A Firenze la stagione riapre alla galleria Il ponte con la mostra dedicata alla fotografa, film-maker, pittrice e poetessa Rosa Foschi, figura dimenticata o meglio oscurata dall’artista Luca Maria Patella, suo marito, della quale avevamo dato un’anticipazione. BeBeez ha visto in anteprima l’allestimento che inaugurerà il 27 settembre, aperta per un mese.
In mostra 25 opere, scatti Polaroid fine anni Ottanta, inizio anni Novanta, oggi che in un mono digitale questo tipo di fotografia sta tornando di moda. L’allestimento è pulito, lineare, bianco assoluto come le cornici rigorose che delimitano quegli scatti dal piccolo formato così densi di colorie d elementi, una sorta di miniatura. Il formato suggerisce un elemento decorativo, ad un primo sguardo, con un gusto retro che sembra rievocare i versi di Guido Gozzano, «le buone cose di pessimo gusto» ma che all’occhio più attento appaiono come collage di influenza dada, svelando una dimensione onirica, surreale con un lato noir. La dimensione surreale non è quella emozionale, irruente di Luis Buñuel, quanto quella studiata, posata di René Magritte. I riferimenti artistici – da Dalì a Duchamp, da Beuys a Magritte, da Luca Maria Patella fino a Leonardo – che si uniscono infatti a molteplici riferimenti letterari, cinematografici e teatrali da Duchamp, a Beuys e Dalì, ad Artaud e Apollinaire che entrano nei suoi scatti con i ritratti fotografati. Foto nelle foto, dove spesso è citato anche il marito. Accanto ai volti i rimandi alla vita domestica. In alcuni casi ad un primo sguardo si coglie un’attenzione al particolare, la realizzazione di una scenografia in miniatura, un interno domestico con una venatura fané che però vira verso l’inconsueto, talvolta con un effetto disturbante, anche se di primo acchito decorativo e quasi lezioso. Pensiamo alla testa del gatto nel piattino circondato, adornato di spicchi di mandarino, una visione estetizzante che diventa così artefatta da essere inquietante. In primo piano non esce l’emozione ma l’invito al lettore di concentrarsi sul significato perché la casualità della composizione è solo apparente, come ha notato il critico Paolo Barbaro che pur sottolineando il riferimento Dada ne evidenzia il rigore nell’organizzazione e il controllo della realizzazione. Un uovo, simbolo di vita tra le tenaglie, non può leggersi credo come un fatto casuale o una mera provocazione.
Patella
Il tema, come racconta il saggio del catalogo firmato da Ilaria Bernardi, è legato allo straniamento. All’inizio del Novecento, con il termine russo otstranenie – scritto con il refuso di una sola ‘n’ anziché due – lo scrittore e critico letterario Viktor Šklovskij definì quello che, a suo avviso, avrebbe dovuto essere il compito di ogni scrittore: liberare il lettore dall’automatismo della percezione, rendendo insolito l’oggetto, di volta in volta percepito, attraverso la presentazione di lati inediti di esso. Lo straniamento non avvicina all’oggetto, alla comprensione dello stesso o al suo riconoscimento ma crea una visione. L’arte crea un punto di vista diverso, alternativo.
I tre film professionali a 35 mm inclusi nella mostra alla Galleria Il Ponte, Amour du cinéma (1969), Ma femme (1970) e Amore e Psiche (1971), nonché le polaroid realizzate tra le fine degli anni Ottanta e Novanta, spiazzano lo spettatore poiché si costituiscono dall’accostamento di elementi tra loro disomogenei, discordanti, perfino dissonanti, da dove nasce l’effetto di sorpresa, disorientamento, confusione tra sogno e realtà.
Rosa Foschi, nata nel 1943 a Urbino, si iscrive alla sezione Disegno Animato dell’Istituto d’Arte al Palazzo Ducale di Urbino e lì frequenta le lezioni tenute dal noto grafico Albe Steiner per poi diplomarsi al Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, dove vive e lavora, dopo un periodo a Milano. Dalla grafica e dal cinema assimila l’insegnamento secondo cui ogni modifica di un’immagine influisce sulla sua ricezione e sul suo significato. Lo dimostrano soprattutto i film professionali a 35 mm in disegno animato realizzati da Rosa Foschi tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta per la Corona Cinematografica, e oggi depositati presso la cineteca di Bologna.
Salvador…mundi_, 1995
La Corona Cinematografica fu fondata alla fine degli anni Quaranta da tre fratelli Gagliardo, che fino alla sua chiusura nel 1997 finanziò 3500 brevi film documentari, animazioni e cinegiornali. Durante gli anni Sessanta e Settanta, la Corona si aprì alla collaborazione con artisti visivi, tra cui Claudio Cintoli che realizzò Più, Mezzo sogno e mezzo e Primavera nascosta, e Luca Maria Patella che portò a termine film quali Screckl! Chi mi pettina? e Vado, vado!. In questo contesto, Rosa Foschi fu invitata dai Gagliardo a realizzare alcune animazioni. L’aspetto avanguardistico dei cortometraggi realizzati dall’artista per la Corona risiede nel loro essere basati sull’animazione di oggetti e di fotografie, nonché sulle tecniche del découpage e del collage animato, con pochissimo disegno, piuttosto che essere vere e proprie animazioni. Inoltre, rispetto alle sperimentazioni in 8 mm realizzate nei medesimi anni da alcuni artisti in Italia e all’estero, i suoi cortometraggi sono veri e propri film, essendo in 35 mm, e rivelano la sua grande conoscenza del medium cinematografico, delle tecniche di ripresa e delle attrezzature professionali messe a sua disposizione dalla Corona. Il primo, Un bosco magico (1967), fu da lei firmato come regista in collaborazione col marito e si tratta di un adattamento in animazione di pupazzi su scenografie fotografiche su una libera interpretazione del Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, realizzato con ritagli di stoffa, cartone, disegni animati, fotografie e oggetti di varia natura. Amour du cinéma (1969) è invece un corto sperimentale sulla storia del cinema, che permette di compiere un viaggio tra le dive del passato e della contemporaneità per delineare una genealogia di un cinema al femminile (si vedono infatti Marlene Dietrich, Mary Pickford, Greta Garbo, Charlot, Monica Vitti, Ileana Ghione, attrice di teatro e moglie del produttore Ezio Gagliardo). Per Ma femme (1970), appassionata dichiarazione d’amore di un uomo per la sua donna, l’ispirazione è la Nouvelle Vague, soprattutto i film di Godard come La donna è donna, citando Jean-Paul Belmondo e Anna Karina. L’amore di don Perlimplino con Belisa nel giardino (1971) è invece un adattamento fantastico-onirico dell’omonimo testo di Federico Garcia Lorca, mentre Amore e Psiche (1978) è ispirato alla fiaba L’asino d’oro di Apuleio, riletta in chiave femminista e “contaminata” dalle quartine del poeta persiano Omar Khayyam.
Luca Patella dis-enameled 2, 1989, Polaroid 10×10 cm
Basandosi, fin da questi cortometraggi, su una commistione tra le arti (cinema, teatro, letteratura, arte visiva), il passaggio dell’artista dal cinema alla fotografia fu naturale e conseguente. Il metodo utilizzato nell’uno e nell’altra tecnica è il medesimo; l’unica differenza è che in fotografia, e in particolare nelle polaroid esposte alla Galleria Il Ponte, l’artista introduce il concetto di still life.
A cura di Ilaria Guidantoni