Boom di raccolta per il private equity italiano, che nel primo semestre 2015 ha attirato risorse per 1.328 miliardi di euro contro soli 434 milioni del primo semestre 2014 (e 1.348 miliardi in tutto il 2014) con tre fondi (Clessidra, Charme e 21 Investimenti, come risulta dagli articoli di stampa dei mesi scorsi) che hanno convogliato il 90% degli impegni. E’ il dato più eclatante tra quelli presentati ieri da Aifi relativi al primo semestre del settore elaborati da PwC (scarica qui il comunicato stampa).
D’altra parte, ha sottolineato il presidente di Aifi, Innocenzo Cipolletta, il boom della raccolta non stupisce, se si pensa al mix di «ripresa economica in Italia» e di «mancanza di rendimenti da altri tipi di asset».
In Italia torna prevalente la raccolta domestica con 760 milioni (57,2% del totale) rispetto ai 568 milioni raccolti dall’estero (42,8%). Gli investitori individuali e i family office sono stati la principale fonte con il 30% del totale; seguono le banche, con il 23,1% e assicurazioni e fondi di fondi rispettivamente con il 14,3% e il 14,1%. Ancora scarsamente presente il contributo di fondi pensione e casse di previdenza.
Continua a essere difficile la raccolta per il venture capital, che nel primo semestre è stata quasi nulla, e per il private debt, il cui obiettivo di 2,5 miliardi di euro è ancora lontano: i primo semestre registra un dato sul fundraising pari a solo circa 40 milioni di euro. Le iniziative attualmente in fase di avvio sono circa venti.
E sempre sul fronte della raccolta, va sottolineato che gli investitori esteri anche quest’anno sono ben presenti, con quasi 600 milioni investiti in fondi italiani nel semestre, dopo aver già puntato 917 milioni di euro sul nostro Paese l’anno scorso. «Quest’ultimo dato», ha commentato ieri il direttore di Aifi, Anna Gervasoni, «lascia presupporre che a fine anno dovremmo arrivare a quasi a 1 miliardo di capitali provenienti dall’estero», in linea con il 2014, anno in cui, però, aveva influito la raccolta del Fondo strategico italiano, che aveva convogliato capitali dai fondi sovrani.
I dati, elaborati per Aifi da Pwc, indicano anche che per i fondi adesso è più facile liquidare le posizioni: i disinvestimenti, infatti, sono stati 99 (da 68 nel primo semestre 2014) per un valore di 1,914 miliardi (contro 886 milioni). Questo, ha commentato Francesco Giordano di Pwc, «va interpretato come un miglioramento dello stato di salute dell’economia, e quindi delle partecipate, che hanno raggiunto valutazioni tali da soddisfare le aspettative di rendimento dei fondi».
Nella distribuzione dei disinvestimenti per tipologia, nel primo semestre ha prevalso la vendita ad altri investitori finanziari, sia per ammontare (1.112 milioni, +346,8% rispetto ai primi sei mesi del 2014) sia per numero (37 disinvestimenti, +146,7%), seguita dal trade sale con 31 operazioni (31,3% del numero totale).
Sul fronte degli investimenti, infine, è aumentato il numero delle transazioni (168 da 139), mentre è in leggero calo il valore (1,787 miliardi da 1,89 miliardi). Tuttavia il secondo semestre si prospetta particolarmente attivo, con affari importanti in via di definizione.
Più nel dettaglio, l’ammontare delle operazioni di buy out nel semestre è stato pari al 63,9% del totale per 1,142 miliardi di euro in linea rispetto allo stesso periodo del 2014 (era 1,152 miliardi pari al 61% del totale). Segue il replacement con 359 milioni di euro pari al 20,1% del totale (ma questo dato è un po’ falsato perché comprende anche lo spin off delle attività di private equity di Intesa Sanpaolo). Crescono gli investimenti nel segmento seed/startup, passati da 17 milioni a 20 milioni di euro, mentre crollano gli investimenti di capitale per lo sviluppo che segnano un –62,2% arrivando a 266 milioni dai 703 milioni del primo semestre 2014. Scompare infine il turnaround.