Isola delle Falcole è un progetto nato nel 2015 da Emanuele Graetz, figlio d’arte insieme ai due soci, Alessandro Mannelli e Niccolò Righini, che si è innamorato del posto, tra Panzano e Montefioralle con i vigneti esposti a sud-sud est con un’altitudine compresa tra i 400 e i 520 metri sul livello del mare, nel cuore del Chianti e dove ha trovato un genius loci che intende rispettare quanto più possibile. Lavorare nel solco della tradizione è infatti una scelta e una scommessa per questo giovane dalla storia complessa che da sempre ama disegnare.
A Isola delle Falcole non si arriva per caso, qui dove anche Google Maps fatica, e anche il posizionamento racconta la filosofia dell’azienda, una piccola produzione con grandi ambizioni che vuol essere al riparo dalle mode. Colpisce certamente il nome e la presentazione delle bottiglie le cui etichette raccontano il luogo e il mondo di questa produzione.
Il nome le Falcole, antico, lo si trova nelle mappe storiche, proprio perché qui, data l’altezza elevata, nidificano i falchi, è un omaggio al luogo che è il fulcro di tutto il progetto, quello di produrre da qui ai prossimi 30 anni grandi vini, puri, il Chianti Classico, che possano durare nel tempo. La scelta è una viticoltura che miri alla qualità attraverso un attento uso di prodotti non sistemici, un’estrema selezione in vigna e minuscola produzione.
L’arte è, insieme al lavoro e alla corsa, fonte di benessere per Emanuele Graetz, che sottolinea come il numero tre torni sempre, anche se con essa ha un rapporto contraddittorio perché non vuole cedere alle mode, al binomio troppo facile e diffuso ormai tra vino e arte. Emanuele ha una tradizione familiare nel vino e nell’arte, condividendo il cognome con il cugino Bibi Graetz e insieme la passione per il vino e per l’arte; eppure dallo scoppio della pandemia non ha più disegnato. Il suo tratto resta però nei tre vini, ancora una triade, che produce e che messi l’uno accanto all’altro, formano un quadro che rappresenta l’isola, e precisamente il primo vigneto acquistato.
L’ispirazione viene da una foto scattata in cima al filare: i due filari, che vanno in un’unica direzione al centro del disegno, rappresentano infatti l’amicizia. Un legame forte e basato su valori profondi che è da dove tutto ha avuto inizio. Inoltre le immagini raccontano il ciclo vegetativo con i quattro colori del dipinto: rispettivamente il verde della primavera; il rosso dell’estate; l’arancione dell’autunno; e, infine, il blu dell’inverno a sottolineare come la vigna venga prima di tutto. Così le quattro stagioni dell’annata si compongono sempre come un assolo senza uniformità con le annate precedenti, senza standardizzazione, proprio come l’opera d’arte.
Il progetto nasce dalla passione per l’agricoltura e la storia che accompagna Emanuele fin da piccolo e che ama raccontare.
Israeliano, prima generazione nata in Italia, il nonno era tedesco e la nonna russa, ebrei che fortunatamente ai primi del Novecento si spostarono in Israele evitando poi la tragedia e dove fecero fortuna creando un’azienda di import-export, vendendola poi al neocostituito stato di Israele dopo il 1948. Negli anni Sessanta i nonni, venendo a Firenze in vacanza, si innamorarono delle colline di ulivi che tanto ricordavano il loro Paese; e così, messa ormai da parte una discreta fortuna, il nonno acquistò il Castello di Vincigliata dove si respirava la stratificazione della storia. Tra l’altro il nonno, che morì nel 1986, era appassionato d’arte e aveva anche scritto un libro su Van Gogh.
Fu così che la famiglia Graetz dagli anni Sessanta comincia a produrre vino per lo più vendendolo sfuso alle cooperative e “alleva” artisti come lo zio scultore. L’attività del Castello non spicca il volo anche perché il padre di Emanuele si dedica tutta la vita alla ricerca, diventa psichiatra e segue Erich Fromm, psicologo e psicanalista, che conosce e del quale diventa amico in Messico, lasciando l’azienda di famiglia. Di Fromm, curiosità, il padre di Emanuele tradurrà un libro in ebraico.
E così arriviamo alla terza generazione quella appunto attuale. Emanuele, figlio del secondo matrimonio del padre che lo ha avuto in tarda età e che, rimasto vedovo, sposa sua mamma, laureatasi in Legge a Firenze, nata in Ciociaria, rimane orfano presto. La vita non è semplice e la madre, donna di cultura, lo tiene lontano da una famiglia importante ma anche ingombrante, fin quando alla maggiore età scopre di possedere una parte del Castello di Vincigliata dove comincia ad occuparsi della parte commerciale e di organizzare eventi insieme al cugino Bibi (che poi si trasferirà in una nuova sede e nuovo progetto a Fiesole).
