Impresa e arte, un binomio sempre più diffuso che nella collezione di Bruno e Ilenia Paneghini a Busto Arsizio, trova una sintesi originale. Non solo arte nell’impresa ma anche impresa nell’arte, soluzioni tecnologiche che vestono le opere. Nella sede istituzionale di Reti spa, dove c’è anche la residenza dei Paneghini e altri spazi in corso di definizione, le attività si intrecciano e il design fa da raccordo. Oggetti funzionali e tutti utilizzabili nell’ambito della vita aziendale che diventano protezione per le opere come i tavoli trasparenti che inglobano opere di Piero Gilardi o il Pratone in uno scambio continuo. Una piccola opera di Vedovamazzei in una boule ad esempio, per renderla fruibile è stata montata su una colonna luminosa dietro una lente di ingrandimento. Questi sono solo alcuni degli esempi. Così l’arte non è solo da guardare ma da vivere per le sensazioni che attiva e perché diventa a sua volta ‘oggetto’ seppur in una chiave del tutto particolare. Altro elemento che distingue l’azienda l’introduzione della natura con le piante da frutto che maturano all’interno degli ambienti lavorativi grazie ad un brevetto che permette un ciclo di sviluppo particolare con uno scambio di energie significative. Quella di Paneghini non è solo una collezione, privata per altro ‘prestata’ all’azienda, nel senso che è stata totalmente acquisita con capitali privati, quanto un percorso in divenire nato non da un progetto, almeno inizialmente. E mantiene questo carattere dinamico perché ogni sei mesi circa l’allestimento viene modificato, almeno in parte, e nutrito di contatti personali, di amicizie, che diventano il fil rouge della visita all’interno della collezione: incontri, scambi, visite.
Abbiamo incontrato Bruno Paneghini, Presidente e AD di Reti spa, azienda quotata e fondata nel 1994 che opera nel settore IT Consulting e in particolare nella System Integration nella sua sede storica, nell’ex cotonificio bustocco Venzaghi, una volta scongiurata la possibilità di vederlo trasformato in un centro commerciale, dove c’è anche la dimora familiare, in un contesto unico nel suo genere in cui arte, storia e innovazione tecnologica si incontrano in un connubio inaspettato.
La Collezione, fondata nel 2010, è costituita da un’amp
ia varietà di opere d’arte contemporanea, oltre 300 tra pittura, fotografia, scultura, installazioni e oggetti di design, che prendono avvio dagli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento fino ai giorni nostri senza un filo conduttore preciso, alternando grandi nomi storicizzati e giovani artisti, con una forte spinta a recuperare artisti importanti dimenticati. Un’attenzione importante è riservata alla pittura analitica, della quale ancora non è stato detto tutto che ad esempio negli Stati Uniti è poco apprezzata per l’uso del colore tenue e per la sua delicata raffinatezza. In mostra sono presenti opere di Giorgio Griffa, Elio Marchegiani e del fiorentino Paolo Masi.
Girando per le stanze c’è anche la dimensione della giocosità che dialoga con la serietà dell’impegno lavorativo e così alcune stanze hanno il soffitto decorato con bottoni, torte, nel caso della sala riunioni dove l’umore non è sempre allegro e con pillole in un corridoio con un murale, oggetti artistici colorati che sono calamite incontrando così il gusto del padrone di casa.
L’avventura nasce da una prima opera acquisita del pittore americano Angel Ortiz noto anche con il soprannome di Little Angel per cominciare ad arredare la casa, una villa dell’Ottocento appartenuta ad un medico di una nota famiglia di Busto Arsizio che ormai non versava in buone condizioni. Sei anni di lavori e poi la scelta di un oggetto d’arte che, ci ha confessato Paneghini, non aveva formazione a riguardo né tradizione familiare.
Cominciamo la passeggiata nell’arte nella sala dove tutto è iniziato con Gli Gnomoni e i Quadri comunicanti di Grazia Varisco, un nome che torna più volte nella collezione per mettere in risalto gli impianti a vista e le vernici perlescenti che hanno la caratteristica di cambiare con il variare della luce, impiegate tra l’altro dall’artista-architetto Jorrit Tornquist che insieme all’Architetto Ph.D. Elena Ciapparelli, ha curato gli interni e l’esterno dell’intero complesso. Oggi purtroppo non c’è più ma resta una grande testimonianza e un omaggio che incontreremo alla fine del nostro percorso.
La Collezione è caratterizzata dalla presenza nutrita di opere di grande formato tra cui i cosiddetti “randagi”, opere che spesso non sono facili da collocare, che restano invendute alle aste. Paneghini ha scelto di aprirla anche al territorio e fare entrare al suo interno la città come nella prossima Giornata del Contemporaneo sabato 7 ottobre quando il complesso sarà a porte aperte con visite guidate. La formazione di Paneghini in Olivetti, eccellenza italiana che sin dalla metà del secolo scorso ha prestato grande attenzione al design e alle novità artistiche coeve, è certamente la matrice di quest’iniziativa.
