di Paolo Gesa,
vicedirettore generale di Officine CST
Il mercato attuale dei crediti verso la Pubblica Amministrazione in Italia ha assicurato finora, agli intermediari specializzati, dei livelli medi di ROE elevati e tassi di NPL irrisori con contenute esigenze di capitale limitate.
Il mutamento del contesto prudenziale (riconducibile sia alla nuova definizione di default sia al calendar provisioning) rappresenta un fattore di discontinuità importante per il suddetto mercato.
Tali discontinuità regolamentari, se non accompagnate da innovazioni del modello di business e gestione del credito e della strategia di collection, possono comportare alla lunga una “stretta” creditizia per i fornitori della PA.
Dal 1° gennaio scorso, come ormai ampiamente scritto sulla stampa e dibattuto da numerosi banchieri, hanno trovato piena applicazione alcune novità normative, più restrittive, relativamente alla definizione di credito deteriorato (si veda qui il Report di BeBeez sui crediti deteriorati 2020, disponibile per gli abbonati a BeBeez News Premium e BeBeez Private Data).
La nuova definizione prevede infatti il passaggio a default di una posizione, al decorso di 90 giorni dal superamento delle cosiddette “soglie di materialità”, relative (arretrati ≥ 1% dell’esposizione complessiva) e assolute (importi arretrati ≥ 100€ per posizioni retail e 500€ per le altre tipologie di controparti).
Il 2021 è anche l’anno in cui il cosiddetto “calendar provisioning” inizierà ad avere un impatto sui bilanci delle banche (si veda altro articolo di BeBeez). Il calendar provisioning, applicabile ai finanziamenti concessi dopo il 26 aprile 2019, prevede la deduzione dal capitale regolamentare della differenza tra la svalutazione in bilancio e quella prevista dal “calendario” regolamentare; per i crediti deteriorati non garantiti è prevista la svalutazione del 100% dell’esposizione dopo tre anni dal passaggio a default.
Gli istituti di credito in passato avevano una certa flessibilità nella definizione del passaggio a default e della conseguente svalutazione mentre con l’entrata in vigore dei nuovi regolamenti avranno la necessità di adottare policy di credito significativamente più stringenti.
Dell’impatto potenziale sui bilanci delle banche, e quindi sulla possibilità delle stesse di sostenere l’economia reale, nel perdurare della fase emergenziale dovuta alla diffusione del Covid-19 e la fine delle moratorie alle porte, si è già scritto ampiamente. Come pure è evidente che, sebbene alcune deroghe siano state concesse nel periodo emergenziale, non sembra che vi siano nei radar dei regulator norme che l’alleggeriscano l’impianto normativo nel suo complesso.
Quello che si è dibattuto mano, se non tra addetti ai lavori, è l’impatto sul finanziamento del circolante per le imprese fornitrici della pubblica amministrazione.
Sebbene la PA stia migliorando i propri tempi di pagamento, numerosi enti continuano a presentare inefficienze nel processo di liquidazione; uno degli strumenti di finanziamento principali per le imprese fornitrici della PA è la cessione pro-soluto, che ha sinora beneficiato del minor assorbimento di capitale del debitore pubblico rispetto a quello privato, consentendo alle imprese di ottenere costi contenuti.
La pubblica amministrazione continuerà a essere un debitore privilegiato anche con le nuove regole, ma lo sarà un po’ di meno.
La Circ. 272 della Banca d’Italia prevedeva infatti che per le pubbliche amministrazioni il “carattere continuativo dello scaduto si interrompe quando il debitore abbia effettuato un pagamento per almeno una delle posizioni che risultino essere scadute e/o sconfinanti da oltre 90 giorni”. Tradotto, la PA poteva avere arretrati per milioni di euro verso una banca/factor, ma era sufficiente che avesse pagato una sola fattura, anche di importo esiguo, negli ultimi 90 giorni per poter considerare la posizione in bonis (cioé “scaduto non deteriorato”). Questo “giochino” dal 1° gennaio 2021 non è più consentito.
Altro tema è la data da cui viene calcolato lo scaduto: mentre finora la prassi dell’industria era l’utilizzo della “data di presunto incasso” della fattura (che lasciava ampio spazio di discrezionalità alla banca/factor) ora la vigilanza ha introdotto un parametro più facilmente misurabile, ovvero utilizzando la data di scadenza della fattura.
Qualche privilegio la PA lo manterrà comunque: mentre per il privato il default decorre infatti dal superamento di entrambe le già menzionate soglie di materialità per oltre 90 giorni, per la PA , fermo restando la verifica delle soglie di materialità per 90 giorni, sarà consentito di computare negli importi in arretrato le esposizioni scadute da più di 180 giorni (oltre i termini di pagamento contrattuali: 30 giorni per i fornitori ordinari, 60 per i fornitori del sistema sanitario nazionale). Questa è l’unica buona notizia perché salverà dalla classificazione a default buona fetta delle pubbliche amministrazioni.
In prospettiva, le maglie del credito per i fornitori della PA potrebbero diventare molto più strette: la cessione pro soluto potrebbe essere riservato solo ai fornitori delle PA più performanti, mentre le PA a rischio NPL potranno essere gestite solo con linee pro solvendo, generalmente più costose e riservate ad aziende con qualità creditizia più alta.
Si potrebbe, inoltre, assistere a un aggravio per le imprese dei costi delle linee specifiche: buona parte della redditività delle banche derivava infatti dagli interessi di ritardato pagamento (all’8% annuo, una manna in un periodo di tassi a zero), che si ridurranno visto che sarà più difficoltoso acquistare fatture già scadute e che dovranno essere attivate prassi di gestione che consentano di mantenere la PA tra i crediti performing (e riducendo l’importo gli interessi moratori).
Tutto ciò avrà un impatto importante anche sulle modalità in cui le imprese gestiscono il credito nei confronti della PA: se prima erano più facilmente cedibili (e quindi finanziabili) anche i crediti scaduti, ora le possibilità di ottenere finanziamenti dalle banche a tassi competitivi saranno riservati ai crediti correnti, mentre per quelli scaduti sarà necessario affidarsi a servicer specializzati al fine di contenere al minimo i DSO, come già fanno alcuni dei più grandi fornitori del mondo pubblico.
Anche le banche, per evitare impatti significativi sul proprio bilancio ed evitare sorprese nella classificazione dei crediti, dovranno implementare nuove strategie di gestione specifiche per questa tipologia di debitori, evitando alcune prassi del passato, come la cessione del credito con mandato all’incasso mantenuto in capo alla cedente. Infine alcune banche potrebbero avere necessità di fare derisking sui portafogli esistenti verso PA, anche con l’obiettivo di liberare spazio per nuovi acquisti, importante sarà la selezione di un partner affidabile per minimizzare gli impatti operativi ed economici, e che sia anche in grado di individuare investitori che sappiano valorizzare al meglio tali asset.