Al PALP Palazzo Pretorio di Pontedera l’evoluzione del paesaggio nazionale e della sua rappresentazione
Dall’8 dicembre 2019 il PALP Palazzo Pretorio di Pontedera, cittadina sede storica della Piaggio, ospita la mostra Arcadia e Apocalisse. Paesaggi italiani in 150 anni di arte, fotografia, video e installazioni, ideata e curata da Daniela Fonti, docente a La Sapienza di Roma e curatrice di archivi di alcuni artisti, e dal gallerista Filippo Bacci di Capaci e promossa dalla Fondazione per la Cultura Pontedera, dal Comune di Pontedera, dalla Fondazione Pisa, con il patrocinio e il contributo della Regione Toscana. La mostra, che proseguirà sino al 26 aprile 2020, racconta 150 anni di paesaggio italiano, com’è stato percepito, com’è cambiato anche nella sua rappresentazione, dal 1850 fino ai giorni nostri, con un’attenzione alla bellezza e alla natura.
Oltre 100 artisti e 240 opere tra pittura, scultura, ceramiche, installazioni, video e fotografia per un intreccio tra l’idea della natura come idillio, l’Arcadia, rappresentazione mentale e accademica, idealizzata e la deturpazione della natura, l’Apocalisse che raccontano ma allo stesso tempo invitano a una riflessione. L’esposizione che si è avvalsa della collaborazione di Maria Francesca Bonetti per l’inserimento delle fotografie e della consulenza di Paolo Antognoli, Giovanna Conti, Alessandro Romanini e Francesco Tetro, è un progetto intrigante e originale, non solo per la quantità e la qualità delle opere, con una varietà che disegnano un’antologia, quanto per l’idea, la lettura, l’angolo di visuale offerto; di grande impatto anche l’allestimento con le dieci sezioni, contraddistinte da campiture di colore e tematiche nette.
La mostra è la quarta dalla nascita della Fondazione Pontedera per la Cultura, come ha raccontato il Presidente Daniela Pampalone, nata come una scommessa per rivitalizzare il territorio, dopo Tutti in moto!, sul mito della velocità in 100 anni di arte; La trottola e il robot tra Balla, Casorati e Capogrossi; e l’Orizzonte d’acqua, dedicata a Galileo Chini, lo scorso anno.
La cultura, come ha sottolineato Andrea Modesti, Responsabile organizzativo della mostra e del coordinamento tra il territorio e le istituzione oltre che gli sponsor, è un collante che supera molte barriere e in questo caso ha offerto lavoro a dieci persone, tra laureati, oltre alle collaborazioni con i progetti di alternanza scuola-lavoro, coinvolgendo il tessuto sociale in un volontariato di qualità presso il museo stesso. Il Palp è un esempio di collaborazione fruttuosa tra pubblico e privato, frutto della trasformazione ancora da completare dell’antico tribunale, con l’obiettivo di recuperare a spazio espositivo anche le ex carceri.
Novità della mostra di quest’anno, come ha sottolineato Daniela Fonti, l’accostamento delle opere d’arte con la fotografia che ha rappresentato un nuovo modo di fare arte e di raccontare l’arte e la vita, sia in termini di documentazione, per cui ai fotografi vengono commissionati dei servizi, sia perché la foto nel tempo ci ha abituati ad una diversa lettura e registrazione del paesaggio. In modo originale la fotografia non è stata inserita in una sezione a parte, spesso alla fine del percorso, come avviene in molte esposizioni, ma è diventata parte integrante, in dialogo con le opere d’arte, talora con accostamenti che più che didascalici sono evocativi come nel caso de La guerra di Renato Natali, che rappresenta una piazza invasa dalle macerie e una foto che ritrae uno scorcio ferito dai bombardamenti.
Il percorso della mostra
Il lungo percorso parte dalla pittura del paesaggio ottocentesca quando nel 1850 i Macchiaioli introducono l’idea di “paesaggio vero”, rompendo con la tradizione accademica che da fine Settecento si era definita come pittura di paesaggio, ereditata dal Grand Tour, con il cosiddetto paesaggio ‘composé’, di fatto irreale; e si conclude con una stanza dove c’è una grande installazione di Michelangelo Pistoletto che è rivisitato un suo lavoro in situ specific per questa mostra.
