
La forma delle parole è una mostra personale dell’artista veneto, originario del Cadore, al quale è molto legato, Stefano Mario Zatti, a cura Robert Philips e Matilde Nuzzo, fino al 26 febbraio 2023 all’Atipografia di Arzignano, in provincia di Vicenza. Bebeez.it è stata invitata per l’anteprima stampa in questo spazio di archeologia industriale recuperato, grazie al progetto dello studio AMAA: là dove c’era una tipografia – impegnata ad esempio con Neri Pozza nel settore dei libri d’arte – ora c’è uno spazio contemporaneo che nella ristrutturazione ha conservato la leggibilità della grammatica storica, inserendosi nel tessuto urbano con un’interpretazione rinascimentale dell’architettura. La mostra, che apre il programma del 2023 di Atipografia, esplora parte del percorso artistico di Stefano Mario Zatti proponendo nuove e diverse chiavi di lettura della sua opera. Da artista di grande potenza rappresentativa, Zatti approfondisce ogni componente della sua interiorità, restituendone una forma visibile e superando la banalità della sola rappresentazione fattuale della percezione quotidiana per

spingersi oltre le barriere del concettuale e facendosi interprete cosciente, con assoluta integrità e sincerità, di quegli schemi reconditi che stanno alla base di ogni rappresentazione artistica. Il suo percorso è centrato sul tema dei nomi e del nominare come un abbraccio all’umanità grazie alla quale lo stesso Dio si manifesta. Dare il nome alle cose significa connotarle, ovvero conoscerle, numerarle, dando un ordine al caos della vita e in questo senso le lingue e la parola sono ‘una messa a terra’ nel momento in cui diventano segno come ci ha raccontato l’artista. La continuità nel suo lavoro anche in termini di manualità artistica tra disegno e parola è nel segno grafico. La parola non è sic et simpliciter inserita nella tela ma facendosi materia si svuota del suo significato più squisitamente linguistico-letterario e diventa vita, carnalità. Più che un riferimento ai padri della poesia visiva c’è un riferimento storico, rinascimentale all’unità delle arti e al disegno nel senso universale. Fil rouge ricerca artistica di Zatti il sacro al di là delle religioni e allo stesso tempo inclusivo delle espressioni più diverse della religiosità e spiritualità compresa la magia popolare. Dietro la sua rappresentazione che si declina in una forma di enciclopedia personale, di abaco dell’inconscio, contenuta nei suoi libretti fittamente scritti al limite dell’indecifrabile, un lungo studio che diventa uno strumento di rappresentazione del verosimile, una sorta di illusione consapevole legata com’è, indissolubilmente, alle suggestioni quotidiane dei concetti che stanno alla base dell’elaborazione del piacere estetico del lavoro dell’artista.
Le sue parole sono infatti ombre che occupano piccoli ritagli all’interno di uno spazio assoluto collocati in contesti volutamente silenti e, a tratti, inquieti e oscuri. Non ritratti o fisionomie isolate nel grigiore di una tela, ma parole o gesti artistici a cui guardare con la consapevolezza delle azioni evocate, piccole tessere che divengono emblemi di

un oggetto relazionale, in un processo che non è più soltanto dramma personale, ma viene generalizzato, filtrato dalla distanza fisica ed emotiva dove il paesaggio della rappresentazione viene circoscritto e, apparentemente, soffocato dentro il perimetro delle opere. Le opere esposte sono accompagnate da un catalogo, uno scritto – numerato e quindi ogni copia un unicum, stampato dalla Tipografia Neri di Bologna – che racconta, in forma poetica ma anche critica, le complesse interazioni che portano alla genesi delle opere dell’artista, mostrando frammenti di memorie che riaffiorano, luoghi dimenticati, ricordi lontani che sono restituiti al lettore come metafore di un percorso difficilmente raccontabile con altri mezzi, pensato e redatto in forma di colloquio a più voci tra l’artista, Elena Dal Molin fondatrice di Atipografia, un’alfa privativa che rafforza il senso dell’incidere e i curatori dell’esposizione con un accostamento tra opere, indicazioni critiche e associazioni emozionali tratte da testi poetici.
Il percorso
Incontriamo per prime le Sindoni, quasi reperti archeologici perché risultati del lavoro di ‘corruzione’ che la natura opera su lenzuoli lasciati dall’artista nelle sue passeggiate nei boschi, alcuni addirittura per cinque anni. Zatti sceglie il luogo come l’interno di alcuni castagni secolari, avvolge il lenzuolo intorno a una pietra, mappa l’opera e pensa al ritorno che è il significato più importante di questa semina. Al momento sono 30 gli ‘abbandoni’ e solo in un caso è stato spostato come se qualcuno se ne fosse preso cura. Ogni ‘abbandono’ e ogni viaggio di ritorno è poi documentato da un reportage fotografico.

