Si parla di oltre 300 miliardi di euro. A tanto ammontano i flussi liberati dai liquidity event, ossia le cessioni totali o parziali di aziende, che hanno coinvolto negli ultimi 10 anni le imprese italiane a controllo familiare. Risorse consistenti, raccolte dalle famiglie imprenditoriali italiane, riallocabili nel mercato per finanziare nuove idee di impresa, nuove startup e nuovi investimenti nell’economia reale. A fare i conti è una ricerca condotta da Pictet WM in collaborazione con la School of Management del Politecnico di Milano, che ha analizzato le operazioni chiuse dal 2013 al 2022 (si veda qui il comunicato stampa).
Stando all’analisi, gli affari portati a termine nel decennio in esame sono stati oltre 2.360 e, per le 1.055 operazioni delle quali si conosce il controvalore, la cifra complessiva ammonta a 141 miliardi di euro. Un dato che, proiettato su tutto il campione (includendo, quindi, anche i deal undisclosed) restituisce un ammontare più che raddoppiato. E così, i liquidity event sono diventati un tema strategico per il Paese. Dato che le famiglie e gli imprenditori che ricevono dalla cessione delle loro aziende un ingente flusso di liquidità diventano a loro volta dei veri e propri investitori istituzionali.
Ma andiamo nel dettaglio. L’indagine ha individuato nei 10 anni 2.365 liquidity events: di questi in 853 casi (pari al 36,1%) il controvalore è noto ed è maggiore di 10 milioni, mentre in 202 casi (8,5%) è inferiore a 10 milioni. L’importo medio del deal, dove disponibile, è pari a 134,3 milioni, mentre quello mediano è molto più basso (33,7 milioni), per la presenza di alcune mega-cessioni di importo elevato (sopra 1 miliardo). La maggioranza delle operazioni è sotto i 50milioni.
Per i 1.055 liquidity events con controvalore noto, l’importo complessivo dei deal sui 10 anni è pari a 141,66 miliardi (140,45 miliardi se si considerano solo le operazioni con valore noto maggiore di 10 milioni). Proiettando questo valore su tutto il campione dei 2.365 liquidity events, si può stimare un flusso complessivo pari a circa 300 miliardi nel periodo considerato, come accennato sopra.
Focalizzando l’attenzione sugli 853 liquidity events con valore noto e superiore a 10 milioni, (soglia considerata rilevante) la grande maggioranza delle imprese coinvolte (91,2%) non è quotata in Borsa. Più del 40% di esse ha un’età compresa fra 20 e 50anni e il 47% è attiva nel Nord-Ovest.
Quasi la metà appartiene al settore manifatturiero (codice ateco C). Spesso si tratta di piccole e medie imprese, con attivo inferiore a 50 milioni. Nel 57% dei casi la proprietà è suddivisa fra membri della stessa famiglia, nel 14% dei casi fra membri di più famiglie mentre nel 29% abbiamo un unico imprenditore proprietario. La cessione riguarda mediamente il 74,3% del capitale ed è totalitaria nel 40,9% dei casi.
Più di metà degli acquirenti (437) è rappresentata da una corporate, quasi in egual misura italiana o estera. In generale, i fondi di private equity si rivelano attori importanti nei liquidity events delle aziende familiari: questi hanno partecipato (sia come lead investor che come investitori secondari) in 190 casi, con una buona presenza di player stranieri. Considerando che il numero totale di operazioni di buyout condotte in Italia, nei 10 anni 2013-2022, da fondi di private equity supera i 1000 investimenti – che comerpendono sia le operazioni (su aziende familiari e non) con controvalore disclosed che quelle undisclosed – l’analisi conferma che le aziende familiari rappresentano un importante bacino per l’origination dei fondi.
Infatti combinando i dati di questa ricerca con i dati AIFI (riferimento al numero di investimenti di buyout condotti da fondi italiani di private equity dal 2013 al 2022, primo semestre) che più della metà dei loro investimenti in Italia siano riferiti ad aziende familiari e che nell’ultimo decennio gli investimenti totali siano stati oltre 500.
Per i fondi di private equity che hanno rilevato le quote detenute dalle famiglie in occasione dei liquidity events il valore medio dell’IRR (internal rate of return) annuale, ossia il rendimento successivamente conseguito dall’investimento, è di 36,23% mentre quello mediano è di 29,08%. Considerando che, secondo i dati calcolati da KPMG e AIFI, fra il 2017 e il 2021 l’IRR medio aggregato del mercato del private equity in Italia si aggira fra il 12,5% e il 32,1%, si può affermare che questi investimenti abbiano generato rendimenti decisamente competitivi.
Per quanto riguarda, invece, le società target che si sono quotate a seguito della cessione (attraverso OPV) i rendimenti di Borsa sono stati abbastanza deludenti rispetto all’indice di mercato, mentre le imprese già quotate (in diversi casi delistate nei mesi successivi alla cessione delle quote) hanno generato buoni rendimenti nei mesi precedenti, grazie soprattutto ai premi offerti nelle Opa successive.
Alessandra Losito, equity partner, country head di Pictet Wealth Management in Italia ha commentato: “il wealth management può quindi ricoprire oggi un ruolo centrale, attraverso una gestione strategica e di valore dei flussi di ricchezza generati da queste operazioni che impattano sempre più aziende familiari in Italia. In questo processo supportiamo i nuovi investitori nell’allocazione ottimale di tali risorse, con l’obiettivo di proteggere, sviluppare e trasmettere il patrimonio tra le generazioni e attraverso gli eventi della vita. L’obiettivo è creare un circolo virtuoso dove i flussi risultanti da questi deal vengano poi reimmessi nel mercato sotto forma di investimenti in nuove idee e progetti, generando un impatto positivo nell’economia reale tanto quanto sui mercati finanziari. D’altronde le aziende familiari italiane rappresentano una delle classi imprenditoriali più dinamiche e innovative al mondo. Ringrazio il Politecnico di Milano per aver realizzato con noi questa ricerca, con l’intento di offrire una dettagliata e inedita panoramica delle dinamiche dei liquidity events in Italia negli ultimi 10 anni”.
Giancarlo Giudici, professore ordinario della School of Management del Politecnico di Milano e referente scientifico della ricerca, ha aggiunto: “Ci auguriamo che la nostra analisi possa far emergere al meglio quelli che sono i principali trend che caratterizzano i liquidity events di aziende familiari in Italia e i molteplici impatti che questi possono generare per il tessuto economico del nostro Paese. Oggi le aziende familiari rappresentano, infatti, un bacino di origination importante per il mercato m&a in Italia. L’ingente liquidità liberata negli ultimi 10 anni da questa tipologia di operazioni ha rappresentato un importante flusso di nuove risorse, che si è sicuramente riversanata anche nell’economia reale del Paese”. E ha tenuto a ribadire: “Tra i principali attori coinvolti, i fondi di private equity, dopo i soggetti corporate, sono il più importante investitore nei liquidy events delle aziende familiari italiane. E questa tipologia di investitori professionali svolge un ruolo determinante nell’accompagnare le imprese familiari (soprattutto di piccola e media dimensione) ad approcciare il mercato dei capitali, per crescere ed organizzarsi in maniera più strutturata e manageriale”.