Il 2012 è stato senza dubbio un anno complicato per il private equity in Italia, con la crisi economica che ha tenuto ancora molti fondi più occupati a supportare le società in portafoglio che occupati nella conclusione di nuove operazioni o nei disinvestimenti. Detto questo, i dati presentati ieri dall’Associazione Italiana del Private Equity e Venture Capital (Aifi), elaborati da PwC (per il download completo, clicca qui), dimostrano almeno che i portafogli dei fondi di private equity italiani, ora sono sostanzialmente sani e presentano ancora pochi casi di aziende in crisi: nel 2012, infatti, si sono registrati write-off (cioè svalutazioni totali o parziali di investimenti in portafoglio) per un valore pari solo al 6% del totale dei disinvestimenti (nel 2011 era stato il 5%) che è stato peraltro a sua volta molto basso e cioè di 1,6 miliardi spalmati su 107 operazioni (cioè la metà dei 3,2 miliardi e 139 deal del 2011). A indicare, appunto, che il momento è ancora particolarmente difficile per il settore. Non a caso, il periodo di investimento (holding period) dei fondi si è ulteriormente allungato: a fine 2012 era di 5 anni e mezzo dai 4 anni e 11 mesi di fine 2011 e dai 4 anni e 2 mesi di fine 2009. Insomma, riuscire a vendere è difficile, mentre il canale della Borsa è stato sinora sostanzialmente bloccato: ci sono state soltanto sei ipo di aziende partecipate da fondi di private equity negli ultimi 5 anni contro le 35 del periodo 2003-2007. Vedremo ora se la quotazione di Moleskine (si veda altro articolo di BeBeez) rappresenterà l’inizio di un nuovo trend.
Raccolta al palo, ma non troppo. Ma che i tempi siano duri per il settore lo dimostrano anche i dati sugli investimenti e sulla raccolta. Da quest’ultimo punto di vista, infatti, ha sottolineato il direttore generale di Aifi, Anna Gervasoni, è vero che l’anno scorso i fondi italiani hanno raccolto 1,36 miliardi di euro, in crescita del 29% dal 2011, ma è anche vero che ben 575 milioni di questa cifra sono stati raccolti da F2i da solo nel primo closing del fundraising del suo secondo fondo annunciato lo scorso ottobre. Tuttavia è vero che i dati Aifi non includono la raccolta di Investindustrial, non considerato un fondo italiano, visto che si tratta di un veicolo di diritto britannico gestito da Lugano e con un focus di investimento che oltre all’Italia riguarda anche la Spagna e il Regno Unito. In ogni caso l’ultimo fondo raccolto da Andrea Bonomi e dai suoi soci ha registrato impegni da parte di investitori internazionali per ben 1,250 miliardi di euro l’anno scorso, il che è stato un grande risultato per il team di Investindustrial ma anche un segnale incoraggiante per il settore, perché significa che i capitali esteri sono ancora disponibili anche per investimenti sull’Italia se c’è un buon track record alle spalle.
L’altro tema da segnalare è la grande attività del Fondo Italiano d’Investimento l’anno scorso sul fronte degli investimenti indiretti. Il fondo gestito dall’sgr guidata da Gabriele Cappellini, infatti, dall’inizio dell’attività nel 2010 ha investito in 14 nuovi fondi di private equity e di venture capital, sottoscrivendo impegni per un totale di 266 milioni. A questi si aggiungono altri 4 investimenti indiretti appena deliberati da Cda per altri 75,5 milioni. Un’attività, quella dell’investimento indiretto, che ha permesso la nascita di nuovi veicoli di investimento dedicati alle piccole e medie imprese italiane per circa un miliardo di euro, che a loro volta hanno raccolto capitali anche da investitori istituzionali internazionali per un totale vicino ai 300 milioni. In particolare, il Fondo Europeo per gli Investimenti ha coinvestito nei nuovi fondi al fianco del Fondo Italiano ben 140 milioni.