Un autentico sentimento della natura. Nella pittura italiana del secondo Ottocento si afferma un sentimento della natura ereditato dal Romanticismo che porta a una interpretazione che si fonda su un più autentico rapporto con il vero. In area ticinese e toscana il processo di depurazione dai cliché accademici passa attraverso l’idea del paesaggio come teatro della contemporanea storia risorgimentale (da cui muovono molti pittori macchiaioli come Giovanni Fattori e Odoardo Borrani, Cristiano Banti), come libera ricreazione luminosa del paesaggio toscano ereditato dai padri, e più tardi come ambientazione della vita all’aperto della emergente società borghese rappresentata della pittura da maestri come Michele Tedesco e Giovanni Boldini e della fotografia come Giacomo Caneva e Robert Macpherson. In area laziale, il paesaggio della Campagna romana, fra i riferimenti del Grand Tour, ancora documentato nei grandi album dei fotografi, si afferma nella sua classica magnificenza e desolazione come testimonianza, l’unica intatta, dell’antica grandezza in contrasto con la modestia del presente. Verso la fine del secolo, e a cavallo del nuovo, è prevalentemente sul paesaggio che si riversano le predilezioni dei pittori divisionisti innamorati della scomposizione della luce (Angelo Morbelli, Plinio Nomellini, Vittore Grubicy de Dragon), che rivaleggiano con i fotografi (Gustavo Bonaventura, Stefano Bricarelli, Filippo Rocci) nella ricerca di sfolgoranti effetti luminosi, nella apparente emulazione dei fenomeni naturali, ma con esiti di sofisticata astrazione.
Siamo nella seconda sala, quella dedicata al Divisionismo, che originatosi da una riflessione Positivismo francese, supera la prospettiva scientifica dello studio dell’ottica per regalare paesaggio di grande emozione.
La terza stagione è dedicata a paesaggio che entra in città, con le passeggiate nei parchi perché la città diventa soprattutto per i meno abbienti un luogo malsano.
La sezione successiva è riservata al Futurismo che affronta il paesaggio con l’aeropittura e la fotografia consolida la propria presenza, offrendo una prospettiva decisamente insolita, uno sguardo dal cielo. Altra linea di pensiero è l’attenzione allo spazio cosmico come nel caso di due artisti, fratelli Ruggero Alfredo ed Ernesto Michahelles che si presentano, rispettivamente, con gli pseudonimi di RAM e Thayaht. Respinto ai margini del rutilante mondo iconografico del primo Futurismo macchinista, il paesaggio trova così, comunque, i suoi cultori fra quegli artisti innamorati dell’analisi del fenomeni naturali o più suggestionati dalle atmosfere simboliste; più avanti nel corso degli anni trenta, il paesaggio diventa la naturale cornice anche di svagati esperimenti di foto collage. Saranno presenti in mostra opere di Giacomo Balla, Leonardo Dudreville e Gerardo Dottori, Enrico Pedrotti, Fortunato Depero.
L’età delle trasformazioni: l’invenzione delle città. I due decenni fra le due guerre vedono, con in consolidarsi del fascismo l’avvio di una politica di lavori pubblici di grande impatto territoriale, destinata a imporre profonde modificazioni nel paesaggio italiano, accompagnate dall’enorme risonanza propagandistica creata dai moderni mezzi di comunicazione. I lavori di bonifica nell’Agro Pontino ingoiano ettari di territorio paludoso abitato da contadini transumanti e da butteri, portando alla fondazione delle “città nuove”, mito del fascismo, dominate dalla geometria del razionalismo (Giulio Aristide Sartorio, Duilio Cambellotti). La Capanna, archetipo residuale di una cultura autoctona di miseria e pura sopravvivenza, è finalmente sconfitta, almeno nelle intenzioni della propaganda. In effetti se le zone agricole paludose vengono sanate, per far posto alle nuove costruzioni, le dune di Sabaudia ad esempio, sono in parte tagliate e Duilio Cambellotti è un fine narratore di questa fase, con il suo raffinato decorativismo.
Dagli anni Venti alla guerra. La pittura del Novecento è letteralmente dominata dal paesaggio, soggetto ambiguo nel quale si rispecchiano gli orientamenti espressivi e anche contraddittori di un’intera generazione espressi da Antonio Donghi, con i suoi toni incantati e un velo onirico; Ottone Rosai, più cupo e inconfondibilmente fiorentino e Giorgio Morandi, con i suoi paesaggi incantati; dall’impossibile recupero di una perduta Arcadia senza tempo all’aspra denuncia di problemi sociali lasciati irrisolti (Lorenzo Viani). Schermo perfetto per la idealizzazione del “ruralismo” primitivista antiurbano, nutrito di arcaiche virtù e incorrotti sentimenti (Ardengo Soffici), è per altri artisti una via di fuga tutta privata, trasposizione degli intimi moti dell’animo e di uno sgomento di fronte alla incommensurabile varietà e incombenza della natura.
