Nell’incantevole borgo di San Ginesio in provincia di Macerata si è appena conclusa la terza edizione del Ginesio Fest, Festival delle Arti Teatrali, ideato da Remo Girone e con la direzione artistica di Leonardo Lidi. Non solo spettacoli ma un’occasione per un ambito Premio all’Arte dell’Attore che onora protagonisti e promesse della scena, ma anche laboratorio per allievi e incontri con gli artisti. Far nascere un’importante evento in un luogo che porta ancora i segni del terremoto del 2016 (i cui gioielli medievali e romanici meritano un più che sollecito restauro e non la semplice messa in sicurezza) è un piccolo miracolo realizzato grazie alla tenacia della direttrice generale Isabella Parrucci, supportata da uno staff efficiente e disponibile a risolvere ogni imprevisto. Dopo la simpatica e informale cerimonia d’inaugurazione condotta dall’attore Christian La Rosa alla presenza del sindaco Giuliano Ciabocco, il programma sì è aperto con una deliziosa commedia francese Due vecchiette vanno al Nord di Pierre Notte con Angela Malfitano e Francesca Mazza. Seguiamo le peripezie tragicomiche di due mature
sorelle, Annette e Bernadette, che decidono, in seguito alla morte della madre quasi centenaria, di tumularne le ceneri nella tomba del padre, mancato da 25 anni, che però ignorano dove si possa trovare: non sanno infatti in quale cimitero sia stato sepolto. Censiti i camposanti a nord di Parigi senza successo, decidono di spostarsi nella zona di Amiens nell’Alta Francia: stanche di aspettare al capolinea la partenza dell’autobus, ne sequestrano uno da 60 posti, iniziando uno spericolato viaggio on the road, distruggendo una decina di automobili e finendo ovviamente al commissariato dove riescono, sfinendo gli agenti con la loro logorrea, a farsi rilasciare e proseguire la ricerca. Non manca una sosta in discoteca dove la più intraprendente riassapora i brividi del focoso corteggiamento da parte di un sedicenne. La perseveranza viene infine premiata e, dopo aver ispezionato parecchi cimiteri, finalmente trovano la sospirata tomba, festeggiando con una colossale ubriacatura, prima di tornarsene alla loro bottega di paese. Mazza (attrice formatasi con Leo de Berardinis e immancabile nelle creazioni della compagnia Fanny & Alexander) e Malfitano, autodirette, ci regalano un mix di perfidia e tenerezza, ingenuità e cattiveria che solo i rapporti tra sorelle o fratelli possono avere, il tutto con tempi comici perfetti, battute fulminanti e intermezzi canori inaspettati: semplicemente strepitose.
Il direttore Leonardo Lidi (giovane regista ma già affermato e pluripremiato, nonché attore al cinema e in tv, e che ha da poco debuttato al Festival dei Due Mondi di Spoleto con Il gabbiano di Cecov) nella sua qualità di vicedirettore e coordinatore didattico della Scuola del Teatro Stabile di Torino ha portato a San Ginesio un gruppo di allievi con cui ha avviato una serie di laboratori. Gli abbiamo chiesto di parlarcene come pure delle linee guida di questa sua prima esperienza di direttore artistico del festival. “Sono felice per questo incarico perché credo di aver tenuto una certa coerenza tra i ruoli di attore, regista, drammaturgo, direttore artistico e la nomina dello scorso anno a vicedirettore della scuola i cui ragazzi sono qui con noi. La chiamata a San Ginesio è arrivata da Isabella Parrucci e dal sindaco che mi hanno raccontato del Premio e del festival al quale ha fatto seguito e mi sono subito rimboccato le maniche per portare quello in cui credo, senza aggrapparmi a costrizioni o mode. Io credo nel teatro di parola come forma di condivisione: è una miniera d’oro poco esplorata, in un momento in cui la tecnologia offre molte comodità che però paghiamo col contrappasso del distanziamento sociale prima consigliato e poi imposto. Il teatro può intervenire nel ricordarci l’importanza dell’altro e quindi del condividere spazio, tempo ed emozioni con altre persone. Ecco perché in questo primo anno ho deciso d’invitare artisti del teatro di parola che hanno bisogno di