Andiamo a Genova dove la prima tranche della nuova stagione del Teatro Nazionale si presenta assai interessante e ricca di novità assolute, a partire da La Vida Es Sueno di Calderòn de la Barca messa in scena dall’inglese Declan Donnellan con una compagnia spagnola, poi una versione queer delle Baccanti che parla greco, il debutto di Ugo Dighero nell’Avaro, un testo di Marco Taddei ambientato in città e il ritorno di Lella Costa in una struggente pièce sulla terza età.
Lasciataci alle spalle un’estate infuocata, i tepori dell’autunno invitano alle gite fuori porta che, oltre al nostro prezioso patrimonio artistico e naturale, consentono di conoscere nuovi teatri e assistere a spettacoli che potrebbero anche non fare tappa nella propria città. Dopo il reportage dedicato alla programmazione delle sale milanesi nella prima tranche della nuova stagione (si veda altro articolo di BeBeez), oggi ci spostiamo a Genova che, oltre alla fascinazione del suo mare, offre al visitatore i tesori degli storici palazzi di via Garibaldi e altre ragguardevoli mete, giustamente definita dal Petrarca “La Superba” nella sua migliore accezione.
Caposaldo, oltre al Carlo Felice per la lirica, del teatro di prosa è il Teatro Nazionale di Genova (intitolato a Ivo Chiesa, suo direttore artistico per ben 45 anni, scomparso nel 2000) che gestisce quattro sale, il teatro della Corte, l’Eleonora Duse, il Gustavo Modena (già sede del teatro dell’Archivolto) e la Sala Mercato. Alla guida della direzione artistica troviamo il regista Davide Livermore, il cui incarico è stato da poco rinnovato per altri 5 anni. Sono di altissimo profilo gli artisti che hanno calcato quel palcoscenico, stabilendo spesso una lunga collaborazione con lo Stabile: per citarne solo alcuni, tornando indietro nel tempo, Gilberto Govi, Lina Volonghi, Alberto Lionello, e più di recente, l’indimenticabile Mariangela Melato, Tullio Solenghi, Massimo Lopez e la straordinaria Elisabetta Pozzi, che vedremo dal 23 al 28 aprile, accanto a Solenghi, in I maneggi per maritare una figlia di Niccolò Bacigalupo, già cavallo di battaglia di Govi..
L’apertura della stagione 2023/24 vede l’importante ritorno in Italia del regista inglese Declan Donnellan che dirige una compagnia di attori e attrici spagnoli in La vida es suegno di Pedro Calderòn de la Barca che la pubblicò nel 1635. Tornato alla messa in scena di un classico (tra gli ultimi ci sono stati il Racconto d’inverno di Shakespeare, portato anche sullo schermo nel 2017, e La tragedia del vendicatore di Middleton, visti al Piccolo di Milano), si era già cimentato con il repertorio spagnolo nel 1989 con Fonte Ovejuna di Lope de Vega, coprodotto come tutti i suoi lavori dalla compagnia Cheek by Jowl, di cui è fondatore con il sodale, scenografo e codirettore artistico Nick Ormerod. “E’ un’opera teatrale meravigliosa – afferma Donnellan – scritta in quell’altrettanto meraviglioso periodo che è il Rinascimento, appena poco prima dell’Illuminismo, il tempo di Newton e Cartesio e del razionalismo in cui il mondo era tutto luce e ci dimenticammo dei nostri fantasmi, delle nostre superstizioni e della nostra magia. Un tempo in cui decidemmo che il perturbante e l’inquietante non erano una cosa buona, Un mondo che Shakespeare e Calderon avrebbero trovato insopportabile.” La trama è nota e verte intorno al personaggio del giovane principe Sigismondo, dichiarato morto appena nato e imprigionato in una torre dal padre, il re e astrologo Basilio che, prestando fede a una predizione delle stelle, temeva che il figlio ne avrebbe rovesciato il regno. Dopo aver rivelato questo antefatto all’infanta Estrella e al nipote Astolfo, Basilio decide di sottoporre il figlio a una prova per saggiarne le intenzioni. Gli fa somministrare una pozione a base di oppio e lo trasporta alla reggia, lo fa rivestire con abiti adatti al suo rango nella speranza che quando si risveglierà si comporterà da vero principe: se invece l’esperimento dovesse fallire, tornerà in prigionia. Riuscirà Sigismondo a reprimere la sete di vendetta e rivalsa nei confronti di un padre tanto crudele? Preferiamo non svelare il seguito e l’epilogo per quanti non avessero ancora visto o letto questo dramma che ricordiamo portato in scena nel 2000 anche da Luca Ronconi con Massimo Popolizio e Franco Branciaroli.
