Per la regia di Manele Labidi, che firma anche il soggetto, una commedia drammatica, uscita nel 2019, girata in francese e tunisino, con un intreccio all’interno di una stessa frase, che mima perfettamente la conversazione locale. Solo apparentemente una commedia, gusto e graffiante, capace di far dialogare elementi tipici del cinema francese e di quello tunisino, è un’analisi sociale acuta, pur con qualche tic, qualche elemento spinto al limite del paradosso ma nella boutade, più realistico di quanto si pensi. Ci sono tutti i vizi tipici di una tunisina francese d’adozione, volutamente provocatoria verso il proprio paese che però ne sente il richiamo, una chiamata che non sa neppure dire perché e l’esasperazione, dall’altra parte, di situazioni e di un sistema incagliato che sembra assurdo non poter dipanare. Al di là di qualche forzatura, tutt’altro che ingenua, il film è credibile, ben interpretato e la regia è matura. Lascia il sorriso amaro e la malinconia di una storia che racconta un sogno, forse anche d’amore che la regia non svela. Commedia quanto basta che racconta la voglia, di una giovane psicanalista, Selma, interpretata da Golshifteh Farahani, che decide di rientrare in Tunisia dopo aver passato buona parte della propria vita in Francia, convinta che è lì che può essere utile, anche a se stessa. Dove vive c’è un psicoanalista nel palazzo e dieci nel quartiere. Apre il suo studio sul tetto della casa degli zii che mal la sopportano ma che in fondo le saranno grati perché è grazie a lei che si ritroveranno, nella periferia di Tunisi a el-zahra. All’indomani della rivoluzione, il paese è già in una fase di ripiegamento, si arrabatta in una situazione economica difficile, mentre risorge un certo radicalismo religioso, i giovani preferiscono partire che combattere: fuggono spesso senza progetti e senza cognizione di causa come pare voler fare la cugina di Selma, disposta a nozze surreali. La protagonista ci prova fino in fondo, non rifugiandosi nella religione, nel perbenismo, nella fuga o in una finta sottomissione alle regole. Singolare la figura, molto ben tratteggiata dell’impiegata pubblica al Ministero della Salute, che è ligia formalmente ai suoi obblighi, anche alle pause pranzo – come, farà notare a Selma, una francese sa bene conoscendo indubbiamente i diritti sindacali – ma occupandosi di tutt’altro nelle ore di lavoro: da mangiare, a sbucciare i piselli, a vendere a nero biancheria intima kitsch e foulard turchi. Anche il poliziotto che seguirà da vicina la vicenda di Selma appare in tutto il suo tormento. A dire il vero nel film non ci sono buoni e cattivi e la regia ci consente di apprezzare ogni persona anche nella sua fragilità, talvolta per un lato ridicolo, perfino tenero quando non grottesco. Ne esce un paese che rischia di essere allo sbando ma con un cuore grande e il messaggio che un sogno e una certa caparbietà valgono sempre la pena.
Sullo sfondo Tunisi, finalmente riconoscibile solo a chi la frequenta, nessuna immagine classica. Nessun cartolina, ma il vissuto e lo spirito ci sono tutti e anche la sua luce struggente. Ben girato nelle inquadrature e nelle riprese. Da vedere per capire una società più articolata di quanto si possa pensare, che ha bisogno di parlare, non più dal parrucchiere, allo hammam e al caffè ma di conversare soprattutto con se stessa, con il coraggio di mettersi a nudo. Come si dice nel film gli ‘arabi’ parlano tanto, troppo, ma Selma capisce e guida i suoi pazienti ad dialogare con i silenzi, con il tempo e con delle regole, senza essere un fiume in piena. Vero è che la psicoanalisi è presentata insieme alla Tunisia con uno sguardo esotico: al centro la regista mette Selma e la sua esperienza, mentre tutti i temi come l’emancipazione femminile, l’omosessualità nel mondo arabo, la prevaricazione della polizia, il peso della religione nella vita quotidiana vengono accennati en passant o diventano materiale per gag. D’altronde la società tunisina, soprattutto psicologicamente, è molto meno sana e serena di quel che sembra. Le note di Città vuota o Io sono quel che sono di Mina sottolineano ancora una volta il punto di vista della protagonista, immersa in una varia umanità ma anche l’incanto che il mondo tunisino ha per la cultura italiana.
Regia Manele Labidi
Soggetto Manele Labidi
Attori principali Golshifteh Farahani, Majd Mastoura, HichemYacoubi, Feriel Chamari
Produzione KazakProductions, Arte France Cinéma,
Genere Commedia drammatica
Durata 88 minuti
Uscita 2019
a cura di Ilaria Guidantoni