Il docufilm sull’artista che, come pochi altri, ha saputo raccontare gli incubi, le ossessioni e i fantasmi degli esseri umani, ma anche le straordinarie creature fantastiche che nascono dalle loro menti dissacranti. Nelle sale solo il 6, 7, 8 marzo un viaggio tra le opere più impressionanti e nell’immaginario più segreto del pittore nel film di
Jean-Claude Carrière, narratore, drammaturgo, filosofo, sceneggiatore che ha sottolineato come sia sempre “molto affascinante penetrare nell’intimità di un pittore, indagando ciò che ha fatto per sé e non per gli altri“. Così ci si chiede perché tenesse in casa proprio i quadri più lugubri. Il film ha il merito di non essere didascalico, tutt’altro, contenendo anche delle inesattezze consapevoli perché Carrière non è interessato a raccontare una biografia ma l’anima di un grande artista che ha attraversato il Settecento spagnolo e francese, vedendo crollare gli
ideali della Rivoluzione del 1789 quando nel 1793 il re viene giustiziato. Questo pittore, aragonese, sordo, eppure molto potente, concentra tutta la sua forza nella visione della sua Spagna, ora quasi violenta, espressionista, brutale ora estremamente delicata e raffinata. Goya è interessato all’uomo, a tutti gli uomini, i nobili e i poveri, i contadini che ridono alla fine di una giornata di lavoro e i sofferenti nelle prigioni, negli ospedali.
Dopo essere stato presentato al 75esimo Festival di Cannes, arriva nelle sale italiane L’ombra di Goya, il docu-film diretto da José Luis López-Linares e scritto da Jean-Claude Carrière (1931-2021), e Cristina Otero Roth. Il regista del film campione d’incassi Bosch. Il giardino dei sogni ha scelto un team di dodici specialisti di tutte le discipline, tra cui Julian Schnabel e Carlos Saura, per cercare di decifrare la ricca e sinuosa opera del genio spagnolo in questo suo nuovo affascinante documentario corale. Questo film è anche un viaggio, quello del regista in Spagna, per vedere i luoghi di Goya, lui storico amico e collaboratore di Luis Buñuel, sceneggiatore, scrittore, attore e regista, che López-Linares ha avuto la fortuna di filmare un anno prima della sua scomparsa, ripercorrendo con lui le orme di Francisco José de
Goya Lucientes (1746-1828) . Il racconto è un dialogo intimo tra il regista e il pittore.
Eccezionale ritrattista, celebrato pittore della corte spagnola, narratore acuto e spietato osservatore dei vizi, dei paradossi umani e dell’ipocrisia moderna, rappresenta uno dei giganti della storia dell’arte. I suoi capolavori, dal Colosso alla Maja vestida, dalla Maja desnuda al 3 maggio 1808, da La famiglia di Carlo IV a Saturno che divora i suoi figli passando per la celebre serie dei Capricci – in cui ha indagato i temi della follia, della stregoneria e degli incubi più inconsci – raccontano una sensibilità straordinaria e una mente in continuo movimento, in perenne ricerca. Una ricerca e un interrogarsi sul destino umano che rappresenta la cifra più impressionante e potente di Goya, dall’infanzia trascorsa a Saragozza, dove emerse per la prima volta la sua urgenza di diventare artista, sino alle pinturas negras della Quinta del Sordo, la casa fuori Madrid in cui si ritirò in un drammatico isolamento prima di recarsi a Bordeaux, dove si spegne nel 1828. La fine del Settecento, del resto, non aveva segnato solo la fine di un secolo, ma un passaggio cruciale tra vecchio e nuovo, in bilico tra antiche ossessioni e nuovi indomiti fantasmi. Dopo la Rivoluzione francese, i semi del cambiamento politico e sociale erano stati irrimediabilmente gettati e l’Europa non sarebbe stata più la stessa. È in questo contesto che si muove il dissacrante pittore spagnolo nel cui immaginario e nelle cui creature fantastiche predominano i temi della rivoluzione, del carnevale e della rivolta all’ordine precostituito. Una capacità speciale di indagare i mondi alla rovescia in cui vengono ribaltate tutte le gerarchie: quelle tra servi e padroni, quelle tra uomini e animali, quelle tra maschile e femminile.