“Qui Calderòn – aggiunge il regista – s’interroga sulla natura della vita e della nostra stessa esistenza: sotto questo aspetto è molto simile all’Amleto o all’Edipo. Si torna alla questione dell’esistenza e della non esistenza di cui abbiamo tanta paura. Quest’ultima non è la morte ma qualcosa di molto diverso che s’insinua nell’ombra in molte grandi opere teatrali, sorprendentemente moderne come questa.
Amo mettere in scena questo tipo di testi, assolutamente senza tempo perché i problemi centrali dell’essere umano sono sempre gli stessi. La natura umana non è cambiata da almeno 2.500 anni e credo sia molto improbabile che accada nei tempi a venire. Inoltre, posto di vivere abbastanza a lungo, si finisce per arrivare tutti alla stessa conclusione: la vita non è che un’illusione. Questo è ciò che affascina Calderòn, Shakespeare, Sofocle e Cechov. In questa, come in tutte le opere, quello che m’interessa sono i rapporti tra l’individuo e la sua famiglia, tra l’individuo e lo Stato. Questi flussi vengono portati in primo piano nel testo dello spagnolo che affronta la questione del diritto dello Stato a governarci e l’dea di cosa sia il populismo. Infine, non penso che la grande letteratura o le grandi opere teatrali servano a spiegare cosa significa essere umani: penso invece abbiano tutte a che fare con il porsi delle domande e celebrare i limiti della nostra conoscenza.”
Coprodotta dal Teatro Nazionale di Genova, Cheek by Jowl, Compania Nacionàl de Teatro Clasico e Lazona, La Vida Es Sueno, scene e costumi di Nick Ormerod, con, tra gli interpreti, Alfredo Noval (Sigismondo), Ernesto Arias (Basilio), Manuel Moya (Astolfo) e Irene Serrano (Estrella), debutta il 12 ottobre e resta in scena sino al 15 al teatro Gustavo Modena in versione originale con sottotitoli in italiano.
Proseguendo con le produzioni, c’è quella, ora ripresa, di Via della Maddalena (alla Sala Mercato dal 17 al 29/10), testo di Marco Taddei per la regia di Aleph Viola. E’ la storia di Eugenio, un farmacista rimasto vedovo che torna vivere nei luoghi della sua infanzia, e della figlia adolescente Sara, i cui destini s’incrociano con quelli di un’umanità varia (due donne che sono schiave ma sognano la libertà, un’altra che si compra la felicità a poco a poco, una coppia che non ricorda come ci si ama e due avanzi di società che si aggirano nei vicoli) tra pittoreschi negozi e voci di terre lontane. La messa in scena si serve di canto, danza, recitazione e cinema: due videocamere infatti seguono i personaggi nelle loro avventure, proiettando le immagini su una parete trasparente che prende vita quando gli attori la dipingono con della pittura. Tra gli interpreti lo stesso Taddei, Deniz Ozdogan, Fabio Barone, Elsa Bossi. Scene e costumi di Ruben Esposito.
Frutto di una coproduzione internazionale con il supporto del Ministero greco della Cultura e dello Sport, nell’ambito del Festival dell’Eccellenza Femminile, debutta The Bacchae (alla Sala Mercato il 10 e 11 novembre), rilettura in chiave queer delle Baccanti di Eschilo, una creazione di Elli Papakostantinou, anche regista, Chloe Tzia Kolyri e Kakia Goudeli. Papakostantinou, drammaturga e attivista, che aveva già portato a Genova due suoi lavori, Traces of Antigone ed Eros, della tragedia del dio ibrido mette a fuoco i temi del mito, la politica, la filosofia di genere, avvalendosi di un approccio inedito al testo per invitare il pubblico a una riflessione intorno alla labilità dei confini sociali, geografici, ideologici, epistemologici e linguistici, con l’auspicio di affrontare e sovvertire le opposizioni tra maschile/femminile, umano/bestiale, vita/morte, realtà/finzione. In scena Ariah Lester, anche autore delle musiche, Hara Kotsali, Vasilis Boutsikos, Georgious Iatrou, Aris Papadopoulos e Lito Messini; coreografie di Christophe Béranger e Jonathan Praslas Descours; scene di Maria Panourgia e costumi di Joanna Tsami.
