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Al Palazzo Mediceo di Serravezza, villa edificata per volontà di Cosimo I Medici tra il 1561 e il 1564 nell’alta Versilia, in provincia di Lucca, una mostra monografica dedicata all’artista Vito Tongiani, Malgrado tutto il futuro sarà nostro, fino al 10 settembre, promossa dalla Fondazione Terre Medicee della Città di Seravezza, a cura di Edoardo Testori, che si è avvalso della collaborazione di un comitato scientifico coordinato da Giovanni Rimoldi; il catalogo, edito da Bandecchi&Vivaldi, contiene i testi del curatore, di Massimo Bertozzi e di Costantino Paolicchi e un’antologia con gli interventi critici di Luigi Carluccio, Jean Clair e Giovanni Romano.
Il progetto prosegue nell’opera di valorizzazione degli autori più rappresentativi della cultura figurativa contemporanea legati al territorio apuo-versiliese. Vito Tongiani, nato a Matteria, nell’ex provincia italiana di Fiume, da genitori massesi, è un artista che ha vissuto e lavorato a Parigi – quando la città era ancora un simbolo per eccellenza di fucina dell’arte;
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Torino, il cui legame era dettato dalla sua natura industriale; Massa, dove si è dedicato alla rappresentazione delle condizioni disagiate dei contadini; in Marocco, un paese ritenuto da sogno e foriero di una società inclusiva; e, negli ultimi tempi, a Nocchi, negli affascinanti spazi di uno studio ricavato in un’antica limonaia. Il percorso disegnato dall’esposizione mostra un personaggio impegnato dalla parte degli ultimi e sognatore come recita lo stesso titolo poetico, dalla mano sapiente che cita molta pittura figurativa del Novecento con un uso incisivo del pennello, una pittura materica e corposa e una grande capacità nell’uso del colore e della luce. La sua denuncia raccoglieva i disagi sociali dell’Italia del tempo ambientata nel core di ‘città invisibili’, come recita il titolo di un libro di Italo Calvino, quei non luoghi che lo scrittore chiamò “L’inferno dei viventi”.
Su Vito Tongiani pittore molto è stato scritto da parte di eminenti critici quali Jean Clair, Luigi Carluccio, Giovanni Romano, Mario De Micheli e
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Vittorio Sgarbi, ma poco si è visto, soprattutto negli ultimi vent’anni, quando il maestro, alle esposizioni pubbliche e alle mostre in galleria, ha preferito il buen retiro stagionale di Essaouira e Marrakech, in quel Marocco dove la conservazione della complementarità tra uomo e natura gli ha permesso di non perdere di vista il rapporto con la propria storia.
La rassegna antologica presenta un’accurata selezione dei più importanti dipinti dell’artista, in parte inediti o mai esposti al pubblico, con opere provenienti da alcune delle più importanti
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collezioni private e pubbliche del Paese. Realizzate tra il 1970 e il 2023, le opere ripercorrono le esperienze fondamentali del maestro toscano, pittore di figura: dai dipinti degli anni Settanta e Ottanta nei quali si identifica il suo impegno politico e sociale, come nelle rappresentazioni dei contadini di Massa, negli scontri tra studenti e polizia a Torino o nel dipinto del 1975 In piedi davanti a Pier Paolo Pasolini eseguito dubito prima della tragica scomparsa dell’intellettuale. Una parte considerevole è anche legata al tema della pittura come il ritratto d’artista o i suoi attrezzi del mestiere che offrono l’occasione all’artista per riflettere sul valore simbolico dell’oggetto e oltrepassarlo. Una sezione è dedicata alle rappresentazioni di soggetto storico e mitologico degli anni Ottanta e primi anni Duemila che raggiungono la più alta espressione nel 2003 con l’opera Pentesilea morente allontanata dal
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campo di battaglia esposta in permanenza al Senato della Repubblica e prestigioso prestito alla mostra di Seravezza. Sono questi soggetti non sempre dai titoli di immediata riconoscibilità nelle quali l’eco della poetica e anche della figurazione di Giorgio De Chirico e di Alberto Savinio appaiono significativi. E ancora in mostra è visibile il grande ciclo di ambienti, scene di vita popolare, figure femminili in interni concepiti come geometrie di luce e di colore, sviluppato in anni più recenti nel corso di prolungati soggiorni in Marocco. L’utilizzo esuberante del colore dove tono e forma si intrecciano, l’eco della lezione cubista, la luce abbagliante diventano una cifra caratteristica della sua firma e in alcuni lavori vengono in mente opere note di Henri Matisse.
Appartengono a questo contesto di ricerca formale, di esplorazione della figura, di affermazione del primato del disegno e di costante aspirazione alla classicità, i racconti esemplificati emblematicamente nei suoi “naufragi”, dipinti di grande formato dei primi anni Duemila che raffigurano i barconi
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dei migranti clandestini alla deriva o con il loro carico umano in balìa delle onde, le tragedie del mare a cui assistiamo oggi quasi quotidianamente. Un dramma epocale che Vito Tongiani anticipava partecipando al dolore e alla disperazione degli africani con la sua profonda sensibilità e la sua indole progressista e libertaria. Si intrecciano a queste vicende anonime di un’umanità sofferente, quelle di molti volti di donne, soprattutto del sud del Mediterraneo, belle e dolenti insieme.
Gli anni Novanta sono quelli delle grandi committenze pubbliche nel campo delle sculture monumentali con il Monumento a Giacomo Puccini a Lucca nel 1994; la fontana nel centro di Massa con il Trionfo di Afrodite del 1998, i quattro bronzi dei Moschettieri e Suzanne Lenglen al Roland Garros; la Linea Gotica del Cinquale (località del litorale toscano a nord di Forte dei Marmi) del 2004 con una madre che abbraccia
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drammaticamente il figlio, riprendendo da lontano un soggetto del 1974 che ha dato il titolo alla rassegna; e ancora il Monumento a Indro Montanelli nei Giardini della Villa Reale a Milano e ancora il Monumento a Steno Marcegaglia a Gazzoldo degli Ippoliti, in provincia di Mantova, che raffigura il celebre fondatore delle fonderie omonime, nel 2014.
In un ideale percorso temporale, ma non cronologico, che spazia come anticipato dai quadri “politici” dei primi anni Settanta, quando il pittore si sposta dal soggiorno parigino verso la Torino operaia, ai lavori sulla memoria e sul mito, fino alle tele africane, a quelle sui naufragi nel Mediterraneo e ai ritratti delle bellissime e malinconiche modelle, l’esposizione ci consegna un autore stimolante e complesso sempre interessato, pur nella grande diversità dei soggetti, a indagare gli spazi più profondi dell’esistenza umana. Proprio con il Marocco si conclude idealmente la rassegna, come una sintesi, con Marrakech ed Essaouira, l’antica Mogador e le sue figure baciate da una luce struggente dove un’umanità multiforme si dà la mano e accende la speranza.
Un’occasione per scoprire e riscoprire questo allievo del locale Gigi Guadagnucci, altro artista di grande valore, più noto a Parigi che in Italia, il cui successo riconosciuto ha vestito luoghi civili e personaggi noti.
a cura di Ilaria Guidantoni