Sorpresa. La pandemia, che ha causato una flessione del 9% del PIL italiano nel corso del 2020, non ha provocato la debacle che ci si attendeva sui bilanci 2020 delle aziende italiane. O almeno questo non è accaduto per le 16 mila aziende italiane con ricavi superiori a 500 mila euro per ricavi complessivi pari a 260 miliardi di euro, che già a metà dello scorso giugno avevano depositato i bilanci.
Un numero, questo, che è comunque già significativo, perché si tratta di un numero di aziende, con ricavi superiori a 500 mila euro, pari a circa il 15% del totale delle aziende che a oggi hanno depositato i bilanci 2020. Che sono tantissime, se si pensa che più in generale l’anno scorso, sempre a metà giugno, soltanto 230.000 aziende (comprendendo anche quelle più piccole, sotto i 500 mila euro di fatturato) avevano già depositato i bilanci 2019 mentre quest’anno, alla stessa data, erano circa 300.000. Lo ha calcolato Leanus in uno studio che verrà presentato in un webinar il prossimo 7 luglio in collaborazione con BeBeez.
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Lo studio, che ha prodotto anche un approfondimento sulle aziende in portafoglio agli investitori di private equity, ha evidenziato in particolare che in aggregato le imprese hanno subito sì cali di fatturato (di poco più dell’8% le imprese con ricavi inferiori ai 100 milioni di euro e del 15% quelle con ricavi superiori), ma che contestualmente la redditività è rimasta inalterata, così come lo stock di indebitamento finanziario, mentre è aumentata la disponibilità di cassa.
D’altra parte questi risultati sono in linea con quelli sui crediti deteriorati sui libri delle banche italiane, che ancora non hanno evidenziato gli effetti della pandemia. Nella sua Insight View dello scorso 31 maggio (disponibile agli abbonati di BeBeez News Premium e BeBeez Private Data, scopri qui come abbonarti), BeBeez ha calcolato infatti che nei primi tre mesi dell’anno è continuato il trend di riduzione dello stock di deteriorati già visto nei trimestri precedenti. In particolare, c’erano circa 61,5 miliardi di euro di crediti deteriorati lordi sui bilanci dei primi sei gruppi bancari italiani (considerando ormai UBI Banca integrata in Intesa Sanpaolo), in diminuzione dai 65 miliardi di fine dicembre 2020 e dagli 85,3 miliardi di fine settembre, con 34,1 miliardi di euro di UTP (da 35,9 miliardi di fine 2020) che pesavano in media per il 55,5% sul totale, con un NPE ratio in calo sotto il 5% dal 5,11% di fine dicembre 2020. Quanto alle sofferenze, si sono attestate a 25,3 miliardi dai 27 miliardi di fine 2020, con un NPL ratio in calo al 2% dal 2,14%. D’altra parte il proseguimento delle moratorie ha permesso alle banche nei mesi scorsi di evitare di prendere atto della reale situazione dei crediti sui libri. Ora, comunque, le cose cambieranno, via via che le aziende supereranno i 9 mesi di moratoria, periodo oltre il quale le moratorie resteranno sì in essere, grazie all’ultima proroga contenuta del Decreto Sostegni bis, ma le banche saranno comunque tenute a classificare eventualmente a forbearance e UTP i crediti sulla base di una valutazione caso per caso.
Tornando ai risultati 2020 delle aziende italiane, la frenata dell’attività è comunque evidente, soprattutto se si considera che i ricavi dei due gruppi esaminati da Leanus (pmi con ricavi inferiori ai 100 milioni e imprese con ricavi uguali o superiori ai 100 milioni ) erano invece cresciuti rispettivamente del 5% e del 12% nel 2019 dal 2018. Tuttavia, si diceva, emergono tre elementi, che dimostrano come le imprese italiane abbiano reagito e si siano adattate alle mutate condizioni di mercato, riuscendo, nel complesso, a limitare o arginare gli effetti della crisi. Se questa tendenza, evidenziata sul campione, fosse confermata anche dalle decine di migliaia di bilanci che sarà possibile analizzare nel corso delle prossime settimane, sarebbe un’ottima notizia per la nostra economia oltre che l’ennesima conferma che l’Italia è dotata di un sistema di imprese vivo e competitivo, nonostante le enormi difficoltà economiche.
Primo elemento: la contrazione del business non ha intaccato i margini operativi delle imprese il cui ebitda margin aggregato è linea con i valori dell’esercizio 2019. In altri termini il dato evidenzia una sostanziale, complessiva tenuta Economica delle imprese, le quali hanno ridotto, come era da attendersi, gli acquisti ma anche altri costi operativi, in particolare i costi per servizi. I costi del personale sono tornati ai livelli pre-crisi del 2018, facendo segnare una riduzione pari a 700 milioni per il campione grandi Imprese e pari a 1,2 miliardi per il campione pmi. Sostanzialmente invariati, invece, i costi per godimento di beni di terzi, quali ad esempio affitti o leasing in essere.
