Un’originale rivisitazione di tre figure chiave della mitologia greca è al centro del progetto La città dei Miti curato dalla compagnia Teatro dei Borgia: fuori dai convenzionali spazi teatrali Eracle, Filottete e Medea diventano nostri contemporanei e ci chiamano a testimoni delle loro vicissitudini.
E’ possibile mettere a confronto i tragici greci con le problematiche che affrontiamo oggi nella nostra quotidianità? Questo obiettivo se l’è posto il Teatro dei Borgia di cui il regista Gianpiero Borgia e l’attrice Elena Cotugno (uniti anche nella vita) sono tra i fondatori e artefici. Quello che distingue però il loro lavoro da tante ottime rivisitazioni delle tragedie non è la semplice scelta e messa in scena di un testo ma il voler approfondire gli aspetti legati al sociale che quei personaggi possono riverberare sulla nostra realtà. Ecco allora che nella Città dei Miti (portata a Milano dall’Associazione Culturale e spazio teatrale Zona K) Eracle diventa un padre separato, Filottete un malato abbandonato in una R.S.A. e Medea una prostituta straniera.
Euripide ci fa incontrare Eracle mentre si trova sepolto nell’Ade da cui ritorna per salvaguardare la famiglia messa in pericolo a Tebe da un usurpatore. Alcuni dei però gli sono ostili e lo rendono folle al punto tale da fargli uccidere moglie e figli: la morte, una volta rinsavito, non sarà il suo castigo ma piuttosto l’accettazione di continuare a vivere con un tal fardello di dolore e senso di colpa. Se il suo destino è stato quello di doversi cimentare, prova dopo prova, con la natura al fine di fortificarsi, per Eracle, l’invisibile (testo di Fabrizio Sinisi e Christian Di Domenico), i Borgia alla natura matrigna sostituiscono l’economia e lo spettro del denaro.
Intento a preparare dei pacchi con viveri di prima necessità, ci si palesa Christian/Eracle, prestante 50enne, desideroso di raccontarci la sua storia. Brillante giovanotto del sud, s’innamora di Valeria, una bella ragazza del nord con cui, dopo un breve fidanzamento, si sposa e si trasferisce a Milano. Pur di farla vivere secondo lo standard alto borghese in cui è cresciuta (casa confortevole, auto di lusso e svaghi) lui si presta di buon grado a un doppio lavoro: oltre a insegnare in un liceo, diventa responsabile informatico della scuola. Alla nascita dell’amatissima figlia Laura, le necessità aumentano e i soldi non bastano mai. I lavori diventano allora tre, sommando le lezioni private che la preside amica e solidale gli procura. Nonostante lo stress e la fatica Christian è felice, ripagato dall’armonia familiare.
Il sereno equilibrio all’improvviso si spezza: accusato ingiustamente (?) da un’allieva di averla palpeggiata in classe, in breve tempo viene ostracizzato dai colleghi, messo alla gogna dagli stessi allievi che prima lo adoravano e infine costretto alle dimissioni per evitare una denuncia penale. Da qui inizia la sua discesa agli inferi: dapprima la separazione dalla moglie che lo caccia da casa, addossandogli però le rate del mutuo e gli onerosi alimenti per lei e la figlia, usando quest’ultima come arma di ricatto: se non sarà puntuale con gli impegni assunti non la potrà più vedere. Pur di non perdere Laura, dopo qualche mese è costretto a lasciare il monolocale in cui era riparato per andare a dormire in macchina, accettando qualsiasi lavoro, finendo però col perdere anche il più umile quando, tramite gli infami “leoni da tastiera” dei social, il suo principale scopre che viene addirittura accusato di pedofilia. La minaccia dell’ex moglie si avvera e l’amata figlia esce dalla sua vita. Per rivederla almeno un attimo, una notte, avendo ancora le chiavi dell’appartamento, entra di soppiatto e un disegno folle e sanguinario si fa spazio nella sua mente. Il racconto del suo passato termina qui: il presente è fatto di mense per i poveri, dormitori se non la strada e docce comuni per lavarsi. Qualche soldo riesce a raggranellarlo con lavoretti precari come travestirsi da Babbo Natale sotto le feste.
