All’interno di un edificio realizzato su progetto di Piero Portaluppi, c’è la Casa Museo Boschi Di Stefano, singolare dimora con arredi degli Anni Trenta e alcuni pezzi originali degli Anni Cinquanta – quasi interamente non originari dell’arredo familiare – un grande appartamento museo dove vissero l’ingegner Boschi con la moglie Marieda Di Stefano, collezionisti. Al primo piano il laboratorio di ceramica che era stato aperto negli Anni Sessanta con il nome di “Jan 15” (dall’indirizzo del palazzo) da Marieda con un’amica, dove oggi sono allestite mostre temporanee. Marieda proveniva da una famiglia già aperta al gusto per la ricerca e la raccolta di
opere d’arte dato che il padre aveva iniziato a collezionare arte: dopo gli studi superiori aveva infatti ricevuto un’educazione artistica e, a partire dagli anni Cinquanta, aveva iniziato a frequentare l’atelier dello scultore milanese Luigi Amigoni, padre della sua migliore amica Migno. Lì apprese il mestiere e si innamorò dell’arte ceramica, trovando presto un linguaggio personale, caratterizzato da una forza plastica arcaica che traeva ispirazione dalle fornaci di Albissola frequentate da Lucio Fontana, dagli atelier dei maestri vasai di Vallauris, amati da Picasso, e dalle forme primitive della ceramica incaica, di cui ella stessa fu collezionista. Dal 1953 Marieda espose, a cadenza quasi annuale, le sue opere alla galleria Montenapoleone, partecipando contemporaneamente a numerose collettive e concorsi in varie città d’Italia e all’estero, spesso coronati da premi e segnalazioni. Marieda non firmò mai le sue opere, preferendo servirsi di uno pseudonimo maschile, Andrea Robbio. Una sua opera è tuttora esposta al Museo della ceramica di Faenza. La scuola divenne presto luogo di mostre e di discussioni artistiche, uno spazio a metà tra un’officina creativa e un salotto borghese, che prevedeva per chi
frequentava la scuola, aperta fino al 2011, il rilascio di un attestato. Sono ancora visibili i vasetti con le terre colorate e la creta ormai secca, alcuni utensili e i camici che le studentesse indossavano.
Il primo piano fu l’abitazione della famiglia Di Stefano, alla morte del padre di Marieda, dal 1938, che al momento ospitava una quarantina di quadri tra opere del Futurismo e del Gruppo Novecento creato dalla Sarfatti. Il lascito finale ha
totalizzato 2.250 opere che sono state cedute in due tranche, rispettivamente la prima nel 1968 quando morì Marieda e poi nel 1988 alla morte dell’Ingegner Boschi. La collezione riunisce oltre ai dipinti, arte antica, tappeti e mobili ed è stata donata al Comune con l’obbligo di aprirla al pubblico. La coppia, che non ha avuto figli, ha vissuto per l’arte, circondata, abbracciata strettamente dalle opere, basti pensare che ne sono esposte solo 320, mentre le altre sono in deposito; tuttavia l’appartamento appare già molto ricco. Si racconta che durante la vita della coppia la casa fosse letteralmente tappezzata di quadri, che addirittura rivestivano le ante delle finestre, mentre alcune erano appoggiate per terra e altre appese al soffitto. Le opere sono esposte secondo un criterio di successione cronologica e di selezione qualitativa curato da Maria Teresa Fiorio ex Direttore delle Civiche Raccolte d’Arte di Milano. Attualmente il palazzo, di grande interesse, è adibito ad appartamenti privati di persone comunque legate alla famiglia e qui ha vissuto tra gli altri Alessandro Mendini del quale c’è all’ingresso una poltrona in marmo, l’unico esemplare del genere in Italia, contandone otto in tutto il mondo. Nella camera da letto c’è poi un lampadario sempre firmato Mendini della serie ‘Galassia’ che è stato acquistato di recente. Il luogo evoca non solo una raccolta importante di arte ma anche un punto di incontro di intellettuali e amanti del bello. Tra l’altro Marieda suonava il piano – è tuttora presente l’originale nella casa – mentre il marito era un virtuoso del violino e ne possedeva molti, di cui una parte è esposta alla fine del percorso e un’altra è stata donata al Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano. Per quanto concerne i dipinti, in prevalenza nelle undici sale troviamo artisti italiani che illustrano il Novecento, da Gino Severini a Umberto Boccioni e Pietro Marussig nel primo corridoio; da dove si accede alla sala dedicata al Gruppo Novecento con opere di Achille Funi, Carlo Carrà. Mario Tozzi, Felice Casorati; una Sala è ad esempio dedicata a Mario Sironi con addirittura dei mobili disegnati dall’artista; una al Gruppo Corrente fondata da Treccani; un’altra, un grande bow window con al centro il pianoforte di Marieda presenta opere di tutti artisti nati all’estero, Giorgio De Chirico, Massimo Campigli, Gaetano Paresce e L’annunciazione di Alberto Savinio dove la Madonna ha il volto del pellicano. Apparentemente quasi blasfemo è in realtà un simbolo cristiano perché sulla croce in alto spesso viene raffigurato con il becco che goccia sangue. Questo dipinto è particolarmente significativo perché è il logo della Casa. Si passa così alla sala dei Chiaristi; quella dei Nucleari e Spazialisti dove si può vedere un grande Prometeo di Crippa del 1956. Uno dei nomi importanti è Lucio Fontana con esposte 23 opere delle 42 presenti in collezione e una scelta particolare e rara come un’opera con i tagli in azzurro. Interessanti anche alcuni mobili come uno realizzato su disegno del palermitano Basile e realizzato dall’ebanista siciliano Ducrot o il mobile con consolle della camera da letto disegnato nel 1950 da Gino Levi Montalcini, fratello di Rita Montalcini. Ripercorrendo la storia di questa coppia, sappiano che nel 1927 ha inizio la loro vita coniugale. Conosciutisi l’anno precedente durante una vacanza in Val Sesia, decidono immediatamente di sposarsi, ma le convenzioni sociali del tempo impongono un periodo di fidanzamento. Lui, classe 1896, è un giovane ingegnere di origine novarese, appena assunto alla Pirelli, ove svolgerà una brillante carriera, testimoniata da numerosi e importanti brevetti come, uno su tutti, il GIUBO (Giunto Boschi), in mostra accanto alle ceramiche di Fontana.
a cura di Ilaria Guidantoni