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Raffaello Il trionfo della ragione di Luca Nannipieri
La modernità di Raffaello e il suo stile prettamente rinascimentale che pone l’uomo (e il suo spazio) al centro del mondo costituiscono il nucleo del libro Raffaello Il trionfo della ragione di Luca Nannipieri, uscito il 19 marzo scorso per Edizioni Skira nella collana SkiraMiniSaggi.
L’uomo è più importante di Dio. Sembra scritto questo nell’opera che riteniamo più importante di Raffaello, lo Sposalizio della Vergine, conservata alla Pinacoteca di Brera.
Guardando la scena, paradossalmente, centrale non è Dio, non è il suo racconto, ma è l’opera dell’uomo.
“Un artista lontano dalle voglie della modernità. Non ha ucciso nessuno, non si è fatto di droga, non ha avuto amanti prostitute, non è morto giovanissimo. Raffaello non ha nulla di biograficamente appetibile per risultare un artista blockbuster dei nostri tempi.” Inizia così il breve saggio che evidenzia come la biografia di questo artista non abbia chiaroscuri intriganti. Con lo sguardo disattento e frettoloso dei giorni nostri Raffaello potrebbe apparirci un uomo qualunque: nasce a Urbino nel 1483 e muore a Roma nel 1520. In appena trentasette anni di vita, ha dipinto, dipinto e ancora dipinto. E basta, a parte aver composto poesie e sonetti. Per la modernità il genio si sposa con la sregolatezza, quella che ha reso altri artisti più noti al grande pubblico. Raffaello impara i rudimenti dell’arte in famiglia dal padre Giovanni che muore quando l’artista è ancora fanciullo, quindi nella bottega del Perugino. Lo stesso Vasari sembra essere annoiato da questo artista che ha tutti i caratteri di una brava persona. L’opera che lo pone all’attenzione della scena pubblica è come accennato Lo sposalizio della Vergine, oggi conservato a Brera, realizzato ad un’età relativamente matura. A Roma arrivano i grandi incarichi con gli affreschi delle Stanze vaticane mentre Michelangelo lavora alla Cappella Sistina; finché Papa Leone X, dopo la morte di Bramante nel 1514, lo nomina Architetto della Fabbrica di San Pietro e Conservatore delle Antichità. Eppure Raffaello – e l’autore del libro lo sottolinea in modo inequivocabile – è un grande rivoluzionario, del pensiero prima che della pittura, perché con il suo dipinto più celebre, Lo sposalizio della Vergine, evidenzia quanto l’uomo sia più interessante di Dio e questi lo sia perché l’uomo lo celebra. L’opera attrae infatti soprattutto per la prospettiva e il paesaggio, divenendo una narrazione umana del tutto lontana da quella del maestro Perugino, concentrata esclusivamente sulla narrazione evangelica. Naturalmente questo lavoro non sorge dal nulla, maturando sull’humus dell’Umanesimo e del Rinascimento, come sottolinea l’autore, che tiene particolarmente al confronto con la storia e anche alla lettura di opere e personaggi attraverso la storia. Dopo l’esplosione giovanile, fa notare Nannipieri, Raffaello vive un certo ripiegamento, ad esempio nelle sue Madonne alle quali dava grande armonia nel movimento senza però rivoluzionare l’impianto della tela e fu sostanzialmente un ritrattista, certo eccelso con una nota introspettiva, ma rispetto a quell’opera spartiacque sembrò tentennare. Anche su La scuola di Atene l’autore osserva come la ‘bellezza’ di Raffaello sia tutta nella ragione e non negli occhi, essendo gli stessi personaggi protagonisti, Aristotele e Platone, valorizzati in se stessi ma nell’insieme architettonico.
Interessante l’ampia panoramica iconografica legata al tema del sacro nei secoli fino alle opere di Maurizion Cattelan e Giuseppe Veneziano.
Nell’ultima parte Nannipieri porta il lettore a riflettere sulla curiosa eredità lasciata dall’Urbinate al quale lo stesso Caravaggio è debitore, fino a quando Alberto Burri, prendendo a riferimento l’affresco della Madonna del parto di Piero della Francesca, rifà il quadro, togliendo la Madonna e i due angeli che tengono i lembi del tendone e facendo rimanere lo spazio svuotato di figure (1979). Nel Novecento infatti il sacro diventa problematico, forse anche per l’incapacità di raggiungere le vette del passato. Il sacro viene accantonato, cancellato, talora reso blasfemo o ridotto a pura scenografia.
a cura di Ilaria Guidantoni