Christian Di Domenico nella sua performance ci avvince con la capacità di suscitare empatia e partecipazione emotiva alla vicenda narrata, purtroppo molto frequente tra padri separati finiti nelle ristrettezze o peggio. Nel parco dell’ex ospedale psichiatrico Paolo Pini, ospitati dall’Associazione Olinda (che promuove il festival Da vicino nessuno è normale), nel tepore del pomeriggio autunnale, con spirito di condivisione non solo materiale, assaggiamo il pane fragrante che Christian ha cotto in forno mentre i pacchi preparati da lui saranno distribuiti ai tanti bisognosi che nelle città vediamo in coda in attesa di viveri.
Come infatti accennato, dietro la pièce c’è altro: c’è l’azione della compagnia in un percorso di collaborazione con le Caritas, il Bistrò Popolare di Brescia, gli operatori che lavorano nel contrasto alla povertà con esodati, disoccupati e senzatetto. In più i Borgia allestiscono un presidio di primo soccorso chiamato Tenda Polis, montata in un luogo prospicente e concordato con il teatro ospitante dove, accolti dall’attore, vengono distribuite coperte, acqua, e pasti caldi. Eracle, l’invisibile sarà dal 10 al 12 novembre al Théatre du Coin des Mondes di Evry (Parigi) e il 2-3 dicembre al Cantiere Obraz di Firenze.
Alla luce del crepuscolo lasciamo il parco e ci avviamo verso gli uffici di Olinda: entriamo una stanza disadorna dove ci aspetta l’incontro con un altro mito. Sofocle ci narra che Filottete, partito con la flotta greca alla volta di Troia, a destinazione non è arrivato: il morso di una vipera alla gamba gli produce una ferita dall’odore nauseabondo e per questo viene abbandonato dai compagni sull’isola di Lemno in totale solitudine. Dopo 10 anni Ulisse, avendo appreso da un oracolo che solo tornando in possesso del suo arco potrà essere vinta la guerra di Troia, con Neottolemo decide di avviarsi a riprenderlo, trovandolo abbruttito dalla lotta per la sopravvivenza in un luogo selvaggio. Grazie a un inganno riescono a sottrarglielo: lui s’infuria ma l’intervento ex machina di Eracle sopisce i dissapori e lo convince a imbarcarsi con loro per Troia.
In questa versione, diretta con maestria (come le altre due tranche della trilogia) da Gianpiero Borgia, Filottete dimenticato (con le parole di Fabrizio Sinisi), l’eroe diventa un ex attore e la sua isola una struttura per malattie neurovegetative. Daniele, uomo del sud di circa 60 anni, ci racconta che, senza alcuna avvisaglia, durante una recita al teatro Greco di Siracusa cadde a terra senza riuscire più a muoversi, perdendo il controllo dell’intestino. E’ il primo segnale dell’infida e terribile Demenza da corpi di Lewy, sino a pochi anni fa associata per errore all’Alzheimer, i cui sintomi sono crisi allucinatorie che provocano somatizzazioni e fortissimi ma inesistenti dolori, visioni di schiere di creature lillipuziane che invadono gli spazi e piccoli animali in libertà su pareti e soffitti. Osserviamo Daniele interloquire con Bill. il suo pesce rosso, ma altri suoi “amici” sono volti noti del cinema e della tv come Brad Pitt, Giletti e la D’Urso con cui dice di avere un filo diretto aperto e con i quali interagisce quotidianamente.
A bilanciare queste allucinazioni ci sono momenti di totale lucidità: ci confida che a farlo ricoverare sono stati i figli, a detta loro perché ormai incapace di badare a se stesso ma secondo lui per entrare in possesso della sua casa. Soffrendo per la loro assenza e per l’indifferenza degli ex colleghi, con tenerezza ci chiede di andarsene con noi e, per dimostrare che sta bene, ci recita il monologo dell’Amleto e intona Love Me Tender. Al nostro silenzio vissuto come rifiuto s’incupisce e ricorda l’ultima visita del figlio che gli intimava di firmare i documenti per la cessione dell’appartamento: la risposta negativa è stata accompagnata da un insulto e dal congedo definitivo.
Il secondo tassello della trilogia vede al centro il tema dell’abbandono dei malati cronici nelle R.S.A. dopo che i familiari per necessità o egoismo fanno questa scelta. Daniele Nuccetelli ci accompagna sapientemente in questa dolorosa discesa nella malattia (tabù che, come la vecchiaia, la nostra società tende a rimuovere) e nella solitudine facendoci commuovere. Anche lui non si confina solo nel ruolo di attore ma con la compagnia è stato accolto e collabora con il Centro Diurno Integrato per il supporto cognitivo e mentale di Villa Nappi a Trani e con l’Istituto di Neurologia dell’Università di Chieti che operano con le persone affette da demenza e con i loro familiari.
