Dopo il default su 450 milioni di euro di bond garantiti e non, su cui a giugno non sono stati pagati gli interessi (si veda qui il comunicato stampa), il gruppo cartario trevigiano Pro-Gest intende trovare quanto prima un accordo consensuale con i creditori al fine di evitare azioni estreme, come la presentazione di istanze di fallimento o l’escussione del pegno sulle azioni della capogruppo Zago Holding da parte del fondo statunitense Carlyle (si veda altro articolo di BeBeez). Così le strade che il nuovo chief restructuring officer Angelo Rodolfi, di concerto con la famiglia Zago, ha davanti sono due: la prima è quella della composizione negoziata della crisi, procedura da attivare entro settembre, su cui punta in particolare il CRO; la seconda è il concordato. A tal fine, è stato appena assoldato in qualità di advisor legale lo studio Chiomenti.
La situazione è, infatti, “assolutamente critica e le tempistiche sono necessariamente strette, visto che tutti i principali creditori finanziari non sono stati pagati e quelli strategici e operativi vengono pagati per garantire l’operatività”, hanno spiegato a BeBeez fonti finanziarie, dopo le nuove rassicurazioni diffuse lo scorso venerdì 26 luglio dal gruppo circa la solidità dell’azienda, che prevede la cessione di asset non strategici (si veda qui il comunicato stampa).
Pro-Gest ha infatti ricordato che “la situazione di default è relativa al non pagamento degli interessi verso i creditori, decisione assunta al fine di preservare la liquidità aziendale, a garanzia della stabilità del flusso di cassa necessario alla ordinaria gestione del business, tra cui il puntuale versamento degli stipendi, contributi e pagamento di imposte e dei fornitori, smentendo qualsiasi implicazione immediata sulla continuità operativa aziendale”. Garantendo, inoltre, “il proprio impegno a proseguire nelle negoziazioni con i creditori necessarie alla soddisfazione di tutti gli stakeholders coinvolti”. L’attuale indebitamento, ha puntualizzato il gruppo, “si era reso necessario nel percorso di crescita e sviluppo aziendale che l’ha contraddistinta negli ultimi decenni, al fine di sostenere investimenti funzionali a garantire l’eccellenza produttiva e la sua verticalità nel settore della carta”.
Ma l’indebitamento complessivo, che include tra l’altro i contratti di leasing e i debiti verso i fornitori, continua ad aumentare. Secondo quanto risulta a BeBeez, avrebbe superato abbondantemente i 600 milioni di euro. Ricordiamo, invece, che a fine settembre 2023 l’indebitamento finanziario netto era di 550,2 milioni di euro, a fronte di 429,5 milioni di euro di ricavi e 69,3 milioni di ebitda normalizzato (si vedano altro articolo di BeBeez e qui la presentazione agli analisti dei risultati dei nove mesi 2023), di cui 118,9 milioni verso le banche, che nel frattempo hanno ritirato gli affidamenti. In cassa il gruppo ha ora meno di 20 milioni.
Pro-Gest conferma “la crescita del fatturato, per volumi e prezzi, nei primi sei mesi del 2024 al di sopra delle aspettative, rispetto a un 2023 caratterizzato da una crisi che ha riguardato tutto il settore” e “conferma come il processo di restructuring ha inevitabilmente prodotto un’analisi puntuale e accurata degli asset ’non-core’, prevedendone la cessione laddove non rispondano a requisiti di operatività o non risultino più strategici ai fini della continuità e crescita aziendale. Riguardo la cessione di asset operativi (ad esempio, della Cartiera di Mantova), Pro-Gest chiarisce che tali operazioni di natura straordinaria saranno accuratamente e puntualmente valutate sulla base delle opportunità di mercato, nel momento in cui ce ne saranno le condizioni”.
Della cessione delle attività strategiche si parla in realtà da tempo e, come spiegato da Reorg a febbraio, “la decisione è arrivata troppo tardi, lasciando poco spazio di manovra ad azionisti e direzione. Vendere nelle attuali condizioni di mercato implicherebbe accettare uno sconto considerevole per quegli asset, Mantova e Ondulati Maranello, che sono considerati i gioielli di punta di Pro-Gest. Sebbene mettere in attesa tali cessioni abbia senso, la società ha perso tempo e ora è sottoposta a una pressione crescente per affrontare le scadenze del debito”.
La Cartiera di Mantova, acquistata nel 2015 e rilanciata con un investimento di 250 milioni, è un impianto all’avanguardia per la produzione di cartone per imballaggi, che ha assorbito la maggior parte delle risorse di Pro-Gest a partire dal 2017. A causa della contrazione della domanda, l’azienda non ha ancora ricevuto offerte per l’impianto.
Pro-Gest ha provato più di un anno fa a rifinanziare il proprio debito con l’assistenza di Goldman Sachs. Ma il tentativo non è poi andato in porto. Ora ritenterà nell’ambito della composizione negoziata della crisi.
Ricordiamo che, a seguito del mancato pagamento degli interessi sulle obbligazioni, Standard & Poor’s prima (si veda qui il comunicato stampa) e Moody’s poi (si veda qui il comunicato stampa) hanno rivisto al ribasso il rating. I bond emessi dal gruppo sono di due tipi. La prima tipologia, che ha un ammontare di 250 milioni con scadenza dicembre 2024 e tasso del 3,25%, non è garantita, riguarda Zago Holding e non ha pagato la cedola il 15 giugno scorso (si veda qui il comunicato stampa di allora). Un eventuale accordo di ristrutturazione di questa emissione, che con il consenso delle parti potrebbe trasformarsi in equity, dovrebbe trovare il consenso di almeno il 75% degli obbligazionisti, tra i quali compaiono DWS Invest e Cheyne Capital, assistiti da Houlihan Lokey e Linklaters.
Le altre tre emissioni, effettuate nel 2020 e nel 2021 (si veda qui il comunicato stampa dell’epoca), riguardano tre società controllate e scadono tutte a dicembre 2025: 75 milioni di Cartitalia, 90 milioni di Cartiere Villa Lagarina e 35 milioni di Tolentino. Questi tre bond sono garantiti da assets sottostanti, come gli immobili, e sono stati tutti sottoscritti da Carlyle – assistito da Rothschild, Milbank e dallo studio PedersoliGattai – che, come abbiamo detto, ha un pegno sulle azioni di Zago Holding. Quest’ultimo fattore ha, quindi, un peso non trascurabile in un eventuale accordo sul bond da 250 milioni non garantito e nella sua ipotetica trasformazione in equity con il consenso di almeno il 75% degli obbligazionisti.