certo pochi soldi, ma non è nemmeno una cifra impossibile da trovare.
In sostanza, i development bond sarebbero titoli emessi dalle singole aziende per un valore nominale equivalente alla loro esposizione complessiva verso il sistema bancario. Questi bond sarebbero sottoscritti per una quota dalle banche finanziatrici dell’impresa in questione, ciascuna in proporzione alla propria esposizione lorda vero l’azienda e indipendentemente dal valore di bilancio assegnato al loro credito, mentre la restante quota sarebbe sottoscritta da nuovi investitori, che immetterebbero quindi mezzi freschi in azienda. Questi titoli dovrebbero poi essere quotati su un mercato regolamentato, che potrebbe essere l’ExtraMot Pro di Borsa Italiana, nato per negoziare i titoli di debito delle pmi non quotate e destinato solo agli investitori professionali.
Della medesima cifra di 30-40 miliardi ha parlato lo scorso 27 maggio a MF NPL (l’inserto quidicinale di MF-Milano Finanza dedicato ai non performing loan) Roberto Crapelli, amministratore delegato di Roland Berger in Italia: “La soluzione chiave al problema (dei crediti deteriorati sui libri delle banche, ndr) non è la bad bank da sola, perché il problema dei crediti deteriorati è la loro scarsa o insistente negoziabilità e quindi la difficoltà a veicolare risorse fresche sulle aziende appesantite da questi debiti. È sostanziale dunque lo sviluppo di nuovi veicoli di investimento e nuovi strumenti finanziari (conduit) con focus sullo sviluppo tecnologico delle pmi italiane e di specifiche filiere industriali, che potrebbero nascere a seguito di nuovi incentivi che il governo ha allo studio».