In maniera assai riduttiva e spiccia viene sempre e solo associata alla madre che ha ucciso i figli, ma Medea è sicuramente di più. Come ci racconta Euripide, Medea è prima la donna vittima dello scontro tra la cultura barbarica della Colchide da cui proviene e quella più raffinata ed evoluta dei Corinti; e Medea è poi quella che, accecata dall’odio, compie il più orrendo dei misfatti. Nella visione di Seneca è invece una folle invasata vittima della sua passione amorosa, mentre Ovidio pone l’accento sulle sue doti magiche.
Lasciando da parte il cinema e i numerosi romanzi dedicati al personaggio, tante sono state altresì nel corso degli anni le letture che ne hanno fatto i nostri registi, ciascuno secondo il proprio segno: ci torna alla mente quella diretta da Luca Ronconi con Franco Branciaroli protagonista e, molto più recenti, quella di Fabrizio Arcuri con Lunetta Savino e quella inaspettatamente tradizionale di Federico Tiezzi con Laura Marinoni viste a Siracusa, mentre attendiamo Medea’s Children di Milo Rau all’imminente Biennale Teatro.
Ad affrontare questa controversa figura non poteva mancare Leonardo Lidi nel suo personale percorso di rivisitazione dei classici, in un intermezzo dalla Trilogia Cechov che sta per completare. Prodotta dal Teatro Stabile di Torino, Medea è andata in scena il mese scorso alle Fonderie Limone di Moncalieri e merita decisamente una ripresa. Intanto ve la raccontiamo.
“Medea ha smesso di esistere”, riflette il regista, aggiungendo: “Il nome e la storia sono stati macchiati dall’evento in maniera indelebile. A me interessa quello che c’è stato prima: m’interessa studiare la fotografia di questa donna innamorata, tradita dall’uomo che amava e infine abbandonata. M’interessava mettere a fuoco l’abbandono ma più che altro la ragione per cui lei è folle d’amore. Se ho scelto di fare Medea è per un motivo personale e uno politico. Io penso che la politica in teatro si faccia non parlando di politica ma mettendo in scena i testi. Nel dibattito pubblico sentire gli spettri del passato che tornano per dire delle cose devastanti, spaventose, ridicole ma comunque molto efficaci, mi ha fatto subito scattare la scintilla. Se sento un politico affermare che la donna deve essere orgogliosa della propria realizzazione solo se diventa madre, allora capisci perché nella nostra società può essere ancora così forte mettere in scena una madre che teatralmente uccide i figli”.
Quello che più ci ha colpito della sua Medea è la dimensione terrena e umana che ha dato al personaggio: è in primis una donna ancora innamorata e crudelmente ferita, come tante lo sono oggi: non a caso si rivolge alla nutrice e al pedagogo, ma soprattutto a noi con il dolente “Soffro, lo capite che soffro?”.
In seconda battuta prendiamo atto del rancore che la macera, della strategia che adotta, delle doti di maga e della risoluzione estrema, ma rimane una vittima del suo amore. Sono davvero molte le invenzioni che Lidi, supportato dall’innovativa traduzione di Umberto Albini e dal dramaturg Riccardo Baudino, hanno ideato per lo spettacolo, senza dimenticare la fascinazione visiva di collocarlo all’interno di un’enorme teca o simil acquario rettangolare e trasparente (forse simbolo di una costrizione della mente), dove il color bianco la fa da padrone, ideata da Nicolas Bovey (che firma anche le luci fisse e livide).
L’incipit vede il pedagogo strimpellare una chitarra elettrica mentre la nutrice ci mette a parte dei tormenti della padrona di casa che entra in scena scalza, come tutti gli altri personaggi, e dimessa. A sorpresa non troviamo la femme fatale della tradizione, ma una donna non più giovane, segnata dalla vita, che dà fiato tra urla e rantoli alla sua disperazione, raggomitolandosi sul pavimento. Di conseguenza Giasone non è l’aitante giovanotto che siamo abituati a vedere, ma un uomo maturo che si presenta in mutande e canottiera. Alle accuse della compagna oppone il suo pragmatismo: il matrimonio con la bella Glauce, figlia del re Creonte, è una mossa per assicurare ai loro figli e a lei stessa un sereno avvenire. Lo scontro tra i due si fa urlato e alquanto fisico mentre il pedagogo canta Put Your Hands On My Shoulder di Paul Anka.
Da questo momento inizia il percorso distruttivo di Medea nell’ordire la vendetta contro Giasone. Prima si garantisce una via di fuga chiedendo ospitalità, sapendo di non poter tornare nella sua terra, a Egeo, re dell’Attica, che promette di aiutare a vincere la sterilità con le sue arti magiche. Lui le si avvicina ma dall’esterno della teca: le loro mani e i loro visi, divisi dal vetro, si giungono in segno d’intesa. Poi, come se stessero ballando in discoteca, finge di accettare la decisione del compagno che non si rende conto dell’inganno. Altra variante registica significativa è quella di sostituire Glauce a Creonte: sarà lei ad annunciare, in un’alternanza di buio e di luce, alla rivale l’ordine dell’esilio per lei e i figli, come sarà lei stessa e non il nunzio a raccontare la tragica fine sua e del padre, entrambi divorati dalle fiamme provocate dai doni stregati di Medea. Lo fa in un bianco abito da sposa prima d’impugnare il microfono e cantare Eternità, successo anni Settanta del gruppo dei Camaleonti. Portando a compimento l’estremo proposito, la madre copre il capo dei bambini (in realtà sono nutrice e pedagogo) con neri cappucci, segno che non rivedranno mai più la luce. Non resta che assistere allo sperdimento e incredulità di Giasone che, saputo dell’eccidio, cerca invano i figli, rievocando i giochi fatti insieme a loro.
“Ho rivisto Medea”, continua Lidi, “nell’interpretazione di Olivia Colman, nella Favorita di Yorgos Lanthimos: istinto, nobiltà e follia ma anche amore incondizionato e irrefrenabile. Non mi piace quando vedo la Grande Medea forte e capace di strategia, con costumi importanti e un trucco pesante, mi sembra un pensiero un po’ macchiettistico. Mi piace vederla attraverso gli occhi dei bambini che parlano così poco ma che vedono tutto. Oggi ci pare incredibile che lei affermi ‘Noi siamo donne incapaci per natura di fare del bene’, ma ricordiamoci che è una donna disegnata da Euripide, un uomo, così come lo sono Hedda Gabler da Ibsen e Monna Lisa da Leonardo da Vinci. Non è casuale che per indagare l’umanità nel profondo i loro creatori abbiano attribuito loro un sesso incerto o comunque che potesse comprenderli entrambi: poi però la penna maschile dice anche “Il giudizio sulle donne cambierà”.
Coerente con il suo disegno, il regista ha voluto che Medea fosse la brava Orietta Notari, amante disperata, donna oltraggiata e madre amorevole; Giasone è Nicola Panelli in un’ottima performance che alterna presunzione, arroganza e ingenuità. Valentina Picello è la palpitante e sollecita nutrice; l’eclettico Alfonso De Vreese dà voce al pedagogo; Marta Malvestiti e Lorenzo Bartoli sono i misurati Glauce ed Egeo. Costumi all’insegna della semplicità e quotidianità di Aurora Damanti e suono di Giacomo Agnifili.
a cura di Mario Cervio Gualersi