Il gruppo nautico Ferretti fa rotta verso Piazza Affari entro fine anno. Lo riferisce MF Milano Finanza, precisando che l’azionista cinese Weichai sta definendo la squadra di banche che gestiranno il processo di collocamento in borsa. In particolare, Barclays, Bnp Paribas e Ubs sono già stati individuati come i global coordinator, mentre si parla di Banca Imi, Equita e Mediobanca come possibili bookrunner. Mentre gli advisor legali sono gli studi Dentons e King & Wood Mallesons.
E’ ancora tutto da stabilire la struttura dell’offerta, cioé se sarà soltanto un’offerta pubblica di vendita oppure se prevederà anche una quota di aumento di capitale, se sarà un’offerta rivolta solo a investitori istituzionali oppure anche a retail e quanto flottante avrà, sebbene le indicazioni siano almeno il 30-35%.
Per Ferretti sarebbe un gran ritorno. Il gruppo era stato delistato da Piazza Affari nel gennaio 2003 dal private equity Permira. L’opa era stata lanciata a fine estate 2002 a 4,35 euro per azione per un totale di 674,3 milioni di euro, pari a 2,7 volte il fatturato 2011, finanziata al 50% con debito. Al termine dell’operazione a Permira faceva capo il 70%, mentre il 20% era del fondatore Norberto Ferretti e il 10% dei manager della prima linea. Successivamente nel 2006 Permira aveva ceduto a Candover il 60% del capitale del gruppo, restando con una quota del 10%.
Il gruppo era però poi arrivato sull’orlo del default a cavallo della crisi finanziaria del 2008, come del resto anche tante altre società che erano state oggetto di leveraged buyout negli anni d’oro pre-crisi e che poi non erano state in grado di reggere il peso del debito. Nel 2012 il gruppo era stato salvato da Weichai e sotto il gruppo industriale cinese ha rimborsato il debito ed tornato all’utlie nel 2016.
Guidato dall’amministratore delegato Alberto Galassi, nel 2017 il gruppo ha raggiunto un valore di produzione di 623 milioni di euro, con profitti ‘core’ in miglioramento di 11% a 59 milioni e un utile netto in rialzo di 71% a 24 milioni. Quanto alla valutazione, dipenderà dai numeri 2018, che verranno presentati il prossimo martedì 16 aprile a Milano.
Ferretti è controllata all’86,8% da Weichai e partecipata al 13,2% da Piero Ferrari, l’erede della famiglia delle note auto da corsa. In un’intervista a Il Giornale del 2015, a commento dei dati di bilancio di quell’anno, Galassi aveva ricordato che entrato nel 2012, il gruppo Weichai “ha versato 178 milioni per l’acquisizione, più 116 milioni di finanziamento, e ora 80 milioni per un aumento di capitale. Quando sono arrivati i cinesi, Ferretti era in regime di 182 bis della legge fallimentare. Loro hanno ripagato al 100% i fornitori, cosa mai vista”.
Il team di Permira che aveva delistato Ferretti nel 2003, guidato da Paolo Colonna, era lo stesso team che aveva portato il gruppo in Borsa nel giugno 2000. In un’intervista a MF Milano Finanza dell’agosto 2004 Colonna aveva ricordato: “Era dai primi anni anni ’90 che avevo messo gli occhi su Ferretti, ma i tre fratelli soci fondatori non avevano alcuna intenzione di vendere. Poi nel 1997 la situazione familiare è cambiata e il presidente e azionista di riferimento Norberto ci ha chiesto di affiancarlo per aiutarlo nello sviluppo dell’azienda sui mercati internazionali. A quel punto con il fondo Schroder venture Italian fund II, un fondo che nel 1993 aveva raccolto 105 miliardi di vecchie lire, abbiamo acquisito il 57% del capitale, in pratica le azioni dei parenti non operativi, per 4,5 milioni di euro e abbiamo stilato insieme una lista delle prime venti società al mondo che avremmo dovuto comprare per raggiungere il nostro obiettivo ‘banale’ di diventare i numeri uno al mondo”.
Colonna nell’intervista ricordava poi che nei due anni successivi Ferretti era riuscita ad acquistare ben cinque della società nella lista. Nel 1998 è stata la volta di Custom line, dei Cantieri navali dell’Adriatico (marchio Pershing) e dalla statunitense Bertram Yacht. Nel 1999 Ferretti ha acquisito la Crn di Ancona e infine nel maggio 2000 i cantieri Riva. L’acquisizione del 100% di Riva per 26 milioni di euro è avvenuta giusto a ridosso della quotazione di Ferretti nel giugno del 2000. Al momento dello sbarco a piazza Affari, che ha visto l’uscita di Schroder, la capitalizzazione di mercato della società era di 382 milioni di euro. E basta questo per far capire quanto l’operazione abbia fruttato allora a Schroder, che nel ’97 aveva investito solo 4,5 milioni di euro per il 57%. La società ha poi continuato nel suo piano di sviluppo: risale ad agosto 2001 l’acquisizione di Apreamare e al novembre 2001 l’acquisizione dei cantieri Mochi Craft di Pesaro.
E a quel punto, spiegava Colonna, “Ferretti aveva bisogno di essere ricapitalizzata per poter finanziare ulteriormente lo sviluppo sia attraverso nuove acquisizioni sia incrementando la capacità produttiva e quindi costruendo nuovi cantieri. La borsa tradizionalmente non premia le iniziative i cui risultati si vedono solo nel lungo periodo, mentre invece per un fondo di private equity sono proprio le opportunità migliori. È stato così che di nuovo nel 2002 mi sono ritrovato a entrare in Ferretti, questa volta con Permira Europe III, un fondo da 3,5 mld di euro, con all’orizzonte un piano di investimenti da 200 milioni di euro”. Nel 2006 poi Permira era pronta al disinvestimento. Dopo aver pensato alla borsa, alla fine aveva scelto di vendere a Candover, sulla base di una valorizzazione di ben 1,7 miliardi di euro, a fronte di ricavi per 770,4 milioni a fine dell’anno fiscale 2006 (agosto) e un ebitda di 118,4 milioni.
(Articolo modificato alle ore 8.30 del 12 aprile 2019 – si aggiungono informazioni sulla storia di Ferretti)