Straordinario ritratto di uno dei più grandi fotografi del XX secolo, il film racconta la vita di Robert Doisneau, da giovane ragazzo di periferia a superstar della fotografia. Noto per capolavori come Il bacio e per un approccio profondamente umanista, Doisneau è stato definito il più grande ritrattista della felicità umana.
La Fondazione Pistoia Musei ha organizzato la proiