Le 25 attuali partecipate dirette del Fondo italiano d’Investimento (si veda altro articolo di BeBeez) a fine 2015 avevano raggiunto un fatturato complessivo di oltre 2,1 miliardi di euro (in crescita del 12% all’anno nel biennio 2013-2015), per un valore d’impresa che potrebbe aggirarsi su 1,3 miliardi, considerando un multiplo medio di 7 volte l’ebitda di quell’anno per ciascuna partecipata (in crescita del 24% all’anno nel biennio 2013-2015). In media, poi, il margine di ebitda è del 10,7% e quello di utile del 2,2% con un debito finanziario netto pari a circa 3 volte l’ebitda. Numeri, quindi, che caratterizzano una società finanziariamente in salute, anche se non particolarmente brillante sul fronte della redditività.
I calcoli sono di Leanus, che per MF Milano Finanza in edicola dallo scorso sabato 4 marzo ha condotto un’analisi sul portafoglio FII, per dare un’idea del tipo di asset che potrà finire nei portafogli dei Piani individuali di risparmio (Pir), almeno per la quota dedicata alle pmi non quotate, vera ragione per la quale il governo ha studiato gli incnetivi fiscali dedicati a questo nuovo strumento di investimento.
Il rendiconto semestrale del FII a fine giugno 2016 indicava 25 aziende partecipate, al netto del fallimento di Mape nel 2014 e della partecipazione in IMT in amministrazione straordinaria dal 2013 e al netto degli otto disinvestimenti (Farmol, Eco Eridania, Arioli, Angelantoni Test Technologies, Megadyne, Comecer, Marsilli e Caronte&Tourist).
I dati mostrati in tabella mostrano comunque profili molto diversi dal punto di vista dei principali dati contabili e talvolta in controtendenza rispetto ai criteri tradizionali di selezione del private equity. Basti pensare che solo 9 imprese sul totale di 33 nelle quali il FII ha investito registravano un ebitda superiore al 10% al momento dell’investimento e che solo il 50% mostrava un bilancio in utile. Ben 4 imprese mostravano un cash flow negativo e salvo alcune eccezione la maggior parte delle imprese mostrava un ciclo del circolante (crediti clienti più rimanenze meno debiti fornitori) in media pari a 208 giorni, valore in taluni casi ammissibile ma spesso segnale di una gestione inefficiente del magazzino o della difficoltà di incassare i proprio crediti.
A fine 2015 sono ancora nove le società con un margine di ebitda superiore al 10%. Di queste, 6 hanno un margine superiore al 16%, con Truestar Group che addirittura ha registrato un margine di oltre il 44% e con La Patria e Turbocoating che si sono invece attestate rispettivamente a oltre il 25% e oltre il 23%. Sia Truestar sia La Patria registravano margini molto buoni (oltre il 39% e oltre il 25%) anche al momento dell’investimento, rispettivamente nel 2011 e nel 2012, con Turbocoating che invece era nettamente più indietro con un margine di circa l’11%.
Truestar, però, a fine 2015 era stata svalutata in via prudenziale dal FII. Truestar che opera nel settore dell’avvolgimento bagagli all’interno degli aeroporti è partecipata dal 2013 dal FII per una quota del 24,90% , che aveva sottoscritto anche un finanziamento soci da 3 milioni parzialmente convertibile. Da allora la partecipazione è stata svalutata per 7 milioni di cui 5,3 milioni nel 2015 e un altro milione nel primo semestre 2016, per un valore di carico, quindi, di 3,2 milioni, oltre al finanziamento di 3 milioni. E questo in considerazione delle perdite consolidate e dei ritardi nello sviluppo del business plan.
Turbocoating e altre quattro partecipate (Antares Vision, Surgital, Ligabue e Dba group) vantano poi una posizione finanziaria netta positiva. In particolare Turbocoating, specializzata nell’applicazione di tecnologie di deposizione a spruzzo termico di rivestimenti per i settori dell’energia e del biomedicale, a fine 2015 aveva cassa per 8,7 milioni. La società è partecipata dal FII per il 15,25% del capitale sociale (per un investimento di 7,5 milioni nel 2013) in coinvestimento con Winch Italia e Winch Italy Holdings 2. che hanno investito ulteriori 10 milioni. FII ha anche sottoscritto un prestito obbligazionario convertibile di 2,5 milioni.
Unico margine negativo tra le partecipate in portafoglio è quello di Zeis Exclesa, che a fine 2015 aveva registrato un ebitda negativo di 5 milioni a fronte di un fatturato di 66 milioni e di un debito finanziario netto di 17,5 milioni. Non a caso il rendiconto di fine 2015 del FII indicava una svalutazione di 1,5 milioni di euro per la partecipazione del 19,99% acquisita nel 2012, per un valore di libro portato quindi a 800 mila euro, oltre a 9,4milioni di euro del prestito obbligazionario convertibile Pik (originariamente di 8 milioni). Zeis Excelsa è società capogruppo dell’omonimo gruppo che rappresenta uno dei principali operatori italiani nel settore della produzione e della distribuzione di calzature di media e alta gamma, sia con brand di proprietà, con i marchi Bikkembergs, Docksteps, Cult e Virtus Palestre, sia con marchi commercializzati su licenza, tra cui Merrell, Samsonite Footwear, ed altri marchi minori. Zeis Excelsa ha comunque da tempo intrapreso un percorso di ristrutturazione aziendale, nell’ambito del quale nel luglio 2015 ha venduto il 51% del marchio Bikkembergs alla società cinese Canudilo, quotata a Shenzen, per circa 41 milioni.
Da segnalare infine l’ottima performance in termini di utili su ricavi ottenuta a fine 2015 da Mesgo, oltre il 15%. Mesgo, uno dei più grandi produttori di mescole in gomme naturali e sintetiche in Europa, è partecipata dal 2013 dal FII con una quota del 32% sottoscritta in aumento di capitale per 8 milioni e ha chiuso il 2015 con poco meno di 50 milioni di euro di ricavi, un ebitda oltre il 16% e un debito finanziario netto di soli 10 milioni.