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La Galleria Building di Milano presenta dal 5 aprile al 17 giugno 2023 la mostra Aldo Mondino. Regole per l’inganno, a cura di Alberto Fiz e con la collaborazione dell’Archivio Aldo Mondino, dedicata a uno dei più significativi protagonisti della scena artistica internazionale del dopoguerra. Attraverso una selezione di circa quaranta opere fra dipinti, disegni, sculture e installazioni realizzate tra il 1963 e il 2003, la retrospettiva ripercorre le tappe fondamentali dell’indagine di Aldo Mondino (Torino, 1938 – 2005) evidenziando l’originalità di una ricerca ironica e trasgressiva che ha messo costantemente in discussione i dogmi estetici che si sono succeduti sin dagli anni Sessanta. La mostra è ben illustrata, secondo lo stesso curatore, dalle parole del filosofo Friedrich Nietzsche secondo cui “L’arte è una sana menzogna e una tellurica illusione”. Aldo Mondino spiega infatti l’inganno, quello della sua arte, che è demistificazione dell’aurea di sacralità di cui è circondata e anche una presa di posizione netta con il sistema e il mercato dell’arte. Un vero anarchico, che ama il gioco e l’ironia, famosi i suoi giochi di parole che però non diventano provocazione fine a se stessa. La sua è stata una vita compenetrata di arte e anche i suoi viaggi sono sempre legati alle mete su cui e con cui lavora, scegliendo i materiali locali, anche molto poveri. Una vera fusione esperienziale come quella con il Marocco, paese che amava molto.
La mostra sui tre piani della galleria parte dagli Anni Sessanta, per poi concentrarsi sull’Oriente, ovvero la mediterraneità, secondo la sua lettura di oriente con un nucleo di opere ebraiche, essendo lui stesso di origine ebraica e
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mettendo in connessione la cultura ebraica con il mondo orientale e infine la serie degli Omaggi al secondo piano della galleria. Non solo ritratti perché quando realizza anche nella prima fase della sua carriera i falsi collage in realtà omaggia il cubismo. Una mostra interessante, nutrita e ricca, senza alcune opere che sono diventate in modo riduttivo l’emblema di Mondino come i dervishi.
Aldo Mondino, pur partecipando in maniera attiva al clima dell’Arte Povera, preannuncia, con largo anticipo, la crisi delle ideologie. “La sua passione per l’arte nelle sue infinite declinazioni lo ha condotto a un’indagine di cosciente opposizione verso un sistema omologato, innescando un processo di appropriazione indebita che gli ha consentito di sviluppare un dialogo controverso e attualissimo con la contemporaneità”, afferma Alberto Fiz. Mentre tutta una serie di artisti andrà a New York egli si recherà a Parigi.
Una ricerca, quella di Mondino, che ha saputo incidere sul linguaggio dell’arte diventando un punto di riferimento per la nuova generazione di artisti, come dimostra ad esempio il lavoro di Maurizio Cattelan che in un’intervista immaginaria (ma non troppo) con Mondino gli fa dire: “Un tempo ero convinto che la società di oggi fosse sull’orlo del baratro e che io dovessi essere l’ultimo dei suoi testimoni”. Aldo Mondino. Regole per l’inganno si snoda lungo tre dei piani espositivi di Building.
