a cura del maestro Filippo Zigante
RIFORME, RIFORME!
Tutti ci chiedono riforme. Da sempre! Non c’è cittadino che non ne auspichi una, non c’è politico che non ne abbia un progetto in tasca, non c’è Stato europeo che non ne chieda una a noi italiani.
Siamo a metà giugno ed il Covid-19 ha rovinato una buona fetta dei programmi televisivi e radiofonici che veniva tradizionalmente dedicata alla tragedia dei giovani che, con il coraggio che contraddistinse i nostri bisnonni sul Carso o sulla Bainsizza, affrontavano la dura prova dell’esame di maturità, con poche materie preselezionate.
Io che mi sono formato ai tempi dell’allora imperante “riforma Gentile”, non ho avuto glorie televisive all’epoca della maturità, che però era basata su tutte le discipline e sui programmi svolti negli ultimi tre anni di liceo.
Ma una “riforma” intervenne a cancellare l’opera di un ministro dal valore indiscusso ma con il torto di aver operato nel ventennio. La nostra maturità politica non era tale da consentirci di discernere il “buono” dal “cattivo” e così menti al Gentile assolutamente non paragonabili corressero l’opera di un uomo di cultura e diedero vita ad un percorso sempre più riduttivo della preparazione dei nostri giovani.
Ma io qui intendo occuparmi di un argomento specifico, anche se più limitato: la formazione musicale.
Due sono gli aspetti del problema.
Il primo è quello della doverosa informazione culturale rivolta a tutti i cittadini. C’è poco da dire al riguardo. Provate a fermare un giovane maturando, e chiedetegli quale delle sinfonie di Brahms o di Mendelssohn preferisce. Nella maggior parte dei casi vi guarderà stranito, e penserà di essersi imbattuto in un alieno. Su questo argomento il discorso finisce qui. Ognuno può trarre le sue conclusioni, che non saranno certo rosee.
E passiamo invece all’altro aspetto, quello della formazione del giovane che intende esercitare la professione di musicista.
I Conservatori di Musica, così come erano concepiti in un passato non molto lontano, erano “scuole atipiche”. Prendevano il ragazzo dopo la licenza elementare e, con un piano di studi differenziato per categoria di disciplina, lo portavano al conseguimento di un diploma. Dai nostri Conservatori, così strutturati, sono usciti fior di musicisti che hanno onorato l’Italia, oltre che professionisti seri che hanno contribuito, con la loro quotidiana attività nelle nostre orchestre, alla diffusione della cultura musicale.
Ma, ad un certo punto, e precisamente nel 1999, si è deciso che il diploma era un titolo troppo modesto, che occorreva il conferimento di una laurea che attestasse, oltre alla capacità specifica nel campo musicale prescelto, anche, ed è certo cosa giusta, una formazione culturale di livello.
Ecco comparire la Legge 508/99 che stabilisce che la formazione musicale di base e intermedia debba essere svolta nelle scuole medie e nei licei ad indirizzo musicale, ed ai Conservatori viene attribuita la fascia superiore di studio, articolata in un triennio ed un biennio.
Se mettiamo il naso appena un po’ fuori dall’Italia vediamo che più o meno le cose stanno allo stesso modo, con qualche differenza però che, purtroppo, risulta significativa.
In Francia, ad esempio, ogni Comune con più di 10.000 abitanti ha un suo “Conservatorio municipale” che fornisce una preparazione che, per analogia, dovrebbe essere quella che spetterebbe alla nostra scuola media ad indirizzo musicale. Il giovane che termina il Conservatorio municipale, dove studia anche discipline dell’area comune, può iscriversi al “Conservatoire Régionale de Musique” che avrà la durata dei nostri licei ed al termine del quale il titolo di studio rilasciato e la sua preparazione gli consentiranno di presentarsi ai concorsi per suonare in orchestra. Coloro che intendono accedere a livelli di formazione superiore potranno sostenere un duro esame d’ammissione al “Conservatoire Supérieur de Musique” di Parigi o di Lione (due soli in tutta la Francia). I fondi che lo Stato francese destina ai due Conservatori superiori di Parigi e Lione equivalgono a quelli che lo Stato italiano destina per tutti i 78 Conservatori italiani.
Dalla descrizione fatta potrete pensare che, sia pure non proprio pedissequamente somiglianti, i due sistemi si equivalgono.
Le cose non stanno proprio così. La riforma è stata solo parzialmente attuata. Pensate che un giovane violinista o clarinettista o praticante di qualsiasi altro strumento, uscendo da un nostro liceo ad indirizzo musicale sia in grado di affrontare la vita professionale, ad esempio, suonando in un’orchestra lirica o sinfonica? Assolutamente no!
Ed ecco allora che i Conservatori italiani arrancano affiancando “vecchio” e “nuovo” ordinamento, assumendosi il compito – normale al tempo in cui era “atipico” – di prendere il ragazzo digiuno di musica e, quasi alla chetichella, portarlo avanti, assicurandogli però la possibilità della “doppia scolarità” con notevoli difficoltà organizzative.
Una commistione inaccettabile tra i due ordinamenti che porta ad una teoricità dell’alta formazione che è ben lontana da quanto sarebbe stato legittimo attendere.
E quando il giovane ha finito il suo complicato percorso formativo, cosa farà? Dove sono i posti di lavoro che lo attendono? Dove sono le orchestre nelle quali la maggior parte di essi dovrebbe legittimamente entrare per guadagnarsi da vivere in modo dignitoso fornendo contemporaneamente un servizio utile alla società?
Mettiamo un’altra volta il naso fuori dall’Italia.
In Germania agiscono 180 orchestre. Non tutte sono eccellenze tipo “Berliner”, ma comunque sono professionali e nel garantire diffusione della cultura assicurano lavoro a tanti professionisti, ivi compresi quelli dell’indotto che gravita attorno ad ogni istituzione. In Italia abbiamo le orchestre delle 14 Fondazioni lirico-sinfoniche più altre 8 orchestre, per un totale di 22 organismi. Fino a qualche anno fa vi erano altre 3 orchestre della RAI, oltre ad altre minori quali l’Orchestra Sinfonica del Friuli Venezia Giulia e l’Orchestra Tito Schipa di Lecce, Istituzioni artistiche, queste ultime, che assicuravano un capillare decentramento sui rispettivi territori regionali. Sono state chiuse. Non c’è bisogno di commento.
Abbiamo subito una pausa forzata in tutti i settori della nostra vita comunitaria.
E’ auspicabile che, con la ripresa, si avviino riforme, ma non solo decantate ed infiocchettate di belle frasi che, giunte al punto finale, non portano a nulla. Decidano, i nostri governanti, di mandare fuori dai confini degli esploratori che, così come Colombo portò indietro piante e spezie allora sconosciute divenute poi di uso comune, ci portino esempi che oggi possono sembrarci originali o stravaganti ma che in breve diverranno “normali”, poiché, credetemi, è la nostra condizione attuale a non essere “normale”.