LUCKY RED e UNIVERSAL PICTURES presentano Run, un film di Aneesh Chaganty con Sarah Paulson – la star di American Horror Story, American Crime Story e Ratched, vincitrice del Golden Globe – e Kiera Allen al suo esordio, dal 10 giugno al cinema. Ben girato con un ritmo che non demorde mai e l’angoscia che sale non a forza di colpi di scena o di horror ma di una tensione interiore forte per quello che dovrebbe essere il rapporto d’amore per eccellenza. Lascia perfino il posto alla tenerezza, una tenerezza affilata e crudele come solo l’intimità promette.
Amata per i suoi ruoli nelle serie tv Sarah Paulson – prima attrice ad aggiudicarsi nello stesso anno il Golden Globe, l’Emmy, lo Screen Actors Guild Award, il Critics’ Choice Award e il Television Critics Association Award per la sua interpretazione in American Crime Story – torna sul grande schermo da protagonista con Run. Il regista emergente Aneesh Chaganty è stato premiato al Sundance Film Festival e offre insieme ai produttori Natalie Qasabian e Sev Ohanian – con quest’ultimo ha scritto a quattro mani la sceneggiatura – una nuova prospettiva su questo genere di thriller Hitchcockiano, in cui mettono in scena una paranoia crescente, che culmina con uno sconvolgente colpo di scena, senza cedere troppo all’effetto splatter. Il vero colpo di scena è il finale, quasi doppio e sospeso.
Dicono che non ci si possa sottrarre all’amore di una madre… ma per Chloe questa non è una rassicurazione: è una minaccia. E’ una ragazza intelligente, brava a livello creativo e nella manualità, dolce ma non docile, anzi; con il sogno di essere ammessa in un college. Sembra avere tutto ma le manca la salute: paralizzata ha ogni genere di malattia, che in una sorta di vocabolario guida il regista presenta all’inizio del film. C’è qualcosa di innaturale, quasi sinistro nella relazione tra Chloe e sua madre Diane (Sarah Paulson). Diane ha cresciuto sua figlia nel totale isolamento, controllandone ogni movimento sin dalla nascita, dietro segreti che Chloe sta solo iniziando ad intuire. Un horror psicologico che mostra come, quando l’amore di una madre diventa troppo stretto… devi scappare. Se puoi. Il film è inquietante perché è paradossalmente credibile e spinge lo spettatore a interrogarsi su sé stesso.
Claustrofobico, quasi tutto girato all’interno della casa il cui giardino è una serra che produce quanto serve alle due donne. Un’autarchia resa ancora più forte dal paesaggio circostante, desolato, solitario, foreste fredde con un paese a distanza di cui si vede solo un cinema e una strada, dove pare esserci lo stretto necessario. L’interno dell’abitazione è curato con l’immancabile cantina ed un particolare è ben analizzato dal regista, la cucina. La cucina intesa come preparazione accurata dei piatti, quasi sempre a base di verdure con i frutti dell’orto e tutta la simbologia che ne consegue. Il cibo è un messaggio d’amore e di cura foriero di molti significati.
a cura di I.G.