Molto atteso è il debutto dell’attore genovese Ugo Dighero nell’Avaro di Moliere (al teatro Gustavo Modena dal 14 al 26/11), diretto da Luigi Saravo e con l’innovativa traduzione di Letizia Russo. Arpagone non si cura affatto della felicità dei figli Elisa e Cleante pur di non provvedere alla loro dote ma anzi, attraverso matrimoni che loro rifiutano, mira a incrementare il suo patrimonio con le nuove unioni. “L’Avaro – dice il regista – ruota attorno a un tema centrale a cui tutti gli altri si riconnettono: il denaro. Il conflitto tra Arpagone e il suo entourage è il conflitto tra due visioni economiche, una consumistica e una conservativa. Nella nostra contemporaneità in cui vige l’imperativo di far circolare il denaro inseguendo una crescita economica infinita, il gesto immobilista di Arpagone, ossessionato dall’idea di non intaccare le proprie sostanze, suona quasi sovversivo, in opposizione alla tirannia del consumo.” La sua regia ambienta la commedia che rimanda alla dimensione del nostro quotidiano, giostrando elementi temporali diversi, dagli smatphone agli abiti anni settanta, agli spot che tormentano il protagonista, dato che la pubblicità potrebbe indurlo a spendere le sue sostanze. Dighero, già interprete di testi di Dario Fo e Stefano Benni, ha un illustre precedente concittadino in questo ruolo: Paolo Villaggio, Arpagone nel 1996, e in questa nuova sfida ha accanto Mariangeles Torres che interpreta sia il servitore Freccia che la mezzana Frosina. Con loro Cristian Giammarini, Fabio Barone, Stefano Dilauro, Paolo Li Volsi, Elisabetta Mazzullo, Rebecca Redaelli e lo stesso Saravo. Coprodotto con Teatro Stabile di Bolzano, Centro Teatrale Bresciano e Artisti Associati Gorizia, musiche di Paolo Silvestri, scene e costumi di Lorenzo Russo Rainaldi, L’avaro inizierà il 28/11 a Cordenons una lunga tournée che finirà l’8 marzo a Bologna.
Tra le ospitalità segnaliamo Le nostre anime di notte (al teatro Eleonora Duse dal 3 al 5/11), pièce che il drammaturgo Emanuele Aldovrandi ha tratto dall’omonimo romanzo dell’americano Kent Haruf che racconta la vicenda di Addie e Louis, entrambi vedovi settantenni che si conoscono da anni ma che, pur abitando nei pressi, non si sono mai frequentati. Un giorno Addie fa al vicino una proposta spiazzante: dato che ha difficoltà a prendere sonno, gli chiede di dormire insieme, cosa che non sottintende un’avance erotica ma il semplice desiderio di condividere un’intimità notturna a base di chiacchiere, ricordi e reciproche confidenze. Dopo qualche titubanza, Louis accetta. Superati i primi comprensibili e reciproci imbarazzi, nascerà una bella amicizia o magari qualcosa di più forte nonostante la contrarietà dei figli? Prodotto dal Teatro Carcano di Milano, diretto da Serena Sinigaglia (“Un romanzo straordinario, di quelli che s’incidono nell’anima e le regalano sollievo e fiducia. Niente violenza, niente urla, niente arroganza. Non si sgomita per affermare il proprio diritto a esistere, tutto qui è in punta di piedi, delicato e mite.”), interpretato da Lella Costa e Elia Schilton, entrambi assai bravi nel costruire un’alchimia fatta di sfumature, sguardi e retropensieri; scene di Andrea Belli, costumi di Emanuela Dall’Aglio e scelte musicali di Sandra Zoccolan.
Infine, per chi oltre al teatro ama anche l’arte, a Genova è in corso la mostra di Letizia Battaglia (a Palazzo Ducale sino all’1/11) ed è imminente quella su Artemisia Gentileschi (stessa sede, nell’Appartamento del Doge dal 16/11).
a cura di Mario Cervio Gualersi