un testo, che necessitano di materiale drammaturgico, avendo particolare attenzione alle compagnie che agiscono sul campo, perché questo è un luogo ferito che necessita non di artisti che passano e vanno ma di condividere emozioni: penso che con il Covid tanti di noi avranno sempre più bisogno di questo. Ho quindi chiamato compagnie che da anni lavorano con le mani nella marmellata, cioè nel territorio, passando dall’università ai bambini e al sociale. Ho quindi cercato di avere grandi attori ma anche artisti con queste caratteristiche: per me quest’anno il festival è la capacità di parlare in modo semplice a ogni tipo di pubblico.” Nel suo percorso artistico salta agli occhi il breve intervallo di tempo in cui è passato dal lavoro di attore alla regia. “In realtà sono due ruoli che ho sempre svolto in parallelo: firmo il mio primo studio da regista a 17 anni a Piacenza, la mia città, dove al Filodrammatici dirigevo i ragazzini e gli attori amatoriali. La spinta è sempre stata l’interesse più per gli altri che per me stesso. Questa assenza di egocentrismo mi ha sempre fatto sentire più a mio agio nella direzione. Mi sono tolto dal palcoscenico da tre anni ma continuo con il cinema perché mi diverte e implica sì impegno ma non una costanza temporale e un allenamento quotidiano che invece il teatro richiede ai suoi attori: preferisco canalizzare le energie verso la regia. Come direttore di una scuola con 20 allievi, penso non sia corretto etichettarli come attori di teatro, cinema o televisione: la cosa più importante per un attore oggi è la credibilità: l’istinto può essere un’arma a suo vantaggio ma è più importante l’intelligenza di sapersi porre nella sua realtà. Cerco di insegnare a non attendere che qualcun altro ti tracci la strada e tu lo aspetti come una foglia al vento ma devi cercare di non nasconderti dietro la carta d’identità e di essere presente a te stesso. Se un attore tiene alta la sua credibilità e non si lascia ingabbiare da un unico maestro o forma di recitazione ha la possibilità di sconfinare in tutte le forme espressive. Abbiamo Remo Girone come Presidente della giuria del Premio che è stato capace di fare proprio
questo: nello stesso momento girava La piovra e in teatro interpretava Zio Vanja, Lino Guanciale, uno dei nostri premiati, è al Piccolo di Milano ed è con me nella fiction Noi. L’intenzione e la speranza qui a San Ginesio è quella di farlo diventare un borgo degli attori che non sono coloro che, come infelicemente qualcuno ha sentenziato, ci devono far divertire, ma che vengono a recitare, a incontrare il pubblico per illustrare il loro lavoro e anche a condurre, come nel caso di Christian La Rosa in questa edizione.” Siamo tornati sotto le stelle nel suggestivo chiostro di Sant’Agostino per vedere Lino Musella, attore che concilia benissimo teatro, cinema (è nelle sale con Il pataffio) e televisione (tra le diverse fiction è apparso da poco in L’ora), protagonista di L’ammore nun’è ammore, un prezioso collage dei Sonetti di Shakespeare, meno noti delle sue tragedie e commedie ma non meno pregevoli. Come si evince dal titolo, 30 di loro sono stati “traditi” e tradotti in napoletano da Dario Jacobelli, sceneggiatore cinematografico e autore di canzoni per Beppe Barra, Daniele Sepe e 99 Posse. In origine si tratta di una collezione di 154 sonetti (126 dedicati a una donna e 28 a un uomo) pubblicati nel 1609 ma difficilmente databili secondo una scansione cronologica, dove non compaiono personaggi definiti ma tematiche come lo scorrere del tempo, la caducità dei sentimenti, la bellezza, la mortalità e, ovviamente, l’amore. E’ soprattutto quest’ultimo a cui si ispira Musella per un’emozionante performance supportata da pochissimi elementi scenici: un tavolino da trucco, una parrucca bianca, un velo di cipria ed ecco che da uomo si trasforma in una vecchia signora amareggiata dalla vita e dallo sfiorire della beltà; una vestaglia da camera e diventa un amante abbandonato o tradito; una bianca canotta e si trasforma in un aitante giovanotto