Il docufilm realizzato da Ruggero Gabbai, prodotto da Gilles Samama (distribuito da n.d.), autrice di Sonia Fellous, uscito ad ottobre scorso in Francia, e selezionato per il Jerusalem Film Festival del 2022, è il racconto commovente e attento, attraverso una raccolta di voci, della comunità di ebrei tunisini che, all’indomani dell’Indipendenza del Paese, è emigrata in Francia. Una storia poco conosciuta dalle giovani generazioni, dimenticata in Tunisia che perde così una parte importante del suo passato. Il titolo racconta questo viaggio appunto il trenino che da sempre attraversa la capitale tunisina, Tunis-Goulette-Marsa, dal centro città al quartiere della Goulette sul mare dove vivevano molte famiglie ebree per arrivare alla banlieue nord, un viaggio stagionale che molte famiglie dal quartiere Hara, nella zona del Passage, compivano all’inizio dell’estate per trasferirsi al mare. Così come il TGV, Train Grande Vitesse, continua il percorso nella Francia e nella modernità. Il Paese è stato infatti ben prima che musulmano ebreo, perché la comunità che secondo la tradizione arrivò nell’isola di Jerba dopo la distruzione del primo Tempio, ha radici profonde in questa parte del nord Africa. Nel documentario, perfino con una certa leggerezza, il racconto della coabitazione gioiosa tra ebrei, musulmani e cristiani e ancora tunisini, italiani, siciliani e maltesi. Ogni aggettivo indica una comunità ben precisa e se i siciliani erano ovviamente italiani e in prevalenza cristiani se ne parla come un gruppo ben individuato ad esempio e non è un caso. Se altri film hanno raccontato questa storia e anche l’uscita di molti italiani dalla Tunisia dopo il 1956, ancora non c’era stato un approfondimento del mondo ebraico e focalizzato sulla Francia. Preziosa dunque questa testimonianza, con una regia curata anche nell’ambientazione e nelle immagini, che sottolinea lo smarrimento di persone che non se ne sono
andate dall’oggi al domani da quello che consideravano a tutti gli effetti il loro Paese ma dopo una serie di pressioni e di episodi che li hanno di fatto costretti all’abbandono. Una storia forse non abbastanza raccontata che si basa sulle testimonianze dirette di coloro che, con un taglio non nostalgico, raccontano la loro vita in Tunisia prima della fuga verso la Francia in seguito ai tumulti esplosi dopo la Guerra dei Sei Giorni e di chi invece è rimasto e vive lì tuttora o, ancora, di chi è tornato a viverci. Per molti esiste un senso di lacerazione, di non sentirsi veri figli della Repubblica, francese, ma nemmeno più tunisini; di essersi riconosciuti come ebrei solo dopo l’uscita dalla Tunisia perché per molto tempo la comunità a Tunisi come in alter città era naturalmente mista e, come io stessa ho spesso sentito raccontare in Tunisia, tutti festeggiavano le feste religiose delle altre confessioni, senza distinzioni. Purtroppo oggi del mondo ebraico in Tunisia si è perso molto, soprattutto la consapevolezza che sia parte integrante del Paese, mentre chi è partito per la Francia e soprattutto la nuova generazione, la seconda generazione francese, spesso non conosce la propria storia, ignorando una parte di sé. Il coro di voci restituisce un mosaico variegato dove le esperienze sono molto diverse e soprattutto sull’appartenenza c’è chi si sente francese e chi no e chi a casa ha conservato la tradizione ebraica e tunisina e fuori ha sposato gli ideali francesi. Rispetto ad altri gruppi emerge la riconoscenza verso la Francia che li ha ben accolti, mentre lo stesso non si può dire per l’Italia e anche la vicinanza rispetto ai valori del Paese europeo, liberté, égalité, fraternité, come un orizzonte che avrebbe dovuto mettere al sicuro anche i propri valori identitari religiosi. Rispetto alla scelta ‘forzata’ di lasciare la Tunisia, abbracciata anche da tanti Siciliani e Italiani, la stessa nostalgia controversa per la Tunisia anche se, paradossalmente rispetto alla storia, la comunità cristiana non ha vissuto nel ritorno in Tunisia lo stesso disagio. Oggi nel Paese del Maghreb dei 150mila ebrei del 1956 ne restano appena circa 1.500. Il film segue le famiglie nell’arrivo in Francia, la speranza di un nuovo inizio, la difficoltà di precipitare spesso in una situazione economica di restrizione da parte di nuclei familiari che si intuisce appartenessero alla buona borghesia, persone colte; quindi lo sforzo per integrarsi in un nuovo paese, un senso di smarrimento perché molti ad esempio parlavano arabo e quindi si trovano ai margini della comunità ebraica francese all’inizio; poi la svolta che ognuno vive a modo proprio, come chi ha deciso di aprire nel proprio quartiere a Parigi un negozio di sandwich tunisini, quindi di cous-cous e dolci , ingrandendosi a poco a poco recuperando la cucina ebraica tunisina; il miracolo di Sarcelles e, infine, la voglia trattenuta di raccontare e raccontarsi dalla quale prende avvio il film e magari anche il desiderio di recuperare quello spirito gioioso e comunitario. Un documentario che meriterebbe di viaggiare in Tunisia.
Chi è Ruggero Gabbai
Nato ad Anversa il 6 agosto 1964, è un regista e fotografo italiano, specializzato nella produzione di documentari legati a tematiche storiche e umane con particolare attenzione alle testimonianze di memoria sulla Shoah, mafia e sulle realtà ai margini della società contemporanea. Cresciuto a Milano, si laurea in cinematografia presso la Columbia University di New York, collaborando tra gli altri con Emir Kusturica e Martin Scorsese. Il documentario The King of Crown Heights, ricavato dalla sua tesi di laurea, viene trasmesso dalla PBS Channel 13 (USA) in prima serata nel 1994. Nel 1997 è regista del film-documentario Memoria, prodotto dalla Fondazione centro di documentazione ebraica contemporanea (CDEC) – la voce narrante di Giancarlo Giannini – con le testimonianze di 93 sopravvissuti italiani ai campi di concentramento e di sterminio. Presentato lo stesso anno al Festival di Berlino e fra i film vincitori del “Nuremberg International Human Rights Film Festival”; trasmesso dalla RAI ottiene circa 7 milioni di ascolti. Nell’ambito della sua ampia produzione ricordiamo che nel 2013 gira Il viaggio più lungo, documentario sulla deportazione degli ebrei dell’isola greca di Rodi, presentato alla Camera dei deputati dalla presidente Laura Boldrini. Il film è anche selezionato per il “Festival del film di Gerusalemme” e trasmesso da Rai 1. Gabbai è stato direttore artistico dell’inaugurazione del Memoriale della Shoah, realizzando un video di presentazione per il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
a cura di Ilaria Guidantoni