La Sardegna con le sue peculiarità artistiche a Milano, le sue regine, ma anche i suoi re in una mostra, a cura di Efisio Carbone, già direttore del MACC – Museo d’Arte Contemporanea e Galleria di Mangiabarche di Calasetta e ora del Museo delle tradizioni di Nuoro, allestita fino al 20 maggio negli spazi della Galleria Giovanni Bonelli di Milano nel quartiere Isola. L’iniziativa nasce da un’idea di Giovanni Bonelli dopo un viaggio in Sardegna che gli lascia addosso la voglia di scoprire quest’isola misteriosa e una visita ad una mostra poco visitata, dedicata alle Reinas durante il confinamento, allestita al Museo Ettore Fico di Torno nel 2020, che indagava la produzione di quattro artiste: Zaza Calzia, Maria Lai, Lalla Lussu e Rosanna Rossi. Così Bonelli sceglie di riproporre il soggetto femminile proprio della società matriarcale sarda unendo alle artiste Maria Lai, Rosanna Rossi, Lalla Lusso e Zaza Calzia, dei re e lavorando in particolare su tre figure in qualche modo intrecciate tra di loro anche per aspetti biografici, rispettivamente Costantino Nivòla, Salvatore Fancello e Pintori che è stato direttore marketing della Olivetti allestendo lo spazio a New York, importanti ma forse non
abbastanza noti per varie ragioni e anche perché la Sardegna è rimasta isolata e i suoi artisti hanno fatto base a Roma invece che a Milano. Il titolo è mutuato dal dialetto sardo influenzato dalla lingua spagnola e vuole insistere su un elemento e uno spirito autoctoni. Nel Sulcis Iglesiente, nella parte sud occidentale della Sardegna, a Villamassargia, esiste un orto secolare di ulivi innestati dagli abitanti tra il 1300 e il 1600 chiamato “S’Ortu Mannu”, l’orto grande. All’interno del parco di oltre tredici ettari, dimorano più di settecento ulivi secolari affidati alle cure delle famiglie del paese; tra di essi campeggia uno degli ulivi più antichi d’Europa chiamato “Sa Reina”, La Regina. Con oltre 16 metri di circonferenza del tronco, le sue chiome verdissime, i rami nodosi, “Sa Reina” sfida il tempo, le stagioni, la storia. Madre, guardiana coraggiosa, difende il territorio e quel poco che resta dell’antico sconfinato dominio.
La mostra Rês e Reinas presenta le opere di alcuni tra i più influenti artisti sardi attivi tra gli anni Trenta del Novecento e i primi anni Duemila. I Rês sono rappresentati da opere di Gaetano Brundu che ha in sé anche
una spinta politica come mostrano le parole in sardo nei disegni; Salvatore Fancello, che muore giovane nel 1941 in Albania in guerra e che mostra una grande abilità espressiva in disegni per certi aspetti ingenui, fumettistici, per bambini preparatori alle ceramiche, di grande qualità con l’elemento animale protagonista; Costantino Nivola, forse il più noto – una sua installazione a Pietrasanta dove Bonelli ha una galleria e un’attività vivace – che sposando un ebrea ne 1939 lascia l’Italia per Parigi e poi New York in mostra con una bella scultura in marmo dalle forme femminili; Antonello Ottonello che racconta con la sua terra e delle garze, dette “tarlatane”, paesaggi vicini, feriti, cuciti o medicati in certo modo dalla natura stessa con spine d’acacia; e Pinuccio Sciola a completare uno sguardo sui principali attori della ricerca artistica in Sardegna dal Dopoguerra alla fine del XX secolo. Quest’ultimo inizia richiamandosi alla figurazione tradizionale, statuine che possono ricordare personaggi del presepe locale ed evolvendosi poi in realizzazioni astratte con le “pietre sonore” che suonava appunto con la pietra in performance e che sono raccolte nel Giardino sonoro a San
Sperate a pochi chilometri da Cagliari L’esposizione vuole svelare al visitatore inusitate esperienze di ricerca che restituiscono il senso di un territorio – la Sardegna – aggiornato, distante dagli stereotipi più comuni, dove “isola” non è isolamento quanto crocevia di incontri nel quale i sottili rimandi tra passato e presente sono più chiari, forse meno disturbati dal rumore della contemporaneità. Nel percorso della mostra ci si può immergere nella spiritualità di Lai con le sue trame tessute e una splendida opera allegoria di Dafne; cogliere l’ironia giocosa di Calzia; o venire sorpreso dai colori solari di Lussu; o dalle trame finissime che restituiscono un quasi-monocromo di Rossi.