pronto a combattere per conquistarsi i favori dell’amata. Inaspettate sono le sue discese tra il pubblico, prima bendato e guidato dalle mani degli spettatori e poi per declamare un “sonetto segreto” nelle orecchie di uno di loro per mezzo di una lunga canna di gomma. Fondamentale l’accompagnamento musicale live di Mario Vidino ai cordofoni e alle percussioni che si sposa alla perfezione con l’armonia e il fascino della lingua napoletana pur talvolta enigmatica. Gli applausi sono così insistenti da costringerli a un bis. Per il suo contributo al programma Remo Girone ha optato per un reading di brani tratti da La crociata dei bambini del francese Marcel Schwob (1867-1905), pubblicato con una prefazione di Borges dall’editrice Se. Si narra di due spedizioni di ragazzini, una proveniente dalla Germania, l’altra dalla Francia, che nel 1212 si mettono in cammino con meta Gerusalemme per riscattare il Santo Sepolcro, convinti di poter attraversare il mare a piedi per mezzo di un miracolo, lo stesso che fece camminare Mosè sulle acque del mar Rosso. Il destino li vedrà invece morire o finire imprigionati o ridotti in schiavitù. Dividendola in tre giornate, il Presidente si è alternato nella lettura con alcuni allievi della scuola torinese, scegliendo come location un belvedere con le dolci colline sullo sfondo, illuminate dalla luce del tramonto. Lo abbiamo incontrato per farci raccontare la genesi del festival e le sue aspettative. “L’idea è nata in una riunione tenutasi tempo fa a Monte Carlo tra i Comuni Arancioni di cui San Ginesio fa parte: in quell’occasione ho conosciuto il sindaco e mi sono ricordato di quando, studente all’Accademia di Arte Drammatica, ci diedero una medaglietta raffigurante proprio San Ginesio, un martire cristiano diventato protettore degli attori. Gli ho allora proposto di ideare un premio dedicato a questi ultimi: mi ha richiamato due anni fa dicendo che erano pronti e in pochissimo tempo abbiamo realizzato la prima edizione. Lo scorso anno abbiamo fatto la seconda e ora siamo alla terza: l’obiettivo è quello di far diventare il borgo una sorta di casa per gli attori di teatro. Viaggio spesso in Italia e osservo che l’attore gode di una stima particolare presso il pubblico. L’ho verificato durante la pandemia facendo uno spettacolo all’Opera di Roma, Zaide, un singspiel incompiuto di Mozart, diretto da Graham Vick, con un sostanzioso intervento di Italo Calvino che ricrea il libretto perduto. In parte è cantato ma c’è il testo che prospetta varie soluzioni della trama: se il tenore
s’innamora del soprano, succede questo, se s’innamora del baritono succede quest’altro. Dopo 5 recite le sale sono state chiuse e in quel periodo mi sono reso conto che la gente aveva proprio fame di teatro.” Dopo tanto cinema e televisione è tornato in palcoscenico e al Campaniateatrofestival ha debuttato con Il cacciatore di nazisti, basato sugli scritti di Simon Wiesenthal, che sarà in tournée a dicembre al Franco Parenti di Milano. “E’ un monologo scritto e diretto da Giorgio Gallione in cui io sono Wiesenthal: un certo punto lui dice che la cosa più importante per comunicare l’emozione è la testimonianza di chi le cose le ha vissute. Scampato a 5 campi di concentramento, motiva il suo impegno con la speranza che quanto accaduto non si possa ripetere. Con il caustico umorismo ebraico ricorda anche i numerosi film che gli sono stati dedicati e la serie per la tv con Ben Kingsley.” Teatro, cinema e televisione: quali debiti di riconoscenza pensa di avere con questi media? “Il debito ce l’ho con tutti e tre e anche con la radio: un attore moderno deve avere la possibilità di potersi esprimere con ogni mezzo anche se la grossa popolarità viene soprattutto dalla televisione e dal cinema. In effetti si aiutano l’un l’altro: davanti alla macchina da presa c’è la necessità di essere veri che non è automatica facendo solo teatro, perché quest’ultimo ti porta a lavorare molto sulla parola mente il cinema ti costringe all’interiorità. Quel tipo di recitazione cinematografica, necessaria per portare un senso di verità, si può poi trasportare a teatro con grande vantaggio. La televisione ha necessità di un tipo di recitazione che è una via di mezzo tra teatro e cinema: bisogna forzare un po’ le emozioni che vuoi trasmettere.” Lo vedremo presto anche in tv nei panni di un ex operaio italiano emigrato in Svizzera al centro di una saga familiare ma c’è per il futuro un progetto con sua moglie, l’attrice Victoria Zinny, che lo accompagna al festival e con cui ha già lavorato? “Quando abbiamo potuto lo abbiamo fatto, ora penso dovremmo