Secondo elemento: l’indebitamento totale non è variato per le imprese superiori ai 100 milioni di ricavi ed è rimasto sostanzialmente stabile per il gruppo delle pmi. Anche i debiti bancari, sono rimasti sostanzialmente invariati rispetto ai valori 2019 mentre si registra, sia per il campione pmi sia per le imprese maggiori, una diminuzione dei finanziamenti a breve termine a favore di quelli a lungo, effetto probabilmente attribuibile al gran numero di finanziamenti garantiti da SACE e dal Fondo di Garanzia pmi, che molto spesso sono risultati essere rifinanziamenti di linee già in essere a più breve termine e che sono state portate alla scadenza standard di 6 anni con un preammortamento massimo di tre anni. Il che è comunque un punto di attenzione: quando la gran parte delle aziende dovrà iniziare a pagare le quote capitale di quei prestiti, la situazione potrebbe precipitare, se i ricavi nel frattempo non saranno tornati ai livelli pre-Covid.
Terzo elemento: la liquidità disponibile (variazione netta di cassa) è aumentata di 1,5 miliardi, per le grandi imprese e di 2,9 miliardi per le pmi. In entrambi i casi quindi, i flussi di cassa complessivi sono stati positivi. Tuttavia, l’analisi di dettaglio degli stessi, rivela che vi sono delle differenze. Nel caso delle pmi, infatti, si riscontra un aumento del cash flow legato alla gestione del capitale circolante, ovvero crediti verso clienti, rimanenze e debiti verso fornitori, rispetto all’esercizio 2019. Tale dinamica appare in linea con la riduzione del fatturato e degli acquisti complessivi. Il cash flow legato all’attività di investimento rivela invece una netta contrazione per le grandi imprese, passando da 15 a 8 miliardi mentre fa segnare un incremento da 6,8 a 9,8 miliardi per le pmi. È probabile che tale incremento dei flussi di cassa per investimenti sia in parte legato alle misure di sostegno del Governo che hanno agevolato le rivalutazioni degli asset aziendali con corrispondente ricapitalizzazione e quindi incremento del patrimonio netto delle imprese. Nel caso delle pmi infatti il cash flow legato all’attività patrimoniale era pari a -1,3 miliardi di euro nel 2019, probabilmente dovuti a distribuzione di dividendi a imprese spesso a governance familiare, mentre fa segnare un + 2,8 miliardi nel 2020, importo, guarda caso, corrispondente all’incremento degli investimenti che potrebbero quindi, in larga parte corrispondere non a reali investimenti ma appunto a operazioni di ricapitalizzazione realizzate anche grazie agli incentivi governativi.
Un focus particolare è stato condotto da Leanus sui bilanci delle aziende partecipate da investitori di private equity o da società a loro volta nel portafoglio dei private equity. E i numeri mostrano che gli investitori di private equity hanno lavorato bene sulle aziende in portafoglio nel corso del 2020, che in aggregato mostrano bilanci migliori della media. A metà giugno avevano depositato i bilanci 2020 328 imprese in portafoglio a investitori di private equity su un totale di 1297 aziende monitorate da BeBeez Private Data, il database del private capital di BeBeez. Leanus ha calcolato che il calo dei ricavi aggregati è stato in aggregato di meno del 6,4% (dopo un aumento del 5,85% nel 2019), quindi con un impatto del lockdown inferiore rispetto a quello subito dal campione generale delle imprese (si veda altro articolo in pagina), mentre la marginalità è addirittura aumentata rispetto all’esercizio 2019 con un ebitda margin che è passato al 15,14% dal 12,90%. In calo, invece, la redditività netta, scesa all’1,07% dal precedente 11,28%, mentre il campione delle pmi l’ha vista crescere dal 3,29% al 3,46% e le grandi imprese sono invece scese all’1,29% dal 4,31%. Un calo, quella della redditività netta, dovuto anche all’aumento degli oneri finanziari, contestuale all’aumento dell’indebitamento netto, che si è evidenziato in controtendenza con il campione generale delle imprese: la posizione finanziaria netta aggregata, infatti, è salita a 12,66 miliardi dai 12 miliardi del 2019, tuttavia, grazie all’aumento importante della redditività operativa, la leva è scesa a 3,33 volte dalle 3,46 volte del 2019.
Il senso dell’aumento del debito in questo caso può anche ascriversi al fatto che gli investimenti delle partecipate sono stati reali e non da ascriversi come nel caso del campione più generale, a rivalutazioni degli asset aziendali. Nel 2020, infatti, ma anche in questi ultimi mesi, si sono registrate molte operazioni di add-on, cioè di acquisto di aziende da parte di società già in portafoglio a fondi di private equity. Anche per questo gruppo di aziende è migliorata infine la liquidità complessiva disponibile delle imprese grazie soprattutto a un buon cash flow operativo.
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