Riunione interlocutoria quella di ieri per Il Consiglio di Amministrazione di TIM, che si è incontrato come previsto, sotto la presidenza di Salvatore Rossi, per esaminare, le due offerte non vincolanti presentate, rispettivamente, dal consorzio formato da CDP Equity e Macquarie Infrastructure and Real Assets (Europe) e da KKR per la NetCo, la nuova società in cui sarà trasferita la rete infrastrutturale del gruppo tlc e nella quale andranno a confluire anche i cavi sottomarini di Sparkle.
In serata, infatti, il gruppo ha comunicato che il Cda si riunirà ancora come previsto il prossimo giovedì 22 per completare l’esame e che “pertanto allo stato attuale nessuna decisione è stata assunta” (si veda qui il comunicato stampa).
Che il Cda avrebbe esaminato le due offerte questa settimana era stato annunciato lo scorso 9 giugno, all’indomani della consegna delle due nuove offerte (si veda altro articolo di BeBeez).
Secondo quanto riferito ieri da Reuters, ad avere più chance di essere accettata e passata al successivo turno di esame, con un accordo di trattativa esclusiva, sarebbe comunque la proposta di KKR, che come noto ha alzato la sua offerta sino a un totale di 23 miliardi di euro, dopo che in aprile aveva offerto 19 miliardi di euro più 2 miliardi di earn out, per un totale quindi di 21 miliardi, compreso il rifinanziamento della quota di debito di TIM che sarò trasferito alla NetCo per circa 10 miliardi di euro, il che già significava un miliardo in più rispetto alla prima proposta presentata a inizio anno (si veda altro articolo di BeBeez).
Quanto al consorzio CDP Equity-Macquarie, non si conoscono i termini della nuova offerta, ma si dice che sia inferiore a quella di KKR, così come era già stato in precedenza. Ricordiamo, infatti, che il consorzio aveva offerto 19,3 miliardi di euro rispetto ai circa 18 miliardi della prima offerta, sempre debito compreso, ma con una quota di contanti più elevata di quella offerta da KKR e quindi con un maggiore impatto potenziale sulla riduzione complessiva del debito di TIM , si diceva per quasi 17 miliardi. Il consorzio CDP-Macquarie, però, deve fronteggiare anche un tema di antitrust, dato che azionisti dell’altra società proprietaria di rete fissa tlc, OpenFiber, sono sempre CDP e Macquarie, rispettivamente, al 60% e al 40%. E infatti non a caso da settimane ormai si dice che CDP e Macquarie stiano lavorando a un’ipotesi di spacchettamento della stessa Open Fiber, con l’acquisizione delle cosiddette aree nere, quelle di maggior valore (più densamente popolate, nelle quali è presente un mercato concorrenziale con almeno due diversi fornitori di servizi di rete a banda ultra larga), da parte degli australiani mentre resterebbero in capo a CDP le cosiddette aree bianche e grigie, con le prime che sono quelle in cui non è previsto che nel giro di un triennio ci sia più di un operatore di rete e con le seconde che sono quelle in cui non è presente alcun operatore e nessuno ha mostrato interesse ad investire (si veda qui sulla definizione di aree nere, grigie e bianche).
Se le cose dovessero andare così, allora è possibile che a quel punto CDP e KKR possano allearsi per rilevare insieme la rete di TIM con Macquarie che esce dalla partita e magari con un altro investitore vicino a CDP e quindi al governo, come F2i, che entri in gioco al suo posto. Peraltro lo stesso amministratore delegato di F2i sgr, Renato Ravanelli, la scorsa settimana aveva avallato l’ipotesi, confermando a Radiocor:“Stiamo dialogando con i soggetti coinvolti”.
Il Cda che voterà sulle offerte sarà per la prima volta dallo scorso gennaio al completo, cioé composto da 15 membri, dopo che il ceo del colosso tlc francese Vivendi, Arnaud De Puyfontaine, si è dimesso dal board a metà gennaio in polemica con l’attuale presidente Salvatore Rossi. Il nuovo consigliere è stato infatti cooptato soltanto lo scorso 14 giugno. Si tratta di Alessandro Pansa, ex Capo della polizia del DIS (Dipartimento delle Informazioni per la Sicurezza), dal 2019 presidente di Sparkle e dal 2022 presidente di Telsy(si veda qui il comunicato stampa).
Indipendentemente dal voto del Cda, però, Vivendi, primo azionista di TIM con il 23,75%, vuole anche che qualsiasi decisione sulla rete sia sottoposta a un voto straordinario degli azionisti, che richiede una maggioranza qualificata. Ricordiamo infatti che più volte nel corso dell’ultimo anno e mezzo il gruppo francese ha fatto capire di avere in mente una valutazione per la NetCo di circa 31 miliardi, compreso il debito, quindi ben altra cifra rispetto a quelle delle offerte anche nella loro versione migliorativa. Lo scorso maggio si diceva Vivendi sarebbe stata disposta a chiudere la partita attorno ai 26 miliardi.
Ricordiamo che incassare quanto più possibile dalla vendita della rete è cruciale per la riduzione del debito di TIM: nel 2022 il debito lordo è aumentato di circa 3,2 miliardi passando dai 22,2 miliardi del 2021 ai 25,37 miliardi dello scorso anno, a fronte di un aumento dei ricavi del 3,1% a 15,79 miliardi di euro, dai 15,32 miliardi del 2021, e a un aumento dell’ebitda del 5,3% a 5,35 miliardi dai precedenti 5,08 miliardi e con un perdita netta in diminuzione a 2,93 miliardi rispetto a un rosso di 8,65 miliardi (si veda altro articolo di BeBeez). Le cose sul fronte del debito non sono migliorate nel primo trimestre del 2023: il debito finanziario netto è salito infatti a 25,8 miliardi di euro a fine marzo, a fronte di un incremento dei ricavi a 3,8 miliardi (+4,3% dal primo trimestre 2022) e dell’ebitda a 1,5 miliardi (+3,8%) (si vedano qui il comunicato stampa e qui la presentazione agli investitori).
Questa ipotesi, insieme a quella che vede TIM rimanere anche con una quota di minoranza nella NetCo, è in linea con la posizione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che ha ripetuto più volte che ci sono “molteplici opzioni” per assicurare al governo il “controllo strategico” della rete. Peraltro è ovvio che sul tema vista la strategicità del settore, il governo potrà utilizzare il suo Golden Power per fissare condizioni o bloccare offerte.