Remix dell’album al-Jamilat, la bellezza, della diva libanese Yasmine Hamdan che torna con sonorità avvolgenti e conturbanti, voce sensuale e velata di malinconia, che ci restituisce i suoni di un arabo cantato mediorientale, eppure dotata di grande energia. Nulla a che vedere con la musica ‘classica’ araba, nel senso di quella più nota che si piega alla riconoscibilità immediata dei ritmi e un po’ autoreferenziale. In questo album Yasmine – uscito in Belgio nel 2018 – è in grado di interpretare la propria tradizione con uno spirito e un gusto universale, moderno e di grande ritmo, che guarda al pop rock. Domina una nota struggente che non perde mai la forza anche rabbiosa della grinta della cantautrice, classe 1976, considerata un’icona della musica underground nel mondo arabo.
Molti, fra gli appassionati di world music, ricorderanno le belle avventure sonore di qualche anno fa dei Soapkills, il duo che 1997 à Beyrouth avec Zeid Hamdan – caso straordinario di omonimia, senza alcuna parentela – e che seppe innervare sul tronco spesso della tradizione libanese dosi accorte di trip hop, fragranze pop spesso irresistibili, e molto altro. Dopo la guerra ha piegato il paese e Yasmine Hamdan s’è rifugiata a Parigi dove ha sposato il regista Elie Suleiman (che l’aveva contattata per il suo film Intervention Divine nel 2002). In effetti lascia la capitale libanese una prima volta per Parigi appena dopo due settimane dalla nascita, per Parigi prima poi gli Stati Uniti e altri paesi. Scelta perfetta, perché la capitale francese, almeno per quanto riguarda le “musiche dal mondo” continua a essere luogo d’elezione. Così la sua produzione ha saputo contaminarsi con esperienze e suggestioni diverse che attingono alle diverse tradizioni, quasi un atlante musicale, senza dimenticare l’influenza della musica techno. Il secondo brano non a caso si intitola Café by Acid Arab. Sono 11 le tracce, uscite nella prima versione nel 2017, con una grande cura della vocalità e una produzione meticolosa curata dalla stessa cantautrice con Luke Smith e Leo Abraham, arricchita da collaborazioni prestigiose, ad esempio Steve Shelley dei Sonic Youth e Shahzad Ismaily, ascoltato all’opera con Lou Reed e Laurie Anderson.
Con Jamilat Reprise il passo si fa più ardito, scegliendo di affidare la materia melodico-ritmica del gran disco precedente a una scelta schiera di manipolatori del suono, specialisti nello smontare e rimontare un brano da mille angolature diverse, tra gli altri gli Acid Arab, Greg Bauchau, Shed, Olga Kouklaki. La cosa più interessante, però, è che sia Yasmine Hamdan stessa a remixare se stessa: succede con La Chay, un brano che sull’originale arrivava quasi alla conclusione.
Il vero strumento musicale e protagonista indiscusso, la voce e il tessuto dei brani sembra asciugato, quasi consumato, pare non vivere di vita propria ma solo nel momento in cui la cantante è in scena.
a cura Ilaria Guidantoni