Molto più nota è la vicenda di Medea, tragica eroina di Euripide. Legatasi a Giasone dopo che l’ha aiutato a conquistare il Vello d’Oro, lo ha seguito a Corinto dove sono nati i loro due figli. L’uomo, divorato dall’ambizione e aspirando al trono della città, decide di sposare Glauce, figlia del re Creonte. Medea, abbandonata e folle di gelosia, medita la vendetta. Quando Creonte, temendo la fama che la vuole esperta di arti magiche, la condanna all’esilio immediato, lei chiede un giorno di proroga e, incassata la promessa dal re Egeo di ospitarla ad Atene, invia una ghirlanda e un manto a Glauce che appena vengono indossati prendono fuoco e la trasformano in una torcia umana: la stessa sorte tocca al padre accorso per darle aiuto. Giasone intuisce la sua prossima mossa ma mentre si sta precipitando a casa, lei gli appare sul carro del dio Sole diretta verso Atene, mostrandogli i cadaveri dei bambini appena trucidati.
Per terzo tassello della trilogia, Medea per strada (testo di Fabrizio Sinisi e Elena Cotugno), sette spettatori sono invitati a salire su un furgone con autista che comincia a girare per la periferia della città lungo i viali dove ragazze di ogni etnia vendono il loro corpo. Siamo da poco partiti e una giovane, avvenente donna lo blocca inveendo contro il conducente e chiedendo di salire a bordo. Accontentata, comincia e raccontarci la sua storia. Veniamo così a sapere che la maga euripidea qui è un’immigrata rumena, convinta con un raggiro e il miraggio di un lavoro onesto in Italia a lasciare il suo paese e la famiglia di ottimo livello socioculturale ma caduta in disgrazia per dissensi politici. Appena iniziato il viaggio cade preda di uno sfruttatore che le sequestra documenti e denaro e la rinchiude in una squallida camera d’albergo dove la costringe a prostituirsi con alcuni suoi presunti amici. Oltrepassati i confini, la coppia approda al nord e purtroppo lei s’innamora del suo carnefice che ovviamente dice di ricambiarla, continuando però a spingerla sulla strada.
Dalla relazione nascono due figli e la donna sembra appagata dalla sua vita ma un giorno una collega le rivela che il protettore ha in realtà una fidanzata a cui ha aperto una profumeria. Lei si reca al negozio con i bambini e impugnando un affilato coltello ricalca le stesse orme di Medea, portando a compimento il suo piano. Non registrata né schedata, rimarrà impunita anche se ricercata dallo sfruttatore che la vorrebbe morta. Elena Cotugno (attrice pluripremiata e da poco protagonista anche di Giacomo sulla figura di Matteotti) si cala con incredibile verosimiglianza e talento nel personaggio, tanto che in una replica a Vicenza, scesa dal mezzo come prevede il copione, è stata bloccata dalla polizia che la voleva fermare e solo l’intervento degli spettatori ha convinto gli agenti che si trattava di uno spettacolo. Il suo è molto più di un monologo perché interagisce con gli astanti, li interroga sulla loro vita, mettendoli qualche volta in difficoltà con maliziose ma innocenti domande anche sulla sfera privata. Il momento più emozionante arriva quando Elena/Medea, compiuta la vendetta, comincia a struccarsi, togliendo la parrucca e sfilandosi i collant a rete e gli shorts inguinali, indossa jeans e maglione e si trasforma in un’altra persona, usando un tono di voce sommesso quanto prima era acuto. Senza un saluto, chiede di scendere e scompare nella notte, lasciandoci attoniti.
Ritroveremo l’attrice tornati al luogo di partenza e là ci informa che da anni fa volontariato con le prostitute, parla con loro e penetra il naturale muro della diffidenza, raccoglie le loro storie, gli affetti e i sogni e, insieme alla compagnia, collabora con le realtà che si occupano di contrastare la tratta e lo sfruttamento. Medea per strada è in programma a Evry sempre dal 10 al 12/11 e il 5 dicembre al Cantiere Obraz di Firenze, mentre l’intera trilogia si può vedere dal 15 al 20/11 a Padova alle Cucine Economiche Popolari. www.teatrodeiborgia.it
a cura di Mario Cervio Gualersi