Fino al 12 febbraio 2023, gli spazi del PAC Padiglione d’Arte Contemporanea di Milano ospitano la mostra collettiva Japan. Body Perform Live, che spaziando dalla pittura al disegno, dalla scultura alla fotografia, dal video ai tessuti, fino all’installazione site-specific e alla video-installazione, presenta diverse forme d’espressione d’arte contemporanea realizzate o attuate da 17 diversi artisti giapponesi dopo il 2000. L’idea è di un viaggio dalle performance degli anni Cinquanta e Sessanta del Novecento fino ad oggi, conducendo un viaggiatore alla scoperta di un nuovo mondo, completamente diverso dall’immaginario europeo e americano e talora non immediatamente empatico. Il visitatore sarà però accompagnato, passo passo, da una guida. Promossa dal Comune di Milano – Cultura e prodotta dal PAC insieme a Silvana Editoriale, che ne cura il catalogo con i testi dei due curatori, di Naoko Horiuchi e Sachiko Namba, oltre alle immagini delle opere in mostra e alcune installation view, la mostra è curata da Shihoko Iida e Diego Sileo e realizzata grazie a Tod’s, sponsor dell’attività annuale del PAC, con il supporto di Vulcano. Grazie alla partnership con Alcantara e alla sponsorizzazione tecnica di Etihad Airways, diversi artisti sono arrivati a Milano dal Giappone per produrre
nuove opere e performance site-specific per la mostra.
“Questo nuovo progetto del PAC prosegue l’importante lavoro di indagine critica sulle urgenze e le complessità del mondo che ci circonda, con uno sguardo necessariamente globale, ha dichiarato l’assessore alla Cultura Tommaso Sacchi, intervenendo all’anteprima stampa. I diciassette artisti in mostra affrontano i temi al centro del discorso contemporaneo, che mette in discussione il corpo, le relazioni, il genere e l’identità, confermando il ruolo del PAC come luogo di incontro del dialogo tra artista e pubblico al di là di qualunque confine, fisico e culturale”.
In linea con la missione del PAC, che mira a decostruire i pregiudizi e a promuovere nuove visioni attraverso l’arte contemporanea, la mostra mette in luce la situazione politico-sociale del Giappone di oggi attraverso i lavori di nove donne, sette uomini e un collettivo Dump Type, fondato a Kyoto nel 198, divenuto influente sull’arte giapponese fin dagli anni Ottanta del Novecento (conosciuto per le sue performance tecnologiche e la sperimentazione in tanti campi dell’arte) – alcuni per la prima volta a Milano – nati tra il 1924 e il 1987. Come ha sottolineato Shihoko Iida, il progetto nasce nel 2018-2019 ma la pandemia ha fermato tutto e
in qualche modo il Giappone è ancora costretto a vivere dentro i confini territoriali, politici e diplomatici. Il confinamento fisico e psicologico, asfissiante, ha però generato una grande reazione divenuta di stimolo per artisti che hanno realizzato opere eccezionali.
Il luogo si presta particolarmente ad una mostra giapponese con i suoi spazi bianchi, essenziali, molto luminosi che dialogano con il giardino attraverso grandi superfici vetrate. In particolare, il parterre che si affaccia sul parco accoglie le installazioni site-specific di due artisti: Kishio Suga, uno degli artisti “Mono-ha”, movimento di cui fa parte fiorito tra il 1968 e gli anni Settanta avvicinabile all’Arte Povera italiana – una sua personale è stata ospitata nel 2016 all’Hangar Bicocca di Milano – e Yuko Mohri, artista di fama internazionale degli anni 2000.
In mostra tra gli altri Atsuko Tanaka, riconosciuta internazionalmente come una delle artiste di punta del dopoguerra giapponese; tra le sue prime sperimentazioni il collage con diversi materiali di uso quotidiano, iniziate durante una lunga malattia nel 1952. L’opera che maggiormente l’ha fatta conoscere è Electric Dress del 1956, un abito composto da 100 luci al neon e novanta lampadine ricoperte con una vernice in nove tonalità. Yoko Ono è anch’essa una degli artisti di origini giapponesi più nota a livello internazionale non solo per le sue performance iniziate negli anni Sessanta ma anche come musicista e cantautrice, proveniente da un percorso classico – ha studiato poesia, musica e filosofia – per poi trasferirsi a New York nel 1953 ed iniziare a sperimentare. Entrò infatti nel collettivo artistico Fluxus nel 1961 formato da una cinquantina di artisti e intellettuali. Nel video della performance Cut Pièce del 1964 chiede al pubblico di intervenire tagliando con le forbici pezzi del suo abito, mentre senza espressione di inginocchia sul palco. Suggestiva l’installazione di Chiharu Shiota, Empty Body del 2022, artista divenuta particolarmente nota in Italia dal 2015 per l’installazione The Key in the Hand al Padiglione Giappone della Biennale d’arte di Venezia 2015, in cui ha avvolto l’intero spazio in una intricata rete di filo rosso di lana da cui pendevano centinaia di chiavi arrugginite sopra il relitto di una piccola imbarcazioni, simbolo di vite smarrite e riflessione sull’immigrazione.
