Melegatti, la società veronese che 123 anni fa ha inventato il pandoro, è in profonda crisi. Martedì 3 ottobre tutti i lavoratori dell’impianto produttivo di San Giovanni Lupatolo (Verona) hanno dichiarato sciopero e hanno manifestato davanti al Municipio, mentre la società sta cercando un cavaliere bianco che l’aiuti a risollevarsi. Secondo
Secondo quanto riferisce oggi MF Milano Finanza, infatti, la società ha chiesto alle banche finanziatrici (Banco Bpm, Bnl, Mps e Unicredit) di affiancarla nella ricerca e già sta circolando tra gli operatori specializzati in ristrutturazioni, che in Italia sono molto pochi.
Nel settore sono operativi Oxy Capital in accoppiata con Attestor Capital, Europa Investimenti in accoppiata con Avenue Capital, il fondo Idea Corporate Credit Recovery gestito da Idea Capital Partners sgr e finanziato da Hig e il fondo Pillarstone Italy finanziato da Kkr.
I tempi sono molto stretti. Si parla di 15 giorni di vita. La produzione è in effetti a grande rischio, se è vero, come hanno dichiarato i sindacati al Corriere del Veneto, che “le problematiche economiche hanno creato molti disagi, non consentono l’approvvigionamento necessario delle materie prime e degli imballaggi del prodotto, tanto che il processo di produzione viene avviato con una programmazione di giorno in giorno. Le bollette non venivano pagate e così il gas è stato staccato. Il personale dipendente non ha più la certezza di ricevere il proprio stipendio e a oggi l’azienda non dà garanzie in merito”. Di fatto ai 70 dipendenti a tempo indeterminato, cui si affiancano circa 200 stagionali, non hanno ancora ricevuto lo stipendio di agosto e, probabilmente, non vedranno nemmeno quello di settembre.
Negli ultimi tempi si era parlato dell’ingresso nel capitale di Melegatti di un possibile nuovo investitore, un imprenditore non del settore, ma le trattative che erano in corso non sono andate a buon fine. L’obiettivo è quello di riequilibrare in brevissimo tempo, con l’iniezione di nuova finanza, la situazione finanziaria gravata da un debito importante, soprattutto dopo l’investimento di 15 milioni di euro per l’apertura lo scorso febbraio del nuovo stabilimento di San Martino Buon Albergo, che si sviluppa su un’area di 21mila metri quadrati e che è dedicato esclusivamente alla produzione di croissant: era prevista la produzione di 200 milioni pezzi all’anno, con una media di 35mila croissant all’ora, circa 840mila al giorno. Lo stabilimento era stato studiato per dare occupazione a 30 lavoratori, con una stima fino a 60 addetti mentre sul mercato girava la voce che per dare maggiore sbocco commerciale ai prodotti fosse allo studio una partnership con Ferrero , accordo di cui però non si è più parlato (si veda La Cronaca di Verona e L’Arena).
L’investimento di 15 milioni è stato condotto a debito, si dice attingendo alle linee di credito a breve già in essere, ed è stato il motivo del tracollo, vista la già compromessa situazione finanziaria. La società è quindi destinata a trovare un accordo per la ristrutturazione del debito con le banche sulla base dell’art. 182-bis della Legge fallimentare, condizionato all’iniezione di denaro fresco da parte di un nuovo investitore, ma se questa strada non fosse percorribile non resterebbe che la liquidazione.
La società aveva chiuso il 2015 con 55,1 milioni di euro di ricavi consolidati (da 57,4 milioni nel 2014), 2,17 milioni di ebitda (da 1,65 milioni) e una perdita netta di 188 mila euro (da -379 mila), il tutto a fronte di un debito finanziario netto di 15,5 milioni (da 16 milioni). Numeri, comunque, che erano anche in netto miglioramento rispetto all’anno nero che era stato il 2012, quando l’indebitamento aveva toccato i 22 milioni e la perdita gli 1,7 milioni, a fronte di 59,2 milioni di ricavi e 801 mila euro di ebitda (si veda qui l’analisi di Leanus, dopo essersi registrati gratuitamente). Al 29 settembre scorso il bilancio 2016 non era ancora stato approvato, ma è evidente che la società non è in grado di ripagare in tempi brevi quei 15 milioni.
La proprietà del gruppo è da anni nelle mani delle famiglie Turco e Ronca, con i Turco che nel 2007 hanno preso il controllo, ma con litigi interni che vanno avanti da anni. La società è guidata dal presidente e amministratore delegato Emanuela Perazzoli, parte della famiglia Turco.