La percezione comune del rischio nelle operazioni di m&a si sta capovolgendo: mentre gli ostacoli normativi dei Paesi del Nord Europa, tipicamente percepita come “sicura”, scoraggiano gli investitori statunitensi e asiatici, i mercati tradizionalmente “rischiosi” dell’Europa meridionale non sono più considerati tali.
Emerge dalla seconda edizione annuale del Rapporto Risky Business condotto da Mergermarket per 36Brains, la startup milanese di intelligence privata e investigazioni fondata a fine 2020 da Marianna Vintiadis, ex capo Sud Europa di Kroll, già attiva, oltre che in Italia, anche in Germania (si veda altro articolo di BeBeez). Il report è redatto sulla base di 60 interviste condotte a top manager cinesi e statunitensi a capo di aziende, fondi di private equity e speculativi, per raccogliere informazioni sul rischio di investimento in Europa e sulle nuove tematiche supply chain e ESG (si vedano qui il comunicato stampa e qui l’intero report).
Quello che più sorprende dalle risposte degli interpellati, si diceva, è che ben la metà degli intervistati indica i Paesi nordici come il mercato europeo più rischioso quando si tratta di effettuare un’operazione di m&a cross-border. Sembra di capire che il severo contesto normativo potrebbe influenzare il livello di rischio percepito dai dealmaker che guardano al nord. In sostanza, nella percezione degli investitori, i Paesi nordici, in particolare Svezia e Finlandia, dispongono di un quadro normativo tanto rigoroso da rendere le acquisizioni troppo complesse e lunghe. il Paese considerato meno rischioso per un cross-border m&a è invece la Francia (42%), seguita a parimerito da Italia, Spagna e Portogallo (33%) e poi da Regno Unito e Irlanda (32%), più lontana la Germania (22%).
Detto questo, in generale mentre le tensioni tra USA e Cina aumentano e la guerra tra Ucraina e Russia non sembra proprio vedere una fine imminente, gli investitori asiatici e statunitensi considerano l’Europa come una meta attrattiva e sicura per l’m&a.
Quanto alle migliori opportunità d investimento, i Paesi che sono considerati più interessanti sono invece Regno Unito e Irlanda (37%), seguiti da Germania (17%), Spagna e Portogallo (15%) e Francia (13%). L’Italia è più distante con solo un 8%. L’analisi delle risposte in base all’ubicazione degli intervistati evidenzia comque interessanti variazioni: i partecipanti al sondaggio provenienti dagli Stati Uniti sono in generale più favorevoli alla Francia oltre che al Regno Unito, mentre quelli provenienti dall’Asia sono più propensi a investire in Germania, Spagna e Portogallo e Italia.
Per quanto riguarda la due diligence, poi, i dealmaker sono molto più propensi a richiedere il supporto di terzi quando conducono un’operazione di m&a in Europa rispetto al loro mercato nazionale. In particolare, quasi tutti gli intervistati scelgono di esternalizzare la due diligence su sostenibilità/ESG, risorse umane/lavoro e anticorruzione/reputazione.
“Gli osservatori statunitensi e asiatici vedono grandi opportunità di M&A in Europa. Tuttavia, il controllo sulle operazioni è in aumento, in particolare in relazione ai fattori ESG. Per questo, al fine di garantire il successo sul lungo termine, è sempre più fondamentale avvalersi della collaborazione di consulenti con una conoscenza approfondita non solo delle normative locali, ma delle diverse sfumature relative alle pratiche commerciali”, ha commentato Marianna Vintiadis, ceo e founder di 36 Brains.
E Andrej Klisans, country manager in Germania per 36Brains, ha aggiunto: “Vediamo e continueremo a vedere aziende straniere disinvestire dalla Russia. Questo crea interessanti opportunità per gli investitori in cerca di occasioni in Europa. Nel portare avanti queste operazioni, un passaggio essenziale sarà costituito dalla due diligence delle catene di fornitura, in particolare per quanto riguarda la conformità alle normative ESG, che si stanno facendo sempre più stringenti”.