La balconata al primo piano ospita una lunga installazione di carta, dal titolo Here (qui), you (tu), hear (senti), di Ami Yamasaki, “artista della voce”, poliedrico, presente al PAC con un’installazione a parete fatta di piume che crea un gioco tridimensionale anche con il suo per evidenziare la relazione dell’opera d’arte e del corpo con lo spazio in questo caso in termini sonori; che ha tenuto anche una performance vocale in occasione dell’inaugurazione. A tal proposito, in programma anche due performance live: oltre a quella di Ami Yamasaki il 21 novembre, durante l’inaugurazione, a gennaio ci sarà quella dell’artista Fuyuki Yamakawa.
Diego Sileo ha poi invitato un’associazione che si occupa di cultura giapponese in Italia, L’Altro Giappone, con sede a Napoli, che ha sua volta ha invitato Igort, nome d’arte di Igor Tuveri, nato a Cagliari, classe 1958, che lavora come fumettista ispirandosi all’arte giapponese. Al suo lavoro è dedicata la Project Room che con la mostra Il Muschio e la Carne. Anatomia dei sensi nel Giappone di Igort, realizzata in collaborazione con e GiapponeTVB in dialogo con gli altri artisti. Igort, fumettista di fama internazionale, ma anche illustratore, sceneggiatore, musicista e regista., guiderà il pubblico nell’universo culturale nipponico attraverso le sue opere illustrate di grande raffinatezza e allo stesso tempo di impegno politico. Inizia la sua carriera a Bologna sul finire degli anni Settanta, collaborando a numerose riviste italiane, quali Linus, Alter Alter, Frigidaire e le straniere Métal Hurlant, L’écho des Savanes, Vanity e The Face. Negli anni Ottanta la pubblicazione regolare su Alter Alter e Frigidaire gli dà un poco di notorietà. L’attività artistica prosegue su più livelli e nella seconda metà degli anni Ottanta, Igort prende casa a Parigi, mantiene la base anche a Bologna, viaggia spesso, comincia a collaborare con Les Humanoïdes Associés. L’attività musicale si infittisce nel frattempo e fonda diverse riviste. Prende quindi i primi contatti con la casa editrice nipponica Kōdansha, per la quale scrive e disegna dal 1991, collaborazione che durerà oltre tre lustri. Nel 1992 disegna un orologio Swatch, che diventerà Swatch dell’anno, lo Yuri. Questo orologio sarà presto un best seller mondiale, con oltre trecentomila pezzi venduti sui mercati europei, asiatici e nordamericani. Anni dopo, il personaggio, un bambino cosmonauta, diventerà protagonista di una serie a fumetti pubblicata nel Sol Levante. Nel 1994, Igort, invitato da Pedro Almodóvar e Christian Leigh espone le sue opere alla Biennale di Venezia. Nel 2000, in seguito a un incontro intellettualmente fertile e a una complicità fuori dal comune, fonda con Carlo Barbieri la casa editrice Coconino Press. Nel 2002 vede la luce 5 è il numero perfetto, noir napoletano, cominciato a disegnare a Tokyo e ultimato dopo circa 10 anni di elaborazione e riscrittura. Il libro, targato Coconino Press, esce simultaneamente in 6 paesi e vince l’anno successivo il premio come libro dell’anno alla Fiera del libro di Francoforte, diventando nel corso degli anni il suo libro più popolare. Il lavoro di Igort comincia a diffondersi ulteriormente all’estero. Nel 2010, dopo una lunga residenza, tra Ucraina, Russia e Siberia Igort scrive e disegna Quaderni ucraini, pubblicato nella collana Strade Blu di Mondadori. Poi, nel 2011 dà alle stampe Quaderni russi, un reportage disegnato sulla tracce della giornalista russa Anna Stepanovna Politkovskaja. Si infittisce nel tempo anche la sua attività cinematografica. Oggi i lavori di Igort sono stati esposti in numerose mostre a Milano, Lucca, Parigi, New York, Tokyo, Shanghai, e tante altre. Nel 2019 i quaderni giapponesi approdano al British Museum nell’occasione della mostra sui manga curata da Paul Grave.
I.G.