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Fino al 26 novembre prossimo alla Galleria Gracis di Milano è allestita la mostra Piero Dorazio Oltre la forma, esposizione di lunga gestazione che evoca nel titolo una lettura critica che vuol superare il ‘confinamento’ dell’artista spesso collocato esclusivamente all’interno del Gruppo Forma 1 che fonda con nel 1947 Carla Accardi, e riunisce gli artisti Giulio Turcato, Ugo Attardi, Mino Guerrini, Achille Sanfilippo, Pietro Consagra, Achille Perilli. Con il gruppo porta avanti un’arte incentrata sulla preminenza della forma nella sua consistenza essenziale, eliminando nelle opere ogni pretesa simbolista, concettuale o psicologica. L’artista romano, classe
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1927, morto a Perugia nel 2005, però è uno sperimentatore instancabile, che va oltre la forma appunto, come l’iniziativa della galleria vuole mettere in evidenza. Sono 21 le opere esposte che attraversano un arco temporale che va dal 1955 al 1988, testimone della vocazione sperimentale e polivalente, di ampio respiro di Dorazio. Avvicinatosi alla pittura agli inizi degli anni Quaranta scandisce nelle cinque decadi successive, il passo del cambiamento, attento a cogliere i fermenti internazionali. La Galleria ha voluto leggere attraverso le sue opere anche l’influenza dei diversi movimenti artistici a cominciare dalle opere del 1955 nelle quali si
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avverte l’espressionismo astratto americano, memoria del suo trasferimento a New York nel 1953, dove entra in contatto con Willem de Kooning, Mark Rothko, Jackson Pollock, Barnett Newman, Robert Motherwell e il critico d’arte Clement Greenberg. Se il punto di partenza della sua arte sono il Futurismo e il cubismo, la vicinanza all’arte americana lo spinge oltre la forma. Accanto al suo celebre reticolo c’è infatti l’uso possente di luce e colore, legati anche alle suggestioni dei numerosi viaggi: Dorazio, pur trovando nel reticolo un suo simbolo, va oltre un motivo unico o prevalente come Carla Accardi o a pochi stilemi come altri artisti del gruppo. Nel
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1962 viene invitato a far parte del Gruppo Zero, con cui condivide numerose mostre collettive e pubblicazioni. La vicinanza dell’arte di Dorazio alle sperimentazioni ottico cinetiche, in quegli anni caratterizzate dalla ricerca di nuove forme espressive e procedimenti artistici, si concretizza non in una sperimentazione materiale tramite l’inserimento di elementi tecnologici nel processo creativo dell’opera, ma in una continua ricerca sulla luce e sul colore in relazione alla sintesi percettiva della visione. Allo scadere degli anni Sessanta le composizioni coloristiche di Dorazio allargano le superfici, tornando spesso sulle riflessioni iniziali. Negli anni Settanta torna alle sperimentazioni cubo-futuriste, riprendendo gli anni Quaranta quando era stato in Francia dove ha incontrato tra gli altri Magnelli, Severini, Balla e certamente Picasso, Braque e Léger. Sono gli anni dei colori puri a contrasto, volutamente inespressivi, simbolo di un geometrismo puro, che si contraddistinguono per la singolare emanazione di una luce propria. C’è quasi un effetto pongo e l’opera diventa tridimensionale per un effetto ottico, con il colore materico, stratificato. Gli anni Ottanta poi rappresentano la sintesi perfetta dei due decenni precedenti, fondendo linea e colore, con velature che mostrano stratificazioni successive. Gli anni Novanta, infine, segnano l’ingresso di linee curve e forme tonde nelle sue opere, meno potenti, anche in termini di quotazione. Il percorso termina con quattro carte che coprono un periodo che va dal 1957 al 1988, opere con prezzi accessibili che però il mercato mostra di apprezzare. Nella sua arte si ritrovano, come accennato, componenti diverse, dal futurismo di Balla, Boccioni, Severini e Magnelli, al suprematismo di Malevič, all’astrattismo di Kandinskij, insieme a molte altre fonti.
a cura di Ilaria Guidantoni