La mostra prende avvio al piano terra dove appare evidente il dialogo a distanza con l’Arte a partire dall’opera
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emblematica Torre di torrone (1968), nella quale l’artificio architettonico dà vita a una costruzione di scatole di torrone. L’esperienza degli anni Sessanta viene ripercorsa grazie ad alcuni lavori concettuali come ad esempio la serie dei Palloncini (1965-1972) – nella quale si va incontro alla sospensione della pittura che sale verso l’alto, creando un’illusione ottica motivata dal movimento del palloncino che trasporta con sé il dipinto (tra i Palloncini non manca nemmeno quello intitolato Analogia con Paolini del 1967) – e la serie dei Quadri a quadretti (1963-1964) – in cui ogni forma di regola viene ribaltata utilizzando l’immagine come strumento di provocazione dove la perdita dell’aura e la regressione segnica consente all’opera di recuperare una nuova centralità. Non mancano poi le Cadute e le Bilance dove Mondino trasforma la pittura in un’esperienza fisica utilizzando il pigmento come fosse un materiale primario, sviluppando un percorso parallelo a quello dell’Arte Povera che negli stessi anni s’interrogava su concetti quali peso, tensione ed equilibrio. Insieme a Mon Dine, un grande ritratto dove incrocia la propria immagine con quella dell’artista americano Jim Dine, e a una rara serie di disegni, il piano terra si completa con la sorprendente piscina di marshmallow, un mosaico aromatizzato composto da soffici cilindretti di zucchero che invita a immergersi nelle irraggiungibili “acque” mondiniane dal momento che il luogo del benessere non solo è effimero, persino un po’ nauseante, ma è anche privo di una via d’accesso poiché la scaletta della piscina è posizionata troppo in alto.
Al primo piano la rassegna si concentra sugli aspetti forse più popolari dell’arte di Mondino, ovvero quelli relativi all’Oriente, frutto di un’ampia ricerca iniziata nei primi anni Ottanta. Sono presentate, fra le altre, l’opera The Byzantine World (1999), realizzata con 12 mila cioccolatini, e alcuni significativi lavori della serie Tappeti stesi (1990-1992) in eraclite, un materiale industriale utilizzato nell’edilizia, dove gli antichi tappeti sovrapposti diventano l’occasione per una rinnovata sperimentazione. Infine, alzando gli occhi verso l’alto si scorge Jugen stilo (1993), il celebre lampadario realizzato con penne bic che strizza l’occhio
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alla decorazione Jugendstil così come agli esemplari presenti nelle moschee, mentre a terra è disposto Raccolto in preghiera (1986), un tappeto effimero di granaglie con un titolo ambiguo che con il termine “raccolto” identifica il raccoglimento spirituale del fedele ma anche i benefici del contadino.
La mostra propone inoltre una selezione di opere di argomento ebraico, nelle quali la religione è affrontata con la consueta ironia filtrata da un’attenzione specifica nei confronti delle tradizioni e delle ritualità. In questo ambito, viene presentata la scultura in bronzo Gerusalemme (1988) con i cappelli degli ortodossi appoggiati su una palma che diventa attaccapanni, oltre a due dipinti emblematici 18 KISLEV 5751 (1990) e Metterci una pietra sopra legata alla modalità di realizzazione dei cimiteri ebraici (1999). Viene poi ricostruito Muro del Pianto, un’imponente installazione di zucchero bianco e zucchero di canna con l’inserimento di cespugli veri, che si estende per sei metri evocando il luogo ebraico più sacro e che con una sorta di cortocircuito è associato alla dolcezza dello zucchero, senza però farne un’opera irriverente. L’indagine sui materiali, alla base degli inganni visivi che hanno caratterizzato la produzione di Mondino, accompagna la ricerca plastica, talvolta trascurata. Ne è un esempio, con un tocco esotico, l’opera Scultura un corno caratterizzata da una serie di elefanti sovrapposti e ricoperta di cioccolato, tra i materiali più apprezzati da Mondino, che con questo processo modifica lo status delle sue opere che da monumentali diventano simbolicamente commestibili. Soffermandosi sull’attenzione che l’artista riservava al continuo dialogo con la storia dell’arte, il secondo piano della rassegna è interamente dedicato agli omaggi, dove si sviluppa un percorso trasversale tra generi, stili e miti.
