Il Museo Nazionale dell’Ebraismo Italiano e della Shoah-MEIS di Ferrara trova un proprio spazio nel giardino e nei padiglioni del vecchio carcere di quella città, sottoposti a una accurata opera di restauro e di adattamento alle esigenze di un Centro che, in attesa del sempre annunciato e mai realizzato Museo nazionale, con sede a Roma, costituisce oggi il principale punto di riferimento per chi intenda approfondire la conoscenza con la bimillenaria presenza dell’Ebraismo in Italia.
A fianco all’esposizione permanente, che tale storia ripercorre e illustra, si dipana un programma espositivo pluriennale che, con una serie di lodevoli iniziative, punta ad approfondire aspetti e problematicità particolari che gli ebrei italiani e le loro Comunità si sono trovati ad affrontare, in sincrono con la travagliata storia di un Paese del quale sono, a tutti gli effetti, tra i cittadini più antichi.
È ora il turno della esposizione Ebrei nel Novecento italiano che ha preso inizio a marzo e sarà visitabile fino al prossimo 6 ottobre.
La mostra, a cura dello storico Mario Toscano e dell’editore e divulgatore scientifico Vittorio Bo, con l’allestimento a cura dell’architetto Antonio Ravalli, offre un racconto dettagliato della storia e dei modi di vivere degli ebrei italiani dalla fine del XIX a tutto il XX secolo.
Sono gli anni in cui le comunità, finora chiuse e per molti versi autoreferenziali, dovettero confrontarsi non soltanto con l’apertura dei ghetti e la sfida dell’emancipazione, ma anche, come del resto l’intero Paese, con il nascere di una nuova entità statuale che aveva l’ambizione di fare delle diverse parti d’Italia una sola comunità nazionale, con un solo Parlamento, un unico sistema di leggi e regole, un solo esercito, un solo sistema giudiziario, un solo fisco, ma anche e soprattutto, un’unica cultura di sé dopo secoli di divisioni, politiche, diversità sociali e culturali, persino di lingua.
Un percorso, peraltro, reso ancor più complesso non solo perché attraversato dal turbine drammatico della I Guerra Mondiale, ma soprattutto bloccato e reso nella sostanza impossibile, per un intero decennio, dal razzismo degli sgherri di Mussolini e poi, dal 1938, codificato dalle famigerate Leggi razziali, dalle stragi e dalla ferocia genocidiaria del suo alleato nazista.
L’esposizione segue questo percorso del Paese e degli ebrei che ne sono parte, attraverso la storia, l’arte e la vita quotidiana, illustrando, come sottolinea lo stesso MEIS, “il complesso percorso prima di acquisizione della cittadinanza, poi di perdita e infine di riacquisizione dei diritti, da parte di una minoranza che si è riconosciuta e integrata nella vita italiana, mantenendo salda la propria identità culturale e religiosa e offrendo un contributo di rilievo alla costruzione dello Stato e allo sviluppo della società nazionale”.
La mostra si articola in sette sezioni, cui sono dedicati sette appositi spazi che si aprono a destra e sinistra del grande corridoio in cui troneggia, snodo centrale della mostra, un lunghissimo tavolo multimediale a cui è stato affidato il compito di rendere accessibili approfondimenti, materiali originali e prime edizioni, che contribuiscono a completare il mosaico della storia culturale dell’ebraismo e dei singoli ebrei, in rapporto alle vicende ed ai costumi della società italiana.
Si inizia da fine Ottocento, dopo lo smantellamento dei ghetti, e si conclude all’alba del nuovo millennio, raccogliendo gli interrogativi dell’ebraismo contemporaneo: I risultati dell’integrazione 1900-1922; Dalla fine della libertà alla vigilia delle leggi razziali 1922-1937; La persecuzione degli ebrei 1938-1943; La persecuzione degli ebrei 1943-1945; Liberazione, Repubblica Costituzione 1945-1948; Una democrazia in cammino: dalla promulgazione della Costituzione all’applicazione dell’articolo 8 1948-1987; Identità, memoria e rappresentazione 1988-2000).
Nel percorso, affrontata la fase dell’integrazione piena nella comunità nazionale e il confronto dell’ebraismo con modi di vivere, di agire, persino di mangiare e ridere che la segregazione del Ghetto aveva in qualche modo permesso di evitare, si passa alla fase delle scelte, quelle che accompagnarono l’esplodere della Prima Grande Guerra mondiale e, subito dopo, della nascita del fascismo.
La mostra non evita il confronto con la difficile, e non certo del tutto conclusa, riflessione imposta dalla nuova discriminazione a una comunità che del fascismo si era in qualche modo fidata, addirittura appoggiandolo (lo strappo drammatico delle Leggi Razziali del 1938, la persecuzione violenta, la deportazione e lo sterminio) per dare infine conto di un ritorno che ai, peraltro drammaticamente pochi, sopravvissuti, i “salvati” di Primo Levi, pose la necessità di una nuova definizione dell’ebraismo, del proprio ruolo nella nuova Italia che non facesse dimenticare, né lo elevasse a ostacolo insormontabile, l’orrore del viaggio nel buio della Shoa.
Per poi concludersi con l’ancor più complessa elaborazione del proprio essere, ebrei italiani, parte di un ebraismo mondiale che ha trovato una propria dimensione nazionale nello Stato di Israele e le contraddizioni che da questo intreccio di dimensioni e di obbedienze, quella della Legge e quella della Torah, impone ai cittadini italiani di religione ebraica.
Il percorso espositivo è arricchito dalle opere d’arte di Olga e Corinna Modigliani, dalle tele di Corrado Cagli fino alle opere di Antonietta Raphaël Mafai, Rudolf Levy ed Emanuele Luzzati. Di fianco a esse, a rendere, per così dire, più evidente la complessità dei passaggi da affrontare e le trasformazioni con cui misurarsi, reperti, molti dei quali inediti, provenienti da numerosi archivi pubblici e privati: documenti storici; video di cinegiornali; oggetti di famiglia, anche i più semplici; accessori e costumi; fino ai primi video amatoriali ed alle fotografie scattate per celebrare ricorrenze o solo per il piacere di documentare brani di vita.
A fianco dei reperti, un ponderoso catalogo che affianca la mostra vera e propria, contenente contributi cherisultano imprescindibili e permettono di comprendere, ancor meglio, la sfida che gli ebrei italiani hanno dovuto affrontare in poco più di 100 anni.
a cura di Mauro Sarrecchia