Investimenti in tecnologia e partnership: sono queste le due direttrici nel quale si muoveranno i servicer attivi nel mercato degli Utp in Italia. E’ emerso nel Caffè di BeBeez “NPL e UTP, il futuro dell’industria tra aggregazioni, specializzazione e fintech.
Quali modelli saranno vincenti per competere nei prossimi anni?“, che si è svolto martedì 3 dicembre a Milano. All’evento, promosso da Credito Fondiario, hanno partecipato: Mirko Briozzo, chief business officer e vice direttore generale di Credito Fondiario; Alberto Vigorelli, amministratore delegato di Fire Group; Biagio Giacalone, Head of Department, Active Credit Portfolio Steering di Intesa Sanpaolo e Umberto Rorai, Partner Financial Advisory di Deloitte.
A proposito di partnership, come noto, Credito Fondiario quest’anno ha trattato per mesi con Banca Ifis la creazione di una piattaforma comune di gestione di crediti deteriorati (si veda altro articolo di BeBeez), fino ad abbandonare le trattative nell’ottobre scorso (si veda altro articolo di BeBeez). “Credevamo nell’operazione con Banca Ifis, tant’è che ci abbiamo investito molto tempo”, ha ammesso Briozzo. Che lascia aperta la porta a nuove partnership con altri operatori, in quanto è convinto che “le banche nel medio-lungo termine si dovranno specializzare nel loro lavoro di banche e lasciare la gestione dei crediti a chi è specializzato in questo mestiere. Non solo. L’aggregazione di portafogli porta evidentemente a un aumento delle masse gestite con conseguenti economie di scala”. Prova ne è che Credito Fondiario è in corsa per aggiudicarsi la divisione di credit management di Cerved e sembra che si stia giocando la partita contro Intrum, mentre Bain Capital e doValue avrebbero perso terreno (si veda altro articolo di BeBeez). Quando ancora si immaginava possibile l’operazione con Banca Ifis, BeBeez aveva riferito che Cerved Credit Management potesse essere un terzo tassello del quadro che si andava componendo (si veda altro articolo di BeBeez). Abbandonata la partita con Ifis, il deal su Cerved era quello più immediato sul quale concentrare gli sforzi.
E che Credito Fondiario sia convinto della strategia di consolidamento, lo dimostrano anche le precedenti operazioni con Carige e Banco Bpm. Nel dicembre 2017, infatti, ha vinto l’asta per il portafoglio da 1,2 miliardi di euro di Npl di Carige e per la piattaforma di gestione dei crediti deteriorati del gruppo bancario ligure (si veda altro articolo di BeBeez), mentre lo scorso febbraio Banco Bpm aveva invece cartolarizzato il portafoglio da 7,4 miliardi di euro di NPL del Progetto ACE (si veda altro articolo di BeBeez), primo step previsto dall’accordo siglato nel dicembre 2018 con Credito Fondiario e il fondo Elliot (si veda altro articolo di BeBeez) che vede Elliot come sottoscrittore del 95% dei titoli junior della cartolarizzazione e con Credito Fondiario che ha poi comprato il 70% della piattaforma di gestione dei crediti deteriorati di Banco Bpm e che gestirà come servicer il portafoglio acquisito da Elliott, lo stock residuo degli NPL di Banco Bpm e, nei prossimi 10 anni, l’80% dei nuovi flussi di crediti deteriorati.
Quanto a Intesa Sanpaolo proprio ieri ha siglato il closing dell’operazione sugli Utp con Prelios (si veda altro articolo di BeBeez), annunciata lo scorso luglio. L’accordo prevede come noto un contratto decennale per il servicing di Utp del segmento corporate e pmi del Gruppo Intesa Sanpaolo da parte di Prelios, con un portafoglio iniziale pari a circa 6,7 miliardi di euro, al lordo delle rettifiche di valore; e la cessione e cartolarizzazione di un portafoglio di crediti Utp del segmento corporate e pmi del Gruppo Intesa Sanpaolo pari a circa 3 miliardi di euro, al lordo delle rettifiche di valore, a un prezzo di circa 2 miliardi di euro, in linea con il valore di carico.
Giacalone ha commentato: “I regolatori hanno imposto alle banche di ridurre velocemente le loro esposizioni in crediti deteriorati. E’ un must sul quale non ci sono alternative. A quel punto era importante individuare un partner che fosse un operatore con forti competenze e che fosse in grado di industrializzare i processi di gestione per riportare in bonis il portafoglio. In particolare ci serviva un operatore che avesse forti competenze nel real estate, che rappresenta gran parte del portafoglio crediti oggetto dell’operazione”.
Anche il servicer messinese Fire pone molta enfasi sull’industrializzazione del processo di recupero crediti, “per questo Fire investito molto nel machine learning applicato all’analisi dei crediti e nella capacità di gestire le controparti”, ha spiegato Vigorelli, che ha aggiunto: “La gestione industrializzata permette alle banche di risparmiare tempo (è il servicer che segue il creditore e cerca di riportare in bonis il credito) e denaro (il calendar provisioning porta le banche a ingenti spese se non si muovono subito per recuperare gli Upt, che altrimenti finiscono classificati come sofferenze). Resta comunque essenziale l’intervento umano, che interpreta i dati per capire il problema sotteso al mancato pagamento di un credito, in modo da cercare di risolverlo”.
Rorai (Deloitte), “alla luce dei margini bassi del settore bancario legati alla dinamica dei tassi d’interesse”, ha concluso consigliando alle banche di “investire nella prevenzione dell’insorgere di crediti deteriorati con l’ottimizzazione dei processi, meccanismi per identificare i primi segnali di deterioramento e interventi veloci appena questi si concretizzano. Ciò è possibile con investimenti ingenti nella tecnologia e partnership, in quanto le banche devono specializzarsi e trovare partner adeguati per i business non core, come è appunto la gestione dei crediti deteriorati”. E nel panorama italiano c’è posto per operatori grandi e piccoli. L’importante è che siano specializzati su particolari segmenti e sappiano proporre soluzioni anche innovative per affrontare via via diverse situazioni.
Così, appunto, nonostante il settore sia teatro di aggregazioni tra servicer e piattaforme di gestione, c’è spazio per attori indipendenti di dimensioni più piccole appunto come Fire. In tutti i casi però appunto il must resta la tecnologia. “Da quando siamo partiti (con la nuova versione di Credito Fondiario, targata Tages-Elliott, ndr) abbiamo investito in tecnologia oltre 20 milioni di euro e gli investimenti in tecnologia continuano a rappresentare il 10-15% dei nostri costi operativi ogni anno”, ha concluso Brizzo.