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È un’operazione meta artistica quella che compie Mondino con un mosaico del 2003 intitolato emblematicamente Calpestar le uova che cita ironicamente Maternità con le uova, uno dei soggetti più caratteristici della pittura di Felice Casorati – autore che spopola tra la borghesia torinese degli Anni Sessanta – che si ritrova anche in una storica composizione del 1964 intitolata Pittura coprente. Qui tra l’altro associa un mosaico con materiali tradizionali, non per nulla realizzato a Ravenna, che invita a calpestare le uova, restituendo in modo singolare, tra il gioco e la provocazione la funzione a un tappeto in mosaico che nella sua durezza preserva le uova. La serie degli omaggi passa attraverso le avanguardie storiche con La mamma di Boccioni, un’opera in bronzo nata da una versione in caramelle alla menta a cui l’artista ha aggiunto due palle da bowling in sostituzione dei seni con un meccanismo che ne fa una fontana cosicché la mamma di Boccioni diventa in realtà “La mamma di Fontana”. Di Marcel Duchamp poi compare Ortisei che cita esplicitamente Tonsura, il ritratto che gli fece nel 1919 Man Ray con la stella a cinque punte tra i capelli, simbolo di illuminazione, in cioccolato bianco e nero. Non poteva mancare Ruota di bicicletta trasformata nel 1980 da
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Mondino in Ciclo e riciclo con una ruota di bicicletta a cui sono applicate scarpe veneziane.. All’amico fraterno Alighiero Boetti, con il quale ha condiviso molte passioni, e in particolare i viaggi in Oriente nonché ad Essaouira in Marocco, luogo magico dove ogni anno c’è un festival di musica Gnaoua (con il raggiungimento della trance) Mondino dedica un ciclo di dipinti Ali-Ali-Alighiero, Essaouira: il trittico, di quasi tre metri, esposto in mostra è tra i più importanti della serie: il cielo della città marocchina molto amata dai due artisti, e il volo dei gabbiani ricordano, oltre ai cieli, i famosi areoplanini di Boetti. Il lavoro è condotto su un linoleum impreziosito da quarzi e pigmenti colorati. La mostra si completa con la quadreria di Mondino e l’esposizione di rari ritratti dello stesso formato – 40X40 – che hanno come riferimento l’arte, la musica e la letteratura in una carrellata che comprende alcuni famosi protagonisti dell’arte e della cultura, da André Masson a Gertrude Stein, da Otto Dix ad Arnold Schönberg. Sono magie pittoriche straordinarie rispetto a un artista che ha saputo reinterpretare un genere che appariva desueto come quello della ritrattistica. Tutti su linoleum, una pittura su sostegno dipinto senza necessità di cornice che spesso diventa quasi tridimensionale, la ritrattistica mette in luce anche il grande virtuosismo pittorico di Aldo Mondino. A Schönberg è particolarmente legato perché sente una grande affinità fra la propria pittura e la sua dodecafonia e integra il volto del compositore con il sostrato materico sul quale p dipinto. Divertente il ritratto di André Masson le cui iniziali coincidono con la propria firma che assume quasi i tratti di un autoritratto.
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Chi è Aldo Mondino
È nato a Torino nel 1938, dove è morto nel 2005. Nel 1959 si trasferisce a Parigi, dove frequenta l’atelier di William Hayter, l’École du Louvre e frequenta il corso di mosaico dell’Accademia di Belle Arti con Severini e Licata. Nel 1960, rientrato in Italia, inizia la sua attività espositiva alla Galleria L’Immagine di Torino (1961) e alla Galleria Alfa di Venezia (1962). Segue l’incontro, fondamentale, con Gian Enzo Sperone, direttore della Galleria Il Punto. Importanti personali vengono presentate anche presso la Galleria Stein di Torino, lo Studio Marconi di Milano, la Galleria La Salita di Roma, la Galleria Paludetto di Torino. Tra le principali mostre si ricordano le due partecipazioni alle Biennali di Venezia del 1976 e del 1993, le personali al Museum für Moderne Kunst – Palais Lichtenstein di Vienna (1991), al Sultanamet Museo Topkapi di Istanbul (1992, 1996), al Museo Ebraico di Bologna (1995), alla Galleria Civica d’Arte Moderna di Trento (2000). Le sue opere appartengono alle collezioni permanenti dei più importanti musei nazionali ed internazionali e a numerose collezioni private.
a cura di Ilaria Guidantoni