pensare a qualcosa in cinema o televisione: abbiamo di recente partecipato a un corto molto carino e quando è possibile cerchiamo di lavorare insieme, anche se le coppie in generale non sono mai ben viste….” Il programma degli spettacoli è proseguito con Mistero Buffo per la regia di Eugenio Allegri: l’iconico testo di Dario Fo e Franca Rame ha trovato in Matthias Martelli un nuovo, brillante interprete che, senza voler imitare il Maestro, ha saputo rivitalizzare le storie raccontate da un giullare del popolo che, sfidando le ire dei benpensanti, non teme di demistificare il sacro e il potere. Ispirato a 3 audiocassette incise negli anni ottanta è Gianni, un monologo di e con Caroline Baglioni che dopo 20 anni ha ritrovato quella sorta di testamento sonoro dello zio Gianni Pampanini, affetto da depressione e scomparso nel 2001. Nelle registrazioni descrive se stesso, le sue inquietudini, i suoi desideri e il rapporto con la società. Si ritorna a sorridere riparlando di Shakespeare con Woody Neri di Sotterraneo Teatro che ha proposto Shakespearology, dove, a somiglianza delle radiofoniche Interviste Impossibili degli anni settanta in cui famosi personaggi del passato venivano messi sotto torchio
da uomini e donne di cultura contemporanei, il Bardo viene interrogato sulla sua vita pubblica e privata da alcuni giovani teatranti di oggi che udiamo fuori campo. Nonostante l’eclettismo e la simpatia di Neri che, nei panni del drammaturgo, recita, balla e canta egregiamente, il lavoro presenta qualche fragilità nella sua struttura. In prima nazionale e prodotto dal Ginesio Fest, Michele Di Mauro è interprete e regista di Concerto per Vitaliano, un dittico (Solo R.H. e Oscillazioni) composto dallo scrittore vicentino Vitaliano Trevisan che non è più con noi. Il primo fu scritto per Roberto Herlitzka che lo interpretò nel 2007 a Roma alla rassegna di teatro omosessuale Garofano Verde. E’ la cronaca di una relazione tossica tra due uomini, un giovane ricco e infelice che mantiene un maturo scrittore fallito solo per la sua soddisfazione sessuale, destinata a finire in tragedia. Nel secondo a raccontare la sua storia è un uomo che, legato sentimentalmente a una compagna con il patto di non sposarsi e di non avere figli, viene da lei ingannato e si ritrova suo malgrado marito e padre di un figlio che, sin dalla nascita, non vorrà mai vedere, abbandonando entrambi. Nel giorno del settimo compleanno del bambino accetta l’invito a cena da parte della moglie, ma avvertiamo che un dramma è alle porte. Di Mauro, servito al meglio dall’impianto sonoro di Franco Visioli, ci regala una performance di altissima qualità, toccando le corde del tragico senza eccessi, lontano dal naturalismo, lasciandoci due ritratti indimenticabili. Da non dimenticare nel cartellone gli spettacoli destinati all’infanzia e adolescenza e il laboratorio intensivo per studenti delle scuole superiori. Gran finale in piazza Gentili con la premiazione: quest’anno dalla giuria composta da Remo Girone, Rodolfo di Giammarco, Lucia Mascino, Francesca Merloni e Giampiero Solari, sono stati prescelti Lino Guanciale, Paolo Pierobon e Petra Valentini: due attori che non hanno bisogno di presentazioni e una giovane attrice che è già stata diretta da registi di successo e che vedremo allo Stabile di Torino nella pièce di Liv Ferracchiati Uno spettacolo di fantascienza. Arrivederci al prossimo anno sempre sotto l’egida di San Ginesio.
a cura di Mario Cervio Gualersi