Terra Incognita: l’inclusività è la strada giusta è allestita alla Chiesa di San Teonisto, a cura di D Harding, artista australiano, figlio di aborigeni, che ha lavorato primariamente sull’inclusione, organizzata da Fondazione Imago Mundi. La collezione di arte aborigena australiana, parte della Luciano Benetton Collection, ha avviato un processo di ricerca volto a indagare la vita artistica, culturale e sociale degli artisti e delle comunità che formano il panorama dell’arte aborigena, al di là dell’aspetto etnico. Con questa mostra si offre agli occhi del visitatore una grande installazione composta da oltre
duecento tele dipinte, che disegna un paesaggio, una sorta di mappa sotto un ‘cielo’ bianco. La mostra è allestita nella Chiesa di San Teonisto, le cui spoglie – narra la leggenda – si dice furono portate a Treviso dai cittadini di Altino a seguito della distruzione della loro città. La Chiesa fu costruita nella prima metà del Quattrocento, adiacente a un monastero edificato dalle monache benedettine di Mogliano, che qui si trasferirono, a seguito di un’ordinanza del vescovo, per essere controllate perché si diceva conducessero una vita libertina. Oggi le grate testimoniano il luogo da dove le monache ascoltavano la messa. Essendo per lo più appartenenti a famiglie nobili e facoltose, dalla fine del Cinquecento le monache cominciarono a commissionare grandi tele a illustri pittori dell’epoca, come Pietro Della Vecchia. Nel 1810, con la soppressione degli ordini monastici, voluta da Napoleone Bonaparte, alcuni dipinti furono trafugati e trasferiti alla Direzione Generale della Pubblica Istruzione presso la pinacoteca di Brera, con l’intenzione di destinarli al Louvre. Tra questi, le Nozze di Cana di Paolo Veronese, Benedetto Caliari e bottega, ora a Montecitorio, e il Martirio dei Santi Teonisto, Tabra e Tabrata di Palma il Giovane, ancora conservata nei depositi della Pinacoteca di Brera. È in corso d’opera un progetto per sostituire le tele mancanti nella chiesa con delle opere di un contemporaneo che probabilmente vedrà la luce in autunno. L’ambiente è attualmente di impianto settecentesco con la particolarità che il soffitto è crollato dopo i bombardamenti delle due Guerre mondiali che hanno danneggiato l’edificio ma il restauro conservativo di Tobia Scarpa ha lasciato la lettura degli affreschi non più recuperabili con una linea irregolare che delinea lo spazio attualmente bianco della copertura. In tal modo quel mosaico che si disegna a terra crea una suggestione particolare anche per l’illuminazione realizzata ad hoc per l’esposizione con tanti elementi che costituiscono come un soffitto impalpabile di luce. Per rendere poi versatile lo spazio della chiesa sotto il pavimento sono state inserite delle tribune reclinabili che, all’occorrenza, possono configurarsi come auditorium.
L’installazione si configura come un paesaggio composto da diverse esperienze ed espressioni, che non esclude nessuno, ma neppure nega la possibilità di auto-escludersi. La collezione si è concentrata sulla tradizione pittorica del deserto centrale e occidentale che evidenzia la pittura con la tecnica dei ‘puntini’, realizzata stando per terra, che si propone qui come una reinterpretazione della tradizione e della memoria, legata all’arte del body painting cerimoniale. Ma la collezione, come ciò che viene messo a fuoco da un telescopio, rende visibile al pubblico italiano solo una porzione della bellezza e della rilevanza del paesaggio culturale di cui fanno esperienza le comunità aborigene in tutta l’Australia. Con questa installazione Harding invita a esplorare anche territori sociali e politici, e fa comprendere che c’è ancora molto da conoscere. L’inclusività si associa dunque alla celebrazione dei singoli artisti e alle opere di grande formato si affiancano delle piccole tele di 10X12 centimetri commissionate, collezione della Fondazione Imago Mundi, creando un affresco di questo tipo di arte che sta riscuotendo molto interesse.
a cura di Ilaria Guidantoni