Un’esposizione in due capitoli, Cherchez la femme, a cura di Claudio Composti nello spazio MC2 Gallery – . in collaborazione con Raffaella De Chirico Arte Contemporanea di Torino e la Galleria Valeria Bella Milano – che quest’estate regala a Pietrasanta un percorso fotografico dinamico, viaggi emozionali che questa volta assumono toni conturbanti, non privi di ironia. Il primo capitolo, Tarin – Cherchez la femme, è stato inaugurato il 28 agosto scorso.
Ne Il Simposio Platone, come ricorda in un testo introduttivo all’esposizione il curatore, ricostruisce il banchetto in casa del poeta Agatone nel 416 a.C. dove i più illustri esponenti dell’élite culturale ateniese del tempo si confrontano sulla natura e il senso più profondo dell’amore. Socrate, protagonista del dialogo e alter ego dell’autore, espone l’idea che l’eros non si riduce alla passione, ma sia una delle forme più elevate di conoscenza, in grado di condurre al «bello» e di coincidere con l’idea di «bene», obiettivo finale della vera conoscenza.
Da più di dieci anni la fotografa milanese di adozione (ex Lady) Tarin ha incentrato la sua personale ricerca proprio sui temi del nudo e dell’erotismo femminile, utilizzando la tecnica analogica, secondo un immaginario in cui potersi identificare senza troppe sovrastrutture sociali, senza stereotipi. Sono immagini che ricreano situazioni, non tanto istantanee né set allestiti in studio; sembrano nascere dalla spontaneità di un incontro, un appuntamento che vedono l’artista complice. Proprio dall’empatia con i suoi soggetti entra nell’intimità non solo delle loro stanze o case, ma crea quel legame unico grazie al quale, forse perché donna che guarda donne, riesce a spogliarle nell’anima, prima ancora dei vestiti. Belle e intense, a prescindere dal fattore estetico. Anche la sua fotografia diviene così una tensione al bello – non nell’accezione più corrente – e alla conoscenza delle altre donne, nelle varie versioni di una possibile sé, spinta forse dalla “necessità di rappresentarsi”, come dice Tarin. Donne libere dal senso di inadeguatezza e dai cliché in cui la società e l’educazione spesso ha relegato la donna. Quei cliché come la frase “Cherchez la femme” – nata dal libro del 1854 I Mohicani di Parigi di Alexandre Dumas – che ne fece la “colpevole” a prescindere, non importa quale fosse il problema. Tarin assolve così le sue donne attraverso il suo obiettivo rendendoci complici, di fronte ai suoi scatti, di questo splendido misfatto voyeuristico che Amore provoca.
Il secondo capitolo – che inaugura sabato 5 settembre – è dedicato all’artista britannica Alison Jackson (classe 1960) che simula e manipola la storia, attraverso scatti realistici, ma totalmente fake: Marilyn che incontra JFK, come fosse paparazzata in un abbraccio rubato. Marilyn che si sfiora in un momento di intimità, di cui siamo sorpresi testimoni, imbarazzati ed eccitati. A comprovare la veridicità (illusoria) di una presunta realtà, Alison spinge la certezza del nostro sguardo mostrando l’immagine della diva incorniciato in un frame di negativo, come fosse prova certa di un avvenuto scatto.
Curiosamente, la veridicità è sempre stata una questione viva nel dibattito sulla natura della fotografia, specie nel mondo della comunicazione e del fatto storico riportato. Il bianco e nero, per quanto non sia il colore della realtà, è sempre stato accettato come assioma del noema “è stato”, su cui si fonda la tesi di Barthes ne La camera chiara. Come dice Baudrilland, la simulazione è diversa dal fingere. Il fingere è simulare, come fingere una malattia o fingere di essere malati. Il soggetto non è malato, sembra che lo sia ma “la simulazione minaccia la differenza tra vero e falso, tra reale e immaginario. Dal momento che il simulatore produce sintomi “veri” la nostra riflessione verterà sulla questione se è reale la malattia e se trattarlo come malato o no. La sottile linea tra reale e immaginario, vero e falso diventa quindi la questione stessa dell’arte: quanto è importante quel che vedo – o mi fanno vedere? Nell’immaginario, l’icona è più importante e più seducente della verità. Alison usa sosia di celebrità e personaggi pubblici per creare uno scenario apparentemente reale. Questo è legato al bisogno di guardare, il bisogno di credere, per sondare il limite della comunicazione e della importanza eccessiva dell’immagine. Se lo vedo è vero. O forse no. La finzione, a volte, è più interessante della realtà. Alison ci crea così, forse, la possibilità di vedere una possibile alternativa di ciò che è stato, smascherando in realtà quei cliché che la mostra, a partire dal lavoro di Tarin, vuole svelare.
In mostra alcuni ‘ospiti’ speciali, Gianluigi Colin, Robert Doisneau, Todd Hido, Helmut Newton, Carlo Orsi, Camilla Maria Santini e la stessa Tarin; oltre un’opera di Carolina Sandretto (ora in mostra anche all’hotel Plaza De Russie di Viareggio), Afrodite, prima esposizione di un lavoro inedito in corso d’opera dedicato alla scultura, Progetto Aura
In occasione della mostra booksigning del libro EROS di Bruno Cattani in collaborazione con VisionQuest Genova.
a cura di Giada Luni