Chi sono
Gaetano Brundu, nato a Cagliari nel 1936 dov’è morto nel 2015, fin da giovanissimo si avvicina alla pittura da autodidatta ed entra a far parte del gruppo “Studio58”. La sua prima opera del 1959 era costituita da sacchi tagliati che
risentivano fortemente dell’influenza delle ricerche di Burri e di Fontana. Negli anni a seguire la sua tavolozza si arricchirà di colori caldi e di tutto un alfabeto colorato di esclamazioni, segni archetipici, molto vicini alle contemporanee ricerche di Kounellis. Tra il 1965 e il 1967 si trasferisce a Parigi dove affinerà la sua tecnica pittorica. Rientrato in Italia si dedica sempre di più a interventi performativi -del tutto sconosciuti nel panorama sardo. Queste sperimentazioni proseguirono anche gli anni successivi con un sempre maggiore coinvolgimento del pubblico, spettatore attivo ormai dentro operazioni performative definibili come happening che saranno accolte dal movimento Plexus, spazio sperimentale di arte e scienza, che traghetta un nutrito gruppo di artisti internazionali tra la Sardegna e gli Stati Uniti lungo tutti gli Anni ’80 incoraggiando Gaetano ad interessarsi alle nuove tecnologie.
Zaza Calzia
Nata a Cagliari nel 1932, vive e lavora a Roma. Compiuti gli studi presso l’istituto Statale d’Arte di Sassari fondò il gruppo “A” che rivendicava l’uso del linguaggio informale che presto Calzia declinò da una componente pittorico-gestuale – prevalente negli Anni ’60 – al collage, sotto l’ala protettrice dell’allora direttore dell’Istituto d’arte Mauro Manca. Dal 1970 si stabilì a Roma e, nel 1987, i suoi papier collé vennero presentati per la prima volta alla Galleria l’Ariete. Da allora hanno costituito la base del linguaggio formale di Calzia che, combinandoli con la pittura, li ha usati per costruire piani e spazi in movimento. Le lettere infatti sono qui ridotte a puro segno che costringe l’occhio a viaggiare sulla superficie dell’opera con ritmi serrati che solo a partire dagli Anni 2000 diventano più rarefatti.
Salvatore Fancello
Nato a Dorgali nel 1916, vi muore nel 1941. Precocissimo a tredici anni inizia a lavorare come apprendista nel laboratorio di ceramica di Ciriaco Piras. Nel 1930 vince una borsa di studio e viene a studiare a Monza dove frequenterà i corsi di Arturo Martini, sostituito in seguito da Marino Marini, Pio Semeghini, Edoardo Persico e Giuseppe Pagano. Nel 1931 conoscerà l’artista Costantino Nivola col quale rimarrà legato per tutto il corso della sua breve vita. La sua ricerca lo porterà ad elaborare un personalissimo linguaggio che riportò prima su carta e poi attraverso la ceramica, rivoluzionando l’iconografia dei manufatti sardi: stilizzazioni rapide, secondo moduli geometrici – ripresi dal ricamo e dalla cestineria tradizionali – di animali, uomini e donne immersi in mondi arcadici; scene di danza, di caccia e di vita quotidiana dai quali traspira il segreto perduto di un’armonia universale, dono della natura benigna oggi irrimediabilmente sconvolta dalla mano umana. Nel 1936 partecipa alla VI Triennale di Milano con piastrelle ceramiche raffiguranti i mesi e i segni zodiacali, un mosaico firmato con Nivola e numerosi vasi. Sempre nello stesso anno si trasferisce a Milano con Nivola e Pintori dove frequenta l’ambiente razionalista. Nel 1937 espone alla Mostra del Tessile a Roma e realizza alcune installazioni per l’Olivetti a Milano, affiancando ancora una volta Pintori e Nivola. Nel 1940 espone alla VII Triennale di Milano e su incarico di Pagano lavora alle decorazioni ceramiche per la sala mensa della Bocconi. Esegue un nucleo di disegni a graffito e ai primi di gennaio del 1941 è chiamato a raggiungere il reggimento di Ivrea e a fine mese parte per il fronte albanese. Morirà a Bregu Rapit il 12 marzo 1941 all’età di ventiquattro anni.