Entriamo così nell’Auditorium che accoglie un percorso su una balconata, escamotage che consente anche la protezione delle opere in occasioni affollate; mentre percorrendo un corridoio troviamo raccolte delle opere di arte cinetica di Grazia Varisco e ad esempio di Peggy Kliafa, una giovane artista greca che ha utilizzato i blister dei medicinali dando l’impressione dell’alluminio.
Passeggiando incontriamo tra gli altri Flavio Favelli, fiorentino, ‘accumulatore seriale’ in chiave artistica
con il suo cielo stellato fatto della carta dei baci Perugina o il suo mosaico di francobolli; la prima scultura della collezione di Helidon XhiXha, una delle prime ad entrare nella collezione, artista di Durazzo, classe 1970; un’opera di Maria Lai con la scritta “L’arte deve diventare cibo da offrire a una mensa comune” che mi pare rappresenti molto bene lo spirito della Collezione; e ancora opere di Arte Povera come quella di Jannis Kounellis.
Un corridoio diventa un muro per un’opera di Street art del milanese Mr. Wany che ha realizzato un lavoro site specific, un treno per Malpensa Express che ha una fermata a Busto Arsizio Nord dove c’è la collezione e sul cui soffitto l’idea del viaggio diventa un trip illustrato con pillole (droghe) colorate calamita.
Si passa così dal primo edificio attraverso una loggia dove si trovano opere
in plastica riciclata per introdurre il tema della sostenibilità caro all’azienda realizzate da Cracking Art per arrivare al secondo edificio.
Qui l’intreccio fra arte, design e natura è molto stretto e in una disposizione suggestiva grazie anche a spazi aperti molto mossi si incontrano, tra le altre, tre opere di Concetto Pozzati, scomparso nel 2017 e un’opera premiata di Marinella Senatore, oltre che di Piero Gilardi. Interessante anche un’opera di Goldsmith&Chiari nato in situ durante una performance.
L’effervescenza di questa singolare Collezione la si vede anche dal cantiere al quale abbiamo dato un’occhiata, che vedrà la realizzazione di un nuovo edificio di grandi dimensioni, la Casa di Buster Keaton al centro dell’opera del duo Stella Scala e Simeone Crispino – Vedovamazzei.
E ancora un Ristorante che dovrebbe essere pronto fine 2024 unendo così due forme di arte.
Altro elemento, ma gli spunti sono tanti ed è come se si aprissero finestre su altri mondi, è la collaborazione con diversi marchi aziendali di design e collaborazioni tra marchi, a cominciare dalla progettazione di cucine funzionanti utilizzate in varie occasioni in una sorta di continuità tra arte e arti, o forme artistiche diverse nelle quali anche la tecnologia per la parte di creatività entra di diritto.
Il terzo edificio è lo spazio di Ilenia, Insegnante certificata di Pilates, dove l’arte diventa parte del benessere legato alla rigenerazione fisica e si apre maggiormente alla Fotografia con una grande opera dell’argentina Nina Surel che applica la ceramica sulle foto con un lavoro di grande impatto. Ci sono anche i grandi nomi come Vanessa Beecroft e Marina Abramovic e Shirin Neshat o artisti come Ben Vautier; accanto a Massimo Vitali con un’opera che rappresenta persone che fanno ginnastica sul tetto della Cité radieuse di Le Corbusier a Marsiglia, unico scatto di quello che sarebbe dovuto essere un reportage e quindi particolarmente prezioso. E ancora un’opera scultura di Bertozzi&Casoni, Gloriosso del 1999.
Rientrando nel primo edificio come a chiudere un cerchio percorriamo la balconata dell’Auditorium e ci imbattiamo nella ‘tradizione’ della pittura italiana con due opere di Ennio Morlotti ci cui un piccolo
Cactus del 1970 di grande potenza. E poi girando per le stanze tra i giovani ci ha colpito un’opera di una giovane artista, 23 anni, già candidata al Premio Cairo, Giuditta Brancani; e ancora l’installazione site specific di Antonella Zazzari con le sue trame di rame e un tappeto avvolto su se stesso realizzato nello stesso materiale.
Di grande impatto
una tavola di dimensioni importante di Daniel Spoerri (acquistata a un’asta de Il Ponte) e, prima di lasciare la Collezione, il tributo a Tornquist con una serie di opere reperite sul mercato dagli Anni Settanta del Novecento a oggi.
Chi è Bruno Paneghini
È di marca Olivettiana l’imprinting imprenditoriale di Bruno Paneghini, che a Ivrea, muovendo i primi passi della sua brillante carriera, respirò i principi di quell’insuperato modello di sviluppo che riusciva a coniugare il miglior spirito industriale, una forte vocazione all’innovazione e un’autentica e concreta attenzione allo sviluppo del territorio e delle comunità d’appartenenza. Uno spirito, una vocazione e un’attenzione che Bruno Paneghini ha poi voluto e saputo trasferire a Busto Arsizio, città che gli ha dato i natali e alla quale dal 1994 ha legato il progetto imprenditoriale di RETI S.p.A.
a cura di Ilaria Guidantoni