Alla Galleria d’arte Olio su Tavola di Lucca, con uno spazio bistrot, punto di incontro, luogo da vivere, è stata inaugurata la personale, allestita fino al 10 settembre, Rebirth in nagnificart dell’artista bolognese Naby, nome d’arte creato dal titolare dello spazio Filippo Bacci di Capaci, che ha spinto quest’artista ad esporre, per un’insegnante bolognese che è arrivata non giovanissima – con una lunga pausa di trent’anni prima di ricominciare tra il 2016 e il 2017 – ad esporre decidendo di non identificare le proprie opere d’arte con un volto. Artista tormentata e raffinata, ha scelto la carta e le carte, materia poco valorizzata in Italia, per raccontare le proprie storie. Insegnante di scuola primaria, figlia di un ferroviere, ci ha raccontato il rapporto fondamentale con il padre, uomo rigoroso, severo che però le ha permesso di viaggiare. Così il treno è diventato nel suo immaginario il mezzo per fuggire verso luoghi migliori con la libertà di scendere alla prossima fermata. Della sua infanzia ricorda il sogno di essere artista che i suoi genitori, malgrado le abbiano permesso di diplomarsi all’Accademia delle Belle arti, volevano insegnante; il suo amore per i cavalli – l’animale ritenuto simbolo di bellezza e perfezione – e il desiderio di cavalcare che in famiglia è stato ostacolato e, nelle pareti domestiche, storie non esaltanti. Un materiale di dolore rielaborato in un’arte che con grande raffinatezza racconta la necessità di risorgere come le sue eleganti figure femminili, protette dalla sensorialità, con guanti, senza occhi. Donne che forse hanno scelto di non sentire più per non soffrire. Sono manichini, come collage, dai contorni imperfetti quali Diana, che simboleggia l’artista stessa, dopo un abbandono d’amore drammatico che risorge come l’araba fenice per lanciare aerei, fortificata; o figure femminili che l’hanno aiutata dopo un terribile incidente o ancora donne ferite, che con il cuore
trafitto, vanno incontro alla vita. Restano in ogni caso le donne a raccogliere i pezzi durante e dopo la Guerra e con essi le donne ricompongono gli abiti come Arlecchini senza più volto e sangue col cuore trafitto e senza pelle. Tra le opere esposte la serie delle Case chiuse, colorate e allegre di primo acchito ma senza porte e finestre, case impenetrabili dove si consuma violenza e le donne, ancora una volta sono vittime. Case delle quali non si può uscire come ad esempio durante la pandemia. E poi ci sono i Treni, simbolo di velocità e di libertà, treni che diventano quasi Aerei come quelli americani, invisibili, che non sono intercettabili ma che possono colpire. Sono aerei da guerra sì, ha sottolineato l’artista, ma non da attacco, da difesa e quindi simbolo dell’amore che va difeso, protetto, messo al riparo. L’immagine di questo aereo ha colpito l’artista perché le ricorda una ‘farfallina che vola’, un’immagine femminile e non una forma fallica tipicamente legata all’idea dell’aereo. Ci sono ancora le immagini delle battaglie, della guerra, quando le donne sono vittime predilette di demoni e infine appunto i cavalli. Unica opera non cartacea infatti proprio un cavallo, creatura totemica per eccellenza, che fa parte della più ampia installazione “Play with us”, pensata e realizzata per l’Hilton Molino Stucky di Venezia in occasione dei 100 anni del Gruppo Hilton. L’opera è stata esposta a Venezia
collateralmente alla Biennale Arte di Venezia, da maggio a novembre 2019, realizzata con materiali all’avanguardia, e musicata da Max Casacci, leader del gruppo musicale torinese “Subsonica”. Da gennaio 2020 a novembre 2021 è stata esposta presso il Museo Nazionale della giostra e dello spettacolo popolare di Bergantino. Le Mostre hanno goduto dei patrocini del Comune di Venezia, di Bergantino e della Regione Veneto. Hanno visto la presenza del regista Luca Verdone al loro finissage. Il sogno di Naby resta quello di una grande installazione, di un ambiente da vivere e, se oggi potesse scegliere, di fare il macchinista di un treno verso un futuro migliore, per accogliere soprattutto i suoi bambini.
Di tutt’altro genere l’arte dell’artista romana
Silvia Tuccimei, della quale in galleria sono esposte alcune opere di una mostra appena conclusa, che lavora su un doppio binario, rispettivamente quella della scultura di piccolo formato, figurativa, dedicata agli animali e della pittura di grande formato. Dopo aver maturato un’esperienza all’estero importante in Francia, segnatamente a Parigi, e in Australia, oggi la sua arte ricalca da una parte l’arte classica legandosi al tema degli animali talora venerati, in altri casi sfruttati. La sua pittura invece diventa
illusione ottica, così allontanandosi dal quadro o guardando l’opera attraverso il cellulare, si definiscono i particolari di alcuni ritratti o autoritratti. Così ad occhio nudo le sue composizioni sembrano disegni geometrici mentre con l’ausilio di un obiettivo la forma celata diventa visibile, creando una metafora dell’importanza di andare oltre alle apparenze, riportando alla superficie il materiale onirico e dell’inconscio.
a cura di Ilaria Guidantoni