Maria Lai
Nata a Ulassai nel 1919, dov’è morta nel 2013, considerata come una delle più importanti figure di riferimento per l’arte femminile in Italia, ha trascorso la sua vita tra la Sardegna, Roma (dal 1939 al 1943) e Venezia (dal 1943 al 1945) dove frequenta l’Accademia di belle arti e ha come professore Arturo Marini. Dal 1945 rientrerà in Sardegna ma nel 1956 ritorna a Roma dove viene notata e invitata a esporre i suoi lavori alla Quadriennale. Tra il 1957 e il 1961 si susseguono mostre e riconoscimenti ma poi Lai decide di ritirarsi e rinuncerà a esporre per dieci anni, senza per questo smettere di produrre ma, anzi, dedicandosi completamente al lavoro di ricerca. Il silenzio espositivo si interromperà nel 1971 quando verranno presentati a Roma, nella galleria Schneider, i suoi primi telai. Da quel momento la carriera espositiva riprende a pieno ritmo e nel 1978 sarà presente alla Biennale di Venezia nella collettiva Materializzazione del linguaggio. Oltre ai lavori cuciti, al disegno e alla pittura, al teatro e alla performance, Maria Lai si è dedicata ad installazioni site-specific. Sul territorio sardo l’azione collettiva realizzata nel 1981 nel suo paese natale intitolata Legarsi alla montagna la renderà celebre internazionalmente. Oltre ai numerosi interventi teatrali a cui collaborò attivamente e alle mostre sul territorio sardo, ricordiamo tra le mostre più importanti in istituzioni di livello internazionale che l’hanno vista coinvolta: la Biennale di Venezia (1978, 2013, 2017); il MAN di Nuoro (2003, 2014); Palazzo Grassi, Venezia (2003, poi riproposta nel 2008 al Museum of Contemporary Art di Chicago); la GNAM di Roma (2003); il MUSMA di Matera (2014); la Documenta di Kassel e Atene (2017); Palazzo Pitti, Firenze (2018); MAXXI di Roma (2019).
Lalla Lussu
Cagliaritana, è nata nel 1953 e morta nel 2020. Laureata in storia dell’arte con una tesi sull’artista Enrico Castellani, proseguirà il suo percorso di studi e perfezionamento in Germania dove, nel 1989, seguirà le lezioni di Jörg Immendorf. La sua attività espositiva inizia, non ancora trentenne, alla fine degli Anni ’70 e proseguirà poi sia a Cagliari che in altre città italiane come Roma, Milano, Venezia. La sua ricerca ha come punto di partenza la natura, indagata con varie tecniche anche se, dai primi anni Duemila, si concentra sull’acquerello che utilizzerà anche per installazioni ambientali di grande formato. La sua pratica è di natura processuale e si basa sull’applicazione del colore direttamente sui supporti, lino o juta, che vengono successivamente “lavorati” -piegati, plissettati – per renderli mossi e tridimensionali. Inoltre spesso le opere non sono disposte a parete ma all’interno dello spazio in modo da poter essere fruite da tutte le direzioni, in maniera scultorea. A questo tipo di lavoro – che prenderà il nome di Cortecce – si dedica a partire dal 2012. In mostra, oltre a queste, anche le carte degli Anni ’70 e gli acquerelli, sempre su carta, degli anni 2000.
Costantino Nivola
Nato ad Orani nel 1911 è morto a Long Island nel 1988. A quindici anni si trasferisce a Sassari dove sarà apprendista del pittore Mario Delitala. Grazie a una borsa di studio nel 1931 lascia la Sardegna per iscriversi all’ISIA di Monza dove segue gli insegnamenti di Marino Marini e incontra Salvatore Fancello, Giovanni Pintori e tre anni dopo, la sua futura moglie Ruth Guggenheim. Nel 1936 consegue il diploma e partecipa alla VI Triennale di Milano. Grazie a Ruth viene assunto alla Olivetti di Milano dove diventa direttore artistico della sezione grafica. Nel 1937 realizza delle pitture murali per il padiglione italiano all’Exposition Universelle a Parigi. Sposa Ruth nel 1938 e si reca prima a Parigi, dove collabora con gli antifascisti italiani alla rivista Giustizia e Libertà, e poi a New York. Qui a metà degli anni ‘40 stringe amicizia con Le Corbusier e inizia a lavorare con la tecnica del sand-casting, una colata di gesso o cemento sulla sabbia modellata. Nel 1950 terrà la sua prima personale in una galleria di New York e parteciperà alla Quadriennale di Roma. Dal 1954 inizia a insegnare alla Harvard University, Cambridge, pur continuando a scolpire e dipingere per committenti pubblici e privati. Continuerà a lavorare in numerose città americane e italiane. Nel 1988 partecipa alla mostra Tre artisti Italiani alla Collezione Peggy Guggenheim di Venezia. Il museo dedicato al suo lavoro inaugurerà a Orani nel 1995.
