Bain Capital Credit è in trattative per ristrutturare l’intero debito di Trevi Finanziaria Industriale spa.Lo ha comunicato ieri lo stesso gruppo quotato a Piazza Affari e specializzato nell’ingegneria del sottosuolo e nel settore delle perforazioni, confermando le indiscrezioni di Reuters , che parla di un’operazione di salvataggio da 900 milioni di euro.
Nel dettaglio, Trevi, che è partecipata al 16,85% da Cdp Equity e controllata dalla famiglia Trevisani con il 32,73%, ha precisato che “nel contesto delle iniziative volte alla definizione di un’operazione di rafforzamento patrimoniale già comunicate al mercato, mentre proseguono le interlocuzioni con il ceto creditorio, anche ai fini del rilascio dell’accordo di standstill e della definizione dalla manovra finanziaria, la società sta proseguendo nelle negoziazioni con Bain Capital Credit per una possibile operazione avente a oggetto l’indebitamento complessivo del Gruppo Trevi. Ad oggi, tuttavia, non è stato assunto alcun impegno, neppure di esclusiva”.
Che i fondi di private equity stessero studiando il dossier era cosa nota dallo scorso inverno, dopo che il gruppo lo scorso novembre aveva giudicato necessario un rafforzamento patrimoniale nell’ambito di un piano di ristrutturazione che andasse a riequilibrare la situazione finanziaria e che sarebbe stato implementato dal chief restructuring officer Sergio Iasi, nominato poco prima di Natale (si veda qui altro articolo di BeBeez).
Allora tra i soggetti potenzialmente interessati a supportare Trevi nel percorso di ristrutturazione era emerso il nome del fondo QuattroR, che si diceva avesse dato mandato a Leonardo & Co-Houlihan Lokey per valutare un possibile intervento in fase di aumento di capitale di Trevi. Quest’ultima a propria volta ha nominato come advisor per la ristrutturazione Vitale & Co e lo studio legale Lombardi Segni e Associati. Quanto alle banche creditrici (in particolare UniCredit, Monte dei Paschi, Banco Bpm e Bnp Paribas) hanno nominato Rothschild e lo studio legale Molinari e Associati. Infine i consulenti di PwC starebbero effettuando una due diligence per verificare le effettive esigenze di cassa.
Intanto a fine aprile Trevi aveva comunicato il rinvio dell’approvazione del rendiconto intermedio di gestione al 30 settembre 2017 e della relazione finanziaria annuale al 31 dicembre 2017, in precedenza prevista per il 30 aprile 2018 (scarica qui il comunicato stampa), spiegando che “il differimento si è reso necessario sia per proseguire le interlocuzioni con il ceto creditorio finalizzate alla ristrutturazione dell’indebitamento e alla stipulazione dell’accordo di standstill (…) sia per definire l’operazione di rafforzamento patrimoniale, anticipata nel comunicato stampa dello scorso 18 dicembre 2017. In relazione a tale secondo aspetto, la società comunica che sono in corso interlocuzioni con alcuni investitori istituzionali che hanno fatto pervenire alla società offerte finalizzate a sostenere detta operazione di rafforzamento patrimoniale che la società valuterà nel corso dei prossimi giorni e sottoporrà al vaglio del ceto bancario. Alla luce delle sopra menzionate attività, la Società ritiene che la convocazione del Consiglio di amministrazione per la valutazione degli esiti delle negoziazioni in corso con il ceto creditorio e delle interlocuzioni con i potenziali investitori, nonché del loro impatto sull’approvazione della suddette relazioni finanziarie, possa intervenire entro la fine del mese di maggio 2018”.
I ricavi consolidati erano scesi nel primo semestre 2018 a 460 milioni di euro (dai 519,3 milioni del primo semestre 2016), soprattutto a causa di un calo di 49,3 milioni nel settore oil&gas, che risente del perdurante trend negativo del settore a livello mondiale, che influisce sull’acquisizione di nuovi ordini, nonché del mancato avanzamento a seguito della cancellazione della commessa di YPFB, per la fornitura di tre impianti di perforazione in Bolivia.
L’ebitda è stato negativo per 18,8 milioni, in crollo di 81,2 milioni da un ebitda positivo per 62,3 milioni nel primo semestre 2016, con la conseguenza di registrare una perdita netta di ben 118,3 milioni (da una perdita di 23,6 milioni nel semestre 2016). Un risultato dovuto anche dalla svalutazione delle imposte differite attive (derivanti da perdite fiscali e da variazioni temporanee) per circa 12 milioni a a seguito delle valutazioni di recuperabilità effettuate al 30 giugno 2017.
Il tutto accade a fronte di un indebitamento finanziario netto di ben 565,9 milioni (dai 440,9 milioni di fine 2016), con il peggioramento riconducibile prevalentemente al settore oil&gas e al minore volume di cessioni pro-soluto effettuate rispetto a fine 2016. Già al 30 giugno la maggior parte dei debiti verso banche era stata riclassificata a breve termine, proprio perchè il gruppo aveva proposto agli istituti di credito la sottoscrizione di un accordo di standstill, per consentire di gestione il processo di riorganizzazione del settore oil&gas.
Le dimensioni dell’aumento di capitale dovrebbero essere tra i 200 e i 300 milioni di euro e si dice che la famiglia Trevisani sia pensando di cedere la partecipazione in Cantieri del Pardo, proprio per fare cassa per sottoscrivere l’aumento.
Intanto le quotazioni del bond da 50 milioni quotato all’ExtraMot Pro ieri sono rimaste ferme attorno a quota 84 centesimi, dove sono da fine febbraio, dopo aver toccato un minimo attorno a 64 lo scorso gennaio. Quanto al titolo azionario, ieri in Borsa ha chiuso invariato a quota 0,4085 euro, pari a una capitalizzazione di soli 67 milioni di euro, comunque ben al di sopra dei minimi di dicembre a quota 0,26 euro.