Boom di early stage. Sul fronte degli investimenti, gli operatori attivi nel 2012 sono stati soltanto 82 su un totale di 163 operatori italiani monitorati da Aifi e si è visto un calo netto del 10% degli investimenti a 3,2 miliardi dal 2011, sebbene il numero di operazioni sia salito a 349 rispetto all’anno prima. Ci sono state, infatti, parecchie operazioni cosiddette di early stage, cioè di finanziamento di aziende nella prima fase di vita (136 operazioni dalle 106 del 2011). E anche in termini di valore, gli early stage hanno guadagnato terreno a 135 milioni dagli 82 milioni del 2022 (+65%), meglio di quanto abbiano fatto gli operatori specializzati in operazioni di sviluppo (expansion), salite del 37% a 926 milioni dai 674 del 2011 (131 deal da 139). Peraltro nel Sud Italia nel 2012 si è registrato un boom nel numero di deal (68 dai 34 del 2011) proprio grazie a un aumento importante nel numero delle operazioni early stage condotte dai fondi di venture capital dedicati al Sud Italia, nati a seguito dell’iniziativa governativa di qualche anno fa per promuovere questo tipo di fondi.
Pochi buyout. Chi invece ha investito poco l’anno scorso, e si sapeva, sono gli operatori di buyout, con 2,07 miliardi e 65 operazioni dai 2,26 miliardi del 2011 e 63 deal. Non a caso, come anticipato da MF-Milano Finanza lo scorso 9 marzo, Claudio Sposito sta negoziando con gli investitori del fondo Clessidra II per limitare il loro impegno a 1,1 miliardi di euro rispetto al target iniziale di 1,4 miliardi raggiunto nel 2009, proprio perché il fondo ha investito sinora più lentamente di quanto previsto: Clessidra Capital Partners II a oggi ha infatti messo sul piatto soltanto circa 600 milioni di euro in investimenti, condotti per la maggior parte nel 2012. Comprare per forza in tutta fretta solo per utilizzare l’intera dotazione del fondo prima che scada il periodo d’investimento, però, non è un’opzione ragionevole. Ed è per questo che gli investitori informalmente hanno già dato il loro via libera. Anche perché, nonostante le occasioni sfumate e qualche problema in alcune delle partecipate del vecchio fondo, la performance dei fondi Clessidra resta invidiabile. L’unico disinvestimento del fondo II, Cerved, si è rivelato un grande affare per Clessidra, visto che la cessione a CVC Capital Partners (si veda altro articolo di BeBeez) ha permesso al fondo di incassare e girare agli investitori ben 200 milioni rispetto ai 70 milioni investiti, mentre Clessidra segnala agli investitori un Irr del fondo I addirittura superiore al 60%.
Un’agenda per il nuovo Parlamento. Se è vero che l’attività dei fondi è stata limitata dalle difficoltà di ricorso al credito e dalla concentrazione dei team sulla gestione delle partecipate, è anche vero che sulle operazioni di leveraged buyout aleggia ultimamente sempre parecchia incertezza, perché l’Agenzia delle Entrate sta tenendo un atteggiamento che molti operatori giudicano preoccupante. Non a caso ieri lo stesso presidente di Aifi, Innocenzo Cipoletta, ha ricordato che l’Associazione si sta impegnando affinché le operazioni di Lbo vengano riconosciute ai fini fiscali una volta per tutte: «Abbiamo avviato con l’Agenzia delle entrate un confronto per evitare che simili operazioni, riconosciute in tutti i Paesi, siano di fatto spiazzate nel nostro, anche quando siano fatte nel pieno rispetto delle normative».
Questo tema è solo uno dei punti che Aifi ritiene cruciali per mantenere la fiducia degli investitori internazionali nell’Italia. Tra gli altri temi da affrontare, che Aifi sottopone con un documento propositivo al nuovo Parlamento (clicca qui per il download), c’è poi quello di alleggerire gli adempimenti e gli obblighi per la costruzione e la gestione dei fondi di private equity e di venture capital, riducendo così i costi di mantenimento delle strutture di gestione.