Antonello Ottonello
Nato a Cagliari nel 1948, muore nel 2021. Dopo aver frequentato il liceo di Cagliari Ottonello si diploma all’accademia di Roma nel 1974 e inizia a lavorare nel mondo del teatro dedicandosi principalmente alle scenografie e da questa esperienza rimarrà arricchito da una carica vitale e una padronanza nell’uso dei più disparati mezzi per dipingere, scolpire, cucire o anche soltanto inventare una soluzione formale differente rispetto al suo contesto. Le sue prime opere sono infatti le “tarlatane” usate per le scenografie, spesso di dimensioni enormi, che rievocano sipari dai colori accesi. Rientrato in Sardegna dagli Anni ’80 si dedica alla pittura. In questi anni si fanno sempre più urgenti istanze legate al territorio che intensificano riflessioni sugli equilibri tra uomo e natura, le stesse lo porteranno a raccogliere e utilizzare materiali poveri, quali le spine di acacia, fusi con pigmenti naturali, che utilizzerà come elementi simbolici per cucire e sanare tele e carte ferite. Nell’ultimo periodo del suo lavoro tocca i temi dello sfruttamento minerario e dell’emigrazione allora molto sentiti in Sardegna che si risolvono in paesaggi di pietra dalle forme che sembrano assemblate e scolpite dal vento.
Rosanna Rossi
Nata nel 1937, vive e lavora nella sua città natale, Cagliari. Dopo aver studiato a Roma rientra a Cagliari nel 1958 per dedicarsi integralmente all’arte. La sua ricerca si va via via affinando verso una pittura sempre più analitica nella quale raggiungerà una maestria -evidente nel controllo delle linee che compongono le tele sia pittoriche che ad acquerello. Parallelamente a questa ricerca si interesserà, a partire dalla seconda metà degli Anni ’90, alla potenzialità espressiva di nuovi materiali poveri -come pagliette di ferro, guanti di lattice e altri elementi del quotidiano prettamente femminile con i quali creerà assemblaggi scultorei pregni di messaggi di riscatto. Il suo lavoro fu apprezzato da molti critici autorevoli tra i quali ricordiamo: Lea Vergine, Gillo Dorfles, Enrico Crispolti.
Pinuccio Sciola
Nato a San Sperate nel 1942, muore a Cagliari nel 2016. Originario di una famiglia contadina, ebbe l’opportunità di studiare, grazie a una borsa di studio, al liceo artistico di Cagliari e, successivamente, all’accademia di Salisburgo dove segue i corsi di Minguzzi, Kokoschka, Vedova, Marcuse. Durante i suoi numerosi viaggi di studio per l’Europa entra in contatto con varie personalità artistiche tra le quali Giacomo Manzù, Aligi Sassu e Henry Moore e affina sempre più la sua sensibilità scultorea. Negli Anni ’70 viaggia in Messico dove collabora con alcuni dei padri fondatori del muralismo dando vita ad un gemellaggio tra il suo piccolo paese natio e il quartiere popolare di Tepito (Città del Messico). Linee guida per gli artisti che inviterà in Sardegna sono il recupero, la salvaguardia e la valorizzazione delle tradizioni rurali e popolari. Tutta la sua vita è improntata all’attivismo sociale e politico nella sua piccola cittadina che viene gradualmente trasformata in un “paese museo”. Nel 1976 viene invitato alla Biennale di Venezia. Nel 1984 espone alla Rotonda della Besana e in Piazza Affari a Milano e l’anno successivo è alla Quadriennale di Roma. Tra il 1986 e il 1987 una mostra itinerante, costituita da un cospicuo numero di opere, tocca le città più importanti della Germania. Nel 1994 espone una serie di sculture monumentali e installazioni nel parco del castello di Ooidonk in Belgio e due anni dopo nel Palace Trianon di Versailles. Nel 1996 nascono le pietre sonore che saranno esposte per la prima volta al Time Jazz di Berchidda e suonate dal percussionista Pierre Favre. Nel 1997 saranno in mostra nel Parco del Centro Kunst Project a Vienna. Tra il 1998 e il 2000 espone tra la Germania e l’Avana mentre dal 2003 inizia una collaborazione con Renzo Piano per la città della Musica di Roma.
a cura di Ilaria Guidantoni