Sangue del mio sangue, è l’unica opera colorata, di rosso, dedicata alla primogenita Miriam Celeste, realizzata con inchiostro e vino con 380mila gocce, tante quanti i bambini nati quel giorno. La goccia più grande rappresenta proprio la figlia ed è ottenuta con la sua impronta digitale. Dal flusso delle gocce risulta casualmente una forma di galassia che racconta il progetto creativo dell’artista che non procede con un disegno precostituito.
Così in Esodo celeste, titolo di una fiaba siriana che ha ispirato l’artista e i suoi 100mila fori praticati con un bisturi su un cartoncino, retroilluminato. Il risultato è un manto di stelle nel quale si trasformerebbero i morti secondo la credenza orientale che per l’artista sono in particolare i siriani vittima della carneficina. Nell’opera, molto raffinata, Zatti non perde la matericità della sua arte concettuale, a cominciare dalla pressione dei polpastrelli sul bisturi che ‘periodicamente’ lo avvertiva con vesciche e calli del procedere, invitandolo a contare e numerare i suoi gesti. Arriviamo quindi al Libro della vita con i suoi circa 7 mila nomi di persona in ordine alfabetico dalla a alla z; poi all’Apocalisse di Adamo, testo apocrifo che ispira un’opera sull’epifania; e ancora 99 Nomi, mutuato dall’omonimo libro di Ibn Arabī, dedicato agli attributi di Dio in caratteri cufi, grande pannello di tessuto e specchi di forte suggestione. Tra le altre opere il suo ironico e giocoso Autoritratto dove si rappresenta con una tessera mancante perché non si vede o forse perché gli altri non lo vedono – non sono in grado o non vogliono vederlo – e una serie di disegni, dove la scrittura si perde nel suo senso tradizionale come in una sorta di ‘fiore’ che rappresenta la serie di Fibonacci o in un grande cerchio dedicato all’Inferno di Dante che è stato trascritto integralmente dall’esterno verso l’interno mimando l’azione e la rappresentazione del Sommo Poeta.

Chi è Stefano Mario Zatti
Classe 1983, nato a Padova, vive in provincia di Venezia. Le sue opere nascono dallo studio delle tradizioni spirituali dell’uomo. È nell’intimità personale che le opere dell’artista trovano la loro origine, per arrivare inaspettatamente a una qualche verità, una radice necessaria. Con il progetto “Riserva Artificiale”, ha partecipato a diverse mostre, tra le quali: 50. Esposizione Internazionale d’Arte della Biennale di Venezia (Venezia, 2003); Emergenze (Fondazione Pistoletto, Biella, Torino, 2004); Empowerment. Cantiere Italia, radiografia dell’Italia che cambia attraverso 60 artisti (Museo d’Arte Contemporanea di Villa Croce, Genova, 2004); Petrologiche (Galleria A+A, Venezia, 2004). Ha successivamente esposto, con il proprio nome, nell’ambito delle collettive Achtung (Accademia di Belle Arti, Vienna, 2006). Dal 2007 la sua ricerca diventa intima e introversa, ma continua. Il risultato è un imponente corpus di lavori suddiviso in 17 mondi che, nel 2016 viene conosciuto da Elena Dal Molin, dando vita ad una prolifica collaborazione che porta prima alla collettiva Tre anni sulla pietra nel 2017 e poi alla sua mostra personale Ecumene nel 2019, entrambe a Atipografia associazione culturale.
Chi è Atipografia
La struttura riapre nel maggio 2022 con spazi completamente rinnovati e con un progetto culturale inedito. L’antica tipografia arzignanese dà vita a un programma che coniuga la dimensione commerciale con la vocazione culturale, attraverso la duplice azione di una associazione culturale e di una galleria commerciale. Questa dimensione ibrida integra e completa il lavoro che Elena Dal Molin ha condotto per anni a sostegno e sviluppo delle arti e degli artisti, dando vita a un crocevia del contemporaneo nel cuore del Nord-Est. La nuova identità si colloca nel segno della prosecuzione di luogo per gli artisti, per le persone e per le idee che da sempre Atipografia ha voluto disegnare. Mentre infatti prosegue l’attività storica dell’Associazione, iniziata nel 2014 come no-profit per residenze d’artista e progetti site-specific, l’apertura della galleria d’arte contemporanea proporrà una nuova stagione di progetti espositivi e una propria scuderia di artisti di diverse generazioni e provenienza geografica.
La mostra personale di Arcangelo Sassolino (1967), Il vuoto senza misura, promossa dall’Associazione, ha inaugurato la riapertura degli spazi rinnovati il 21 maggio scorso; a seguire UNPLUGGED di Mats Bergquist, Gregorio Botta, Mirko Baricchi, Mattia Bosco; e LIMBO INCERTO di Denis Riva.
a cura di Ilaria Guidantoni