Nel corso della narrazione ognuno degli intervistati fa luce a modo suo su un artista dall’incredibile ricchezza espressiva (un otorinolaringoiatra si cimenta, ad esempio, nel rintracciare nei quadri le conseguenze della sordità del pittore) avvicinando tra loro i tasselli di un viaggio che esplora la relazione tra cultura ed emozioni, cinema e pittura. Invece di prediligere il percorso cronologico, il film riesce a spaziare tra opere di periodi diversi con cui Goya smaschera vizi e ipocrisie della sua epoca, tutte collegate tra loro dalla guida acuta e dalle riflessioni illuminanti di Jean-Claude Carrière, che non manca di individuare i legami artistici tra il pittore e il regista di Un chien andalou, accomunati dall’essere originari dell’Aragona, dalla sordità e dalla predilezione per una narrazione di tipo surrealista. E ancora il confronto con il Caravaggio nel dipingere lo stesso soggetto, Giuditta che taglia la testa di Oloferne e che nel quadro di Goya perde i tratti sanguigni, la rabbia, per assumere una singolare malinconia, quasi una dolcezza.
Racconta il regista José Luis López-Linares: “Abbiamo passeggiato nei luoghi in cui Goya ha vissuto e dipinto. Jean-Claude Carrière ha condiviso i suoi pensieri su ciò che questi spazi, queste opere e l’atmosfera che regnava in questi luoghi gli ispiravano via via. La sua conoscenza della materia era enciclopedica e le sue riflessioni vivaci (…). Come regista, mi comporto come un archeologo sensibile, un passante che propone idee, emozioni nascoste dietro ogni scoperta. Mi piace pensare che faccio film anche per i morti, per i miei genitori e i miei amici, per Chesterton e Miguel de Cervantes, per il mio bisnonno Alfredo che ha combattuto ed è morto a Cienfuegos, per Goya naturalmente e per Jean-Claude Carrière. Spero che da dove si trova ora, questo film possa piacergli. Volevo che lo spettatore percepisse il più fedelmente possibile ciò che la sordità di Goya ha cambiato nella sua vita e nella sua arte (…). Il nostro approccio è stato quello di cercare di scavare un buco nelle Pitture nere di Goya per vedere cosa c’era dietro”.
Sono tantissimi gli spunti di riflessione come Goya pittore di Corride che contribuì a istituzionalizzare in un periodo in cui questo spettacolo che fu diviso in tre tempi fu molto avversato dagli Illuministi. E ancora il tema della figura femminile nella Maya desnuda che osò dipingere nuda in una posa sensuale in un’epoca in cui in Spagna questo era assolutamente inconsueto. La grazia, la delizia dei particolari come ad esempio l’indugiare sui piedi delle donne è un altro tratto caratteristico e ancora nelle nature morte con carni squarciate alla brutalità del sangue il senso della vanità umana e quel bianco del grasso che diventa luce. L’analisi poi sull’opera celeberrima Le fucilazioni del 3 maggio del 1814, in un’unica immagine, nell’unità dell’azione e dello spazio, trasferisce la scansione del tempo in passato – rappresentato dai corpi di coloro che sono stati appena fucilati e giacciono a terra – il presente dell’uomo con la camicia bianca, al centro del quadro, che guarda in faccia la morte e il futuro, che si intuisce nei volti terrorizzati di coloro che attendono la morte e tra i quali un uomo impaurito, non ha il coraggio di guardare in faccia la realtà e si copre gli occhi.
Il film è una produzione Mondex Films, Zampa Audiovisual, López Li Films, Fado Filmes, Milonga Productions.
La Grande Arte al Cinema è un progetto originale ed esclusivo di Nexo Digital che per il 2023 è distribuita in esclusiva per l’Italia con i media partner Radio Capital, Sky Arte, MYmovies.it e in collaborazione con Abbonamento Musei.
a cura di Ilaria Guidantoni