Un dialogo nel tempo dell’arte che è sempre contemporanea e aperta al pubblico, questo l’intento dell’imprenditore Luigi Carlon che in 55 anni ha raccolto una superba collezione, scegliendo nell’ottobre del 2021 di trasferirla a Palazzo Maffei, nel cuore di Verona, in piazza delle Erbe che chiude con l’imponente facciata barocca.
Vale un viaggio, davvero, come scrive Beba Marsano nell’omonimo libro (edito da Cinquesensi) recentemente pubblicato e raccontato da BeBeez (si veda altro articolo di BeBeez). Siamo così andati a scoprire un gioiello ancora troppo poco noto, un palazzo il cui corpo più antico fu edificato nel tardo medioevo nell’area del Capitolium, il complesso votivo dedicato alla Triade Capitolina costruito in epoca repubblicana, quando Verona divenne Municipio romano nel 49 a.C. e le cui fondamenta perfettamente conservate sono tutt’oggi visibili.
L’edificio, così come oggi ci appare, è frutto di un imponente lavoro di ampliamento eseguito nel corso del Seicento da Marcantonio e Rolandino Maffei, banchieri, la cui attività di cambio si era sviluppata proprio accanto a Piazza delle Erbe, all’epoca anche nota come piazza grande. Dai documenti si evince che i lavori dovettero iniziare all’incirca verso il 1626, anno in cui zio e nipote inviano una supplica al Consiglio comunale per sollecitare l’approvazione di un intervento edilizio nella loro dimora, che evidentemente versa in cattive condizioni.
La collezione con oltre 500 opere, tra cui dipinti, una ventina di sculture, disegni e un’importante selezione di oggetti d’arte applicata – mobili d’epoca, vetri antichi, ceramiche rinascimentali e maioliche sei-settecentesche, ma anche argenti, avori, manufatti lignei, pezzi d’arte orientale, rari volumi, allestiti in XXVIII sale, decorate con strucchi e affreschi nasce da una passione, cominciata con un’empatia e un’attrazione spontanee perché Carlon non era stato orientato alla cultura politica.
Il punto di partenza del suo cammino sono gli anni Sessanta che segnano lo spartiacque tra moderno e contemporaneo, per continuare poi, camminando nella città e frequentando galleristi, con i mobili antichi, le porcellane di Limoges ma anche il mondo delle ‘cineserie’. Nasce così l’idea di un’esposizione ambientata che nel piano nobile rifletta l’intimità di una casa dove l’antico, il moderno e il contemporaneo si accostino in un dialogo non programmatico, dai fondi oro al Duemila. Ne risulta uno scrigno di grande ricchezza proprio per il calore e il senso del vissuto che non è sempre necessariamente ‘perfetto’: questa la risposta del progetto museografico di Gabriella Belli e il progetto allestitivo di Baldessarri e Baldessarri, con contributi scientifici di Valerio Terraroli ed Enrico Maria Guzzo.
Particolarmente importante la selezione nell’ambito dei contemporanei, concentrati al secondo piano, il filone del Futurismo che riunisce i più grandi esponenti da Gino Severini a Boccioni e Balla presente con un’opera del 1912 che Carlon definisce straordinaria per la propria modernità. Grande spazio anche al Cubismo e proprio l’opera di Picasso è quella alla quale il collezionista non vorrebbe mai rinunciare; accanto a Duchamp in mostra con una sola opera simbolo del suo lavoro e della portata della rivoluzione introdotta nel modo di fare arte. Notevole il rilievo dato a Giorgio De Chirico e la sua Metafisica così come agli innovatori del Dopoguerra da Fontana a Burri e Manzoni.
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La visita comincia con un imponente scalone a chiocciola di accesso al piano nobile dove l’atmosfera è appunto quella di una dimora privata, dalla quale si godono gli affaccia sulla città e ci accoglie con un fondo oro.
La seconda sala, Mirabilia, richiama il senso di una Wunderkammer e di una sintesi tra le arti, con nuclei tematici d’arte antica in cui irrompe all’improvviso il dialogo con la modernità. Qui appunto il Secondo Maestro di San Zeno, fondamentale per lo studio della pittura del trecento a Verona dialoga con la modernità e in particolare con il Concetto spaziale di Lucio Fontana che nell’estrema sintesi di due tagli su sfondo rosso mostra il linguaggio della modernità. Una grande sala con scrigni e dipinti di diverse epoche si apre sulla piazza sottostante per introdurci in una serie di salotti a tema.
C’è la sala dedicata a Verona con una vista sull’Adige di Gaspar Van Wittel noto in Italia come il Vanvitelli e il salotto blu con uno splendido mobile cinese in lacca rossa, un lavoro di Sanfilippo e ancora il ritratto di Donna Florio di Giovanni Boldini circondato tra gli altri da un quadro di piccole dimensioni di manifattura fiorentina con la tecnica del Commesso fiorentino. In un’altra sala un cuore ferito di Maurizio Cattelan è la risposta contemporanea all’amore ferito di Giulietta; mentre un angolo è dedicato alla pittura giapponese con dipinti di Hiroshige e Hokusai.
Nella seconda parte, dedicata al Novecento e all’arte contemporanea, si è voluta invece creare una vera e propria galleria museale, in cui spiccano molti capolavori, si scorge, come accennato, alla passione per il Futurismo e la Metafisica che vede accostati i due fratelli Giorgio De Chirico e Alberto Savinio e s’incontrano alcuni dei massimi artisti del XX secolo, quali tra gli altri Gino Severini, René Paresce, Felice Casorati e Giorgio Morandi accanto a un’opera splendida, La finestra aperta di René Magritte, Max Ernst e ancora Afro, Emilio Vedova, Alberto Burri, lo scultore Leoncillo Leonardi, Tancredi, Gino De Dominicis, Piero Manzoni, fino ai più contemporanei come la spazialità di Eliseo Mattiacci che in qualche modo con il suo anelito cosmico prepara, anche se lontano per età, al momento finale, la Project Room dell’artista olandese Daan Roosegaarde con Lotus Maffei, un fiore metallico che si dischiude con una raffinata tecnologia, e che mostra in una prospettiva di fiducia la forza della vita nonostante tutto e oltre tutto: il simbolo della stessa si è adattato ai cambiamenti della natura, tanto che è diventato metallico eppure a suo modo profumerà.
a cura di Ilaria Guidantoni
video a cura di Giuseppe Joh Capozzolo