Dal 20 al 23 maggio 2021, promosso da Teatro Filodrammatici di Milano con la direzione artistica Mario Cervio Gualersi, torna il Festival “Lecite visioni”, giunto alla IX edizione, un a data significativa, in concomitanza con il nuovo dibattito sui diritti LGBTQ+ in corso nonché sul ruolo civile del teatro, ribadito dal vuoto che la chiusura dello spettacolo ha determinato.
Abbiamo raggiunto Mario Cervio Gualersi – di formazione anglista, ha insegnato a lungo Lingua e letteratura inglese anche a livello universitario; per dedicarsi dalla fine degli anni ’80 al giornalismo e alla critica teatrale, con una lunga collaborazione con Babilonia, prima e Pride, dopo – per ripercorrere il senso di questa rassegna e la sua evoluzione.
Nove anni sono già storia: com’è nata la rassegna e come si è modificata nel tempo?
“L’idea è nata dalla direzione artistica del Teatro Filodrammatici di Milano con la formula allora ironica di “Illecite visioni” che poi l’approvazione della Legge Cirinnà sulle Unioni civili ha cambiato, sempre ironicamente, in “Lecite visioni”. La direzione artistica della rassegna è stata affidata a me fin dall’inizio.”
Allora quale fu il progetto? “Il mio desiderio, condiviso, era di dare uno spazio a lavori teatrali di drammaturgia contemporanea che non figuravano se non come eccezioni nei cartelloni teatrali. A Milano per anni c’è stato un solo teatro che ne ospitava uno o due, diversamente da quanto accadeva nelle capitali europee. In realtà la speranza era che questo festival non avesse, ad un certo punto, più ragione di esistere, almeno in modo tematico. La situazione invece da un certo punto di vista è peggiorata. Nel frattempo tra l’altro sono venuti a mancare festival come “Garofano verde” dopo 24 anni o spazi teatrali come quello di Bologna. Di fatto siamo rimasti l’unica realtà attenta alle problematiche di genere”.
Oneri e onori, certamente una responsabilità. E’ riservato solo ad autori che si riconoscono all’interno dei LGBTQ+?
“Sono le problematiche e le tematiche trattate dai testi ad essere legate all’omosessualità e alle diverse inclinazioni di genere ma né gli autori, né gli interpreti, né il pubblico è circoscritto a priori. Al contrario è un festival moto aperto ed è in tal senso che mi sono adoperato”.
Su cosa punta la rassegna?
“Su opere inedite almeno in ambito milanese, se non in regione e qualche volta, anche a livello nazionale; quest’anno sono tre le opere in anteprima nazionale; sulla ricerca di maggior spazio per la drammaturgia femminile omosessuale o legata comunque a questioni di genere perché meno diffusa e spesso trascurata; la ricerca della qualità registica e interpretativa, senza lasciarsi trasportare dal soggetto, tanto che molte delle nostre anteprime sono poi spesso state inserite nei cartelloni di teatri istituzionali. Infine ho cercato di dare spazio al sud dove, è inutile nasconderlo, spesso la vita per chi non è inserito in modalità tradizionali è più difficile.”
Anche se Napoli fa eccezione in tal senso, sia in termini sociali sia proprio nei lavori artistici.
“Non è un caso infatti che abbiamo avuto ben quattro compagnie provenienti proprio da questa città”.
Qual è il focus del 2021?
“Il filo rosso del viaggio nel tempo per capire come nei diversi momenti storici la sensibilità si è mossa sulle questioni di genere, con alcune sorprese. La storia non è ovviamente lineare, ci sono corsi e ricorsi e alcune situazioni inaspettate. Così si debutta con un testo dell’Ottocento, Gentlemen Anne di Magdalena Barile, diretto e interpretato da Elena Russo Arman: è la storia di Anne Lister, lesbica e protofemminista inglese, che ha l’ardire di sposare un’ereditiera. Ma, più di un secolo dopo, ci immergiamo nella repressione omofoba del regime fascista con Ricino, scritto da Antonio Mocciola e Pasquale Marrazzo che ne firma anche la regia.
In piena Seconda guerra mondiale arriviamo poi nella Napoli del 1943: a combattere i tedeschi ci sono anche i femminielli, protagonisti di La resistenza negata, testo vincitore del Premio Carlo Annoni 2020 di cui l’autore Fortunato Calvino cura la mise-en-espace; mentre l’opera sarà al Campania Teatro festival in estate. Nel Canada degli anni ’80 è invece ambientato A casa con Claude di René-Daniel Dubois, regista Giuseppe Bucci, dove assistiamo al drammatico confronto tra un poliziotto e un seduttivo escort, anche se la scelta di regia ha optato per non caratterizzare eccessivamente il contesto. Eccoci, infine, al nostro presente con Allegro, non troppo, stand-up-comedy ideata da Mariano Lamberti che, con Lorenzo Balducci in scena, mette alla berlina ipocrisie e contraddizioni dei soliti famosi. E siamo così ai giorni nostri”.
Contrapposizioni e dialogo accompagnano da sempre la dialettica sui diritti, tra opposizioni e accoglienza, anche se il teatro promuove per sua natura la fluidità, invocata sempre più dai sostenitori del mondo LGBTQ+: d’altronde il palcoscenico è da sempre il luogo del travestimento, dello scambio dei ruoli e dell’ironia. “Certamente la fluidità è un traguardo, chiosa Cervio Gualersi, purché non diventi un fenomeno di moda”.
a cura di Ilaria Guidantoni