Il paesaggio devastato: gli anni della guerra. Il decennio che si chiude con lo scoppio della guerra, si apre con un presagio di distruzione contrabbandato come pretesa di rivoluzione (le demolizioni nei grandi piani urbanistici) cui gli artisti, come Mario Mafai e Afro Basaldella, rispondono con sgomento e angoscia. Queste immagini saranno poi sinistramente simili alle fotografie dei bombardamenti che sventrano le nostre città e i territori. I pittori invece preferiscono non ritrarre eventi bellici e si affidano alla metafora e al simbolo proiettando sul paesaggio, reso afono e privo di bellezza, l’angoscia individuale e collettiva provocata dai tragici eventi bellici (Carlo Levi, Fausto Pirandello, Galileo Chini).
Interessante la riproduzione di una visione dall’alto di Pontedera bombardata nel 1944, sul pavimento della sezione.
Dal 1960 al 1990 sono trent’anni che attraversano non solo cambiamenti epocali ma anche molte contraddizioni che, come ha sottolineato Paolo Antognoli, la mostra ha cercato di riprodurre, mettendo insieme tante tendenze diverse. Gli anni Sessanta sono dominati, come in tutta Europa, dalle ricerche postinformali e astratte, fino all’annullamento della pittura che non rappresenta più nulla e ai quadri monocromi. In questa fase il paesaggio è per lo più un riferimento interiorizzato e rimanda ad una esperienza di carattere profondamente individuale (Tancredi, Giulio Turcato, Mario Giacomelli, Mimmo Jodice). Poi , dopo l’azzeramento, è come se si ripartisse con percorsi variegati, talora paralleli, tal’altra divergenti o, ancora, intrecciati tra di loro. Nel caso della Pop Art e delle nascenti ricerche concettuali (Mario Schifano, Luca Maria Patella, Mario Cresci) il paesaggio riprende piena legittimità in artisti che affrontano il tema attraverso il confronto fra pittura, nuovi media espressivi e nuovi materiali industriali, in uno sforzo di creazione di nuovi linguaggi e totale oggettivazione dell’immagine. I grandi maestri della fotografia di paesaggio, (Luigi Ghirri, Gabriele Basilico, Olivo Barbieri, Guido Guidi, Franco Fontana) s’impongono per il rigore formale che coniuga soggettività e dati della realtà esterna.
Il corridoio finale, detto Corridoio delle utopie, attraversa la contestazione, i sogni e anche i processi di regressione, come una macchina di Turing.
Fino ai nostri giorni è un racconto aperto, nel quale si confrontano esperienze anche molto diverse, ormai affidate prevalentemente ai linguaggi del video e delle installazioni tridimensionali, di grande suggestionema all’interno delle quali il paesaggio è quasi univocamente assunto come elemento di preoccupazione e riflessione per gli esiti delle attività umane, una cornice sempre più fragile ed esposta. Fa eccezione la rinnovata utopia dei parchi di scultura ambientale, arcadici dialoghi fra arte e paesaggio, documentabili solo attraverso le fotografie di un grande maestro come Aurelio Amendola. Spoglio da ogni retorica, il paesaggio italiano contemporaneo ripreso dai grandi maestri mette a nudo la sua fragilità, ma anche la sua capacità di resilienza e la forza comunicativa di una imprevedibile, inedita e ostinata bellezza.
Al centro dell’ultima stanza il lavoro, Metamorfosi di Michelangelo Pistoletto, il “terzo Paradiso” che, ha ricordato Filippo Bacci, cerca la sintesi tra passato e tensione al futuro, tradizione e progresso, bellezza e natura.
PALP Palazzo Pretorio di Pontedera
Arcadia e Apocalisse, Paesaggi italiani in 150 anni di arte
a cura di Daniela Fonti e Filippo Bacci di Capaci
8 dicembre 2019 – 26 aprile 2020
Ufficio stampa Davis&Co: info@davisandco.it
Ilaria Guidantoni