A Pietrasanta è di scena l’Africa Staged, mostra di arte contemporanea di artisti che partendo dalla realtà vissuta approdano a un linguaggio internazionale, visitabile fino al 22 agosto nello spazio LIS10 Gallery&Galleria Giovanni Bonelli.
Lo spazio aperto da cinque anni è stato riaperto dopo 18 anni di chiusura e ha già ospitato mostre importanti quali le personali di Mimmo Paladino e Luigi Ontani. La collaborazione tra i due galleristi, amici da oltre vent’anni, come ci ha raccontato Nicola Furini, aretino, titolare di Listen 10, specializzato in arte contemporanea nasce grazie ad Alberto Chiavacci, collezionista e fine conoscitore dell’arte africana. Se in Europa era per così dire già di moda, in Italia la sensibilità per il continente nero non è così sviluppata. “Siamo stati tra i primi, ha specificato Furini, “ad aver promosso l’arte africana in modo radicale puntando principalmente su artisti contemporanei e mettendoli in relazione con gli artisti europei”.
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E’ questa infatti l’aspirazione degli artisti africani, come ha precisato Giovanni Bonelli, di non essere messi in un recinto e trattati da specialisti quanto di essere inseriti in un circuito aperto, dove ci sia la compresenza di artisti europei e africani, il percorso che stanno intraprendendo le grandi gallerie di livello internazionale. Il bello è che la loro esperienza di vita è molto forte e si traduce in opere dall’impatto potente.”
Per molti di loro entrare nel mercato dell’arte è un sogno e non solo un percorso ad ostacoli come può essere nel mercato europeo e anche il gallerista ha un ruolo e una responsabilità importante in quest’alfabetizzazione. Spesso come ha sottolineato Bonelli il dialogo non è facile perché si tratta di persone con un grande talento che non sono però professionisti finiti e che rischiano di perdersi grazie all’accesso a redditi importanti e impensabili nei loro territori.
A tal riguardo è importante quello che sta facendo Gonçalo Mabunda, del Mozambico, che reinveste sul territorio parte dei propri guadagni e che sta infatti realizzando un centro per ragazzi mutilati e che hanno subito danni dalla guerra che lo stesso artista ha vissuto in prima persona. Interessante l’operazione di sublimazione attraverso l’arte con la riutilizzazione delle pallottole e dei bossoli recuperati per realizzare maschere, ispirate all’arte tradizionale locale, e i cosiddetti ‘troni della pace’.
Quello che emerge dall’antologica è la grande ricchezza e varietà di un mondo che troppo spesso è etichettato con formule riduttive, dal registro documentario e lo spirito antropologico che guarda alla storia più che alla cronaca delle fotografie del maliano Malick Sidibè; passando per le opere pionieristiche di “padri e madri” dell’arte africana contemporanea come l’ivoriano Frédéric Bruly Bouabré del quale abbiamo visitato la personale a Lucca, organizzata da Listen 10 e le sue “postcards” pitto-grafiche legate al popolo Beté; il congololese Chéri Samba con i suoi dipinti legati tematicamente alla sua terra; la senegalese Seni Awa Camara con le sue sculture realizzate ancora seguendo riti sciamanici nella foresta; a figure cosmopolite come l’ivoriano Aboudia, affermatosi prepotentemente nel panorama artistico internazionale; e quelle del connazionale Arman Boua e del camerunense Bernard Ajarb, tra gli altri.
a cura di Ilaria Guidantoni