Emanuele coltiva però un sogno, quello di creare una sua produzione, soprattutto perché attraverso l’attività commerciale si innamora della vigna e della cantina. La sua scelta è precisa, riportare il Chianti Classico in auge, dopo che era diventato un vino turistico, soprattutto per stranieri, impoveritosi con la fornitura alle cooperative. Anche qui la storia è protagonista perché il disciplinare di questo vino risale al 1716 ed è un apripista, 150 anni prima della denominazione Barolo e ben 200 anni prima di quella del Brunello. L’assemblaggio originario prevede Sangiovese al 70%, Canaiolo, Ciliegiolo e Colorino, vitigni tipici toscani; e le uve bianche Trebbiano e Malvasia (la prima annata è del 2017 ed esce come Vecchia Vigna IGT Toscana, 6mila bottiglie circa, un blend di Sangiovese 70%, Colorino 10% e un 5% di Canaiolo, Ciliegiolo, Malvasia e Trebbiano affinato 18 mesi in botti grandi e 8 mesi in bottiglia). Oggi il disciplinare ha un paradosso avendo escluso le uve bianche, imponendo il Sangiovese all’80% e lasciando la percentuale restante in libera assegnazione a uve rosse. Così il Chianti autentico non si fregia più della denominazione.
Graetz coltiva il sogno di una denominazione Chianti da realizzare però con uve nere rigorosamente autoctone. Accanto a questa scommessa, Isola delle Falcole, che produce poco più di 10mila bottiglie dai suoi quasi quattro ettari di proprietà, altri due racconti del terroir chiantigiano con una sua personalità. Ogni etichetta è infatti un cru di vigneto, in particolare il Chianti Classico Gran Selezione DOCG (2,600 bottiglie circa) che è un Sangiovese in purezza, affidato 30 mesi in botte grande e 10 mesi in bottiglia, e un Merlot IGT Toscana, Auré (1.200 bottiglie circa), affinato 18 mesi in barrique di rovere francese e 10 mesi in bottiglia.
Come tipologia di Chianti Classico, la Gran Selezione si conferma una scelta lungimirante fatta otto anni fa, che nel corso del tempo ha convinto anche i più scettici dei produttori. Se alla sua introduzione solo 33 temerari si lanciarono nell’avventura, oggi a produrre Chianti Classico Gran Selezione sono 164 aziende con ben 203 etichette in commercio. Una tipologia che ha contribuito a creare un’immagine di alto livello del Chianti Classico, aumentando quello che è il fatturato relativo al settore premium, che comprende anche la Riserva, diventata la parte più importante delle vendite. Tra le novità che saranno introdotte a breve, l’aumento della percentuale minima di Sangiovese, che passa dall’80% al 90%, l’eliminazione di vitigni internazionali negli eventuali uvaggi, lasciando solo vitigni autoctoni, e infine poter scrivere in etichetta una delle nuove Unità Geografiche Aggiuntive. La strada è quella per il Cru sul modello francese.
La filosofia di produzione tiene conto di tre parametri, rispettivamente, la scelta della vigna dove altezza ed esposizione a sud-est che prende il sole del mattino garantiscono insieme alla fermentazione spontanea e la chiarificazione con colla di pesce, senza filtrazione e solfiti al minimo, vini che durano nel tempo; infine la grande selezione delle uve con una produzione misurata sulla pianta. L’obiettivo, seguendo il modello Borgogna, è che il vino sia l’espressione di eleganza, buona acidità e freschezza, rispondendo alla vocazione del luogo, lontano da mode e compromessi, con vini troppo “grassi”, rotondi e ammiccanti per un mercato tipicamente americano, e puntando sul vitigno per il quale l’area è più vocata in modo da competere a livello internazionale.
Chi è Emanuele Graetz
Classe 1989, nasce e cresce a Bagno a Ripoli, Firenze, dove suo nonno aveva acquistato una proprietà sulle colline di Fiesole. Fin da giovane si appassiona al mondo del vino in tutte le sue declinazioni, dalla potatura delle vigne di famiglia, alla vendemmia e poi alla vinificazione in cantina, fino al lato commerciale che lo coinvolge in prima persona, spinto da una forte passione per i mercati d’Oltreoceano. Nel 2015 decide di fare il grande passo e acquista Isola delle Falcole, minuscolo fazzoletto a Panzano. L’anno dopo crea Viteoak Wine Selection, un’azienda che ha lo scopo di rappresentare le eccellenze del vino italiano negli Stati Uniti e in Canada con la rappresentanza di 15 aziende produttive italiane da nord a sud e anche due aziende della Champagne, attività che ha consentito di finanziare il sogno di Isola delle Falcole e anche di affinare la sensibilità sul mercato del vino.
a cura di Mila Fiorentini