Dopo oltre tre anni di pandemie, carenze nella catena di approvvigionamento, inflazione e guerre, la situazione di inizio 2024 non è molto diversa, tema pandemia a parte. Anzi. A rincarare la dose ci si mettono anche i cambiamenti climatici e la tecnologia, in particolare l’intelligenza artificiale, una grande opportunità da cogliere, che però rischia di mettere fuori mercato chi non è in grado di sfruttarla. Tutte variabili che vanno a complicare lo scenario nel quale le aziende e i loro manager devono lavorare e che insieme vanno sotto il nome di disruption, cioé lo spiazzamento di aziende, mercati e valori come risultato di cambiamenti economici, sociali, ambientali, politici, normativi o tecnologici. Detto questo, evidentemente i top manager si stanno abituando a gestire questa situazione.
Almeno questo è quanto emerge dall’analisi dell’Alix Partners Disruption Index, il numero nel quale di traducono i risultati dell’indagine annuale condotta dalla società di consulenza strategica globale Alix Partners, che a fine 2023 ha intervistato più di 3 mila ceo e dirigenti senior dei principali paesi a livello mondiale (Stati Uniti, Canada, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Svizzera, Cina, Giappone, Arabia Saudita ed Emirati Arabi), tra cui 200 italiani, con l’obiettivo di analizzare l’entità, la complessità e l’impatto della disruption sulle organizzazioni (si vedano qui il comunicato stampa, qui le slide di presentazione e qui l’intero report). Dall’indagine, presentata ieri alla stampa a Milano, è emerso il disruption index è in calo a quota 72 a inizio 2024 dai 76 punti di inizio 2023 e soprattutto dai 79 punti di inizio 2021, che, riferendosi a interviste condotte a fine 2020, inglobava evidentemente tutte le preoccupazioni dei manager relative all’impatto della pandemia. L’Italia è in linea con il resto del mondo, con un indice sceso a 71 punti dai 73 punti del 2023 e dai 79 punti del 2022.
Ma se questo è il dato di riassunto, resta vero che le sfide da affrontare rimangono acute e sono sempre più fuori dal controllo dei leader. Il 66% dei ceo delle grandi aziende a livello globale è preoccupato per l’impatto che le elezioni presidenziali americane potrà avere sul proprio business, mentre il 68% sostiene che le tensioni con la Cina li stanno spingendo a modificare la propria strategia. Il 68% dei dirigenti considera inoltre le nuove tecnologie, in particolare l’intelligenza artificiale generativa, la più grande opportunità per il prossimo anno, ma allo stesso tempo il 63% degli amministratori delegati afferma che la propria azienda non riesce a tenere il passo con il ritmo del cambiamento tecnologico.
“Stiamo entrando in una nuova era di forze disruptive post-pandemiche, più a lungo termine e meno controllabili. Anche se la nostra ricerca mostra che un numero crescente di leader si sente più fiducioso nella propria capacità di gestire la disruption, è altrettanto vero che la maggioranza dei ceo ritiene che la propria azienda non si stia evolvendo abbastanza velocemente da poter affrontare i cambiamenti in atto”, ha commentato Stefano Aversa, EMEA Chairman e Global Vice-Chairman di AlixPartners.
L’ansia rimane prevalente tra i ceo, con quasi il 60% che teme di perdere il proprio posto di lavoro a causa della disruption. Quasi tutti gli amministratori delegati prevedono di dover rivedere i propri modelli di business nel 2024 e il 63% dei business leader dichiara che li cambieranno in modo significativo nei prossimi mesi.
Circa un terzo dei ceo intervistati identifica l’intelligenza artificiale come la tematica digitale più importante da attenzionare quest’anno. Sebbene il 59% dei dirigenti stia attualmente investendo nell’intelligenza artificiale generativa, solo il 28% riferisce che l’AI è completamente integrata nelle proprie organizzazioni e nei propri flussi di lavoro.
Sul fronte del cambiamento climatico e della transizione energetica, la maggior parte dei business leaders avverte la pressione da parte dei governi e delle autorità di regolamentazione (68%), degli investitori e consigli di amministrazione (64%), dei clienti (58%) e dei dipendenti (57%) affinché i vertici aziendali prendano posizione sulle questioni ambientali.
Per quanto riguarda il contesto macroeconomico, il 41% dei dirigenti intervistati ritiene che l’instabilità dei tassi di interesse e il contesto inflazionistico rappresentino una minaccia, e un terzo vede ancora all’orizzonte il rischio di una recessione.
Restringendo il campo all’Italia, i dirigenti delle aziende italiane guardano con più fiducia all’intelligenza artificiale rispetto ai colleghi degli altri Paesi: l’86% si dichiara ottimista riguardo all’impatto che l’AI avrà sulle loro imprese, il valore più alto a livello globale. Il 60% (rispetto al 49% a livello globale) dichiara di essere all’avanguardia o addirittura leader nel proprio settore per quanto riguarda l’utilizzo della Gen AI, mentre il 74% (59% a livello globale) conferma che le proprie aziende stanno attualmente investendo in piattaforme o applicazioni di intelligenza artificiale generativa.
“Nell’ambito delle sfide percepite, l’intelligenza artificiale generativa costituisce l’unica vera opportunità di disruption, e quella che le aziende possono proattivamente gestire: guerre ed elezioni americane sono fenomeni esogeni, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale generativa è una scelta aziendale discrezionale: anche in questo caso meglio sarebbe essere disruptors piuttosto che disrupted”, ha osservato Dario Duse, Italy Country Leader di AlixPartners, che ha aggiunto: “Le implicazioni a livello business possono essere molteplici e contemporanee: crescita della produttività, miglioramento della customer experience e del customer service, nuovi vettori di crescita dei ricavi e di creazione del valore, soprattutto per quelle organizzazioni che sapranno riconoscere e sfruttare al meglio le sue potenzialità. Il segnale positivo è che l’Italia risulta essere il paese dove questo risulta più chiaro al top management, che nel 70% dei casi vede proprio l’AI e l’evoluzione tecnologica come la principale opportunità nella nutrita lista di disruptive forces”.
Nonostante una visione generalmente più ottimistica riguardo al futuro, permane comunque anche tra i top manager italiani una sensazione di incertezza: il 75% degli intervistati (15 punti in più della media) sostiene che è sempre più difficile capire a quali forze dirompenti dare priorità, mentre particolare preoccupazione destano i tassi di interesse (40%), la deglobalizzazione e il protezionismo (34%) e l’invecchiamento della popolazione (31%).