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Si prepara a consolidare il mercato Di Luccia & Partners Executive Search, società specializzata nell’executive search per fondi di private equity e loro partecipate, dopo la nomina di Zeno Pellizzari nel ruolo di senior partner and Head of M&A (si veda altro articolo di BeBeez).
Sinora, infatti, la società è cresciuta quasi del tutto organicamente, arruolando una serie di partner con importanti background nel settore HR o come manager di aziende, sia in Italia sia a livello internazionale, con la sole eccezioni di Giappone e Brasile, dove sono state acquisite due società locali, con gli imprenditori-partner che si sono uniti al gruppo. Così a oggi la società conta otto partner in Italia: oltre a Pellizzari, il presidente Giacomo Santucci, il fondatore e managing partner Domenico Di Luccia, Aga Podkowinska, Marco Boido, Laura Ghislandi, Paolo Comoletti. A questi si aggiungono tre partner a Londra (Iwona Hojol, Amanda Joy Ladlow e Diogo Silva); due partner negli Usa (a News York Christopher Roth e a Los Angeles Marc Terry), una partner in Polonia a Varsavia (Agata Wasowska), una in Brasile a San Paolo (Aline Cata Preta), uno in Australia a Melbourne (Dominik Lentowicz) e uno in Giappone a Tokyo (Tatsuya Eguchi). Tutti soggetti che godono di un piano di stock option legati agli obiettivi che saranno raggiunti in un periodo di tre anni dall’ingresso e che permetteranno di acquisire una quota della società che a oggi è interamente di proprietà di Domenico Di Luccia.
Intanto ora, ha spiegato a BeBeez Zeno Pellizzari, l’idea è premere sull’acceleratore e appunto crescere anche per acquisizioni, innanzitutto partendo dall’Italia, ma non escludendo ovviamente di cogliere anche altre opportunità all’estero. Pellizzari ha un passato di 16 anni come top manager nel gruppo Mondadori, prima come head of mergers&acquisitions e poi come general manager di Mondadori International, e prima ancora nell’investment banking di Barclays. Dopo aver lasciato Mondadori, Pellizzari è stato nominato ceo di B Heroes, uno dei principali attori dell’ecosistema italiano dell’innovazione.
Domanda. Il mercato dell’executive search in Italia è oggi appannaggio di sei multinazionali (Egon Zhender, Spencer Stuart, Russell Reynolds, Korn Ferry, Heindrick & Struggles ed Erick Salmon), perché pensate di ricavarvi uno spazio significativo?
Risposta. Le multinazionali sono focalizzate sui top manager di aziende molto grandi, si occupano poco di mid market, dove invece in Italia, ma anche in altri paesi europei, sono attivi tantissimi player di piccole dimensioni, magari con anche 30 anni di storia, fondati da quelli che una volta erano responsabili HR di aziende che hanno deciso di mettersi in proprio. Molti di loro però non hanno un piano di successione ma vantano network di contatti molto interessanti e una struttura organizzativa che funziona. La nostra idea, quindi, è aggregare proprio questi piccoli player e integrarli mantenendo il fondatore nel gruppo per qualche anno, in modo da facilitare l’integrazione e renderla efficiente”.
D. Come si valutano queste società?
R. In questo mercato in genere le valutazioni si aggirano su multipli di 0,8-1 volte il fatturato.
D. Di Luccia & Partners è una società giovane e quindi con disponibilità ancora limitate. Come pensate di finanziare l’m&a?
R. L’idea è pagare proporre all’imprenditore un pagamento in 3-5 anni, con un anticipo del 20-25% che finanzieremmo con risorse proprie e il resto nella forma di earn-out legato ai risultati di bilancio. In sostanza l’operazione in questo modo si autofinanzia, anche perché in genere in questo tipo di business la marginalità è molto elevata. D’altra parte non è possibile acquisire un business di persone e far uscire da subito chi è il fulcro di tutto, nonostante abbia alle spalle una struttura che funziona.
D. Se si presentasse l’opportunità di acquisire società più grandi, e quindi anche il 20-25% subito fosse un esborso troppo oneroso per Di Luccia & Partners, pensereste a farvi finanziare da un fondo?
R. Direi di sì. Abbiamo visto che i fondi di private equity di recente stanno investendo nella consulenza e quindi nei business fatti di persone, potrebbe essere una strada. In partcolare se si trattasse di finanziare un merger.
D. Il mondo del private equity lo conoscete bene perché siete specializzati proprio nel lavorare con i fondi. Ma qual è il vantaggio?
R. E’ molto semplice. Oltre al fatto di poter rispondere alle necessità della managing company, quando deve costruire da zero un team in un paese oppure ampliare il team esistente, avere il rapporto con la società di gestione di significa moltiplicare il portafoglio di contatti e quindi di potenziali clienti, dato che più fondi di private equity hanno partecipazioni in decine di società, nelle quali hanno dei loro rappresentanti che siedono nei consigli di amministrazione. In sostanza, avere 50 fondi clienti significa che parlare con 50 decision maker in relazione a 500 aziende.
D. Non vi interessano clienti nel settore del private debt o del venture capital?
R. Certamente sì, se si tratta di aiutarli a costruire il team. Sul fronte delle partecipate, invece, il venture capital non è nel nostro focus, perché di norma i fondi non mettono parola nel team delle startup o delle scaleup, cosa che invece spesso accade per le aziende oggetto di buyout o anche di operazioni per lo sviluppo. Quello che spesso manca è il cfo, più che il ceo. Sul fronte del private debt, invece, i fondi sono più lontani dalle aziende in portafoglio, se le finanziano soltanto. Cosa diversa è per i fondi ibridi, debito ed equity, che quindi un piede in azienda ce l’hanno.
D. Come funziona questo business. Che tipo di caratteristiche devono avere i partner che lavorano con voi?
R. E’ una industry che lavora ancora molto alla vecchia maniera, nella quale i contatti personali sono praticamente tutto. Un tempo l’asset di un head hunter era il database, ma adesso c’è Linkedin. Quindi quello che conta davvero è come gestisci questi contatti. Ma non basta. I clienti chiedono di essere molto focalizzati sui singoli settori, quindi i partner devono avere anche un solido background industriale. Quindi certo ben vengano persone che hanno esperienze di HR ma anche e soprattutto chi ha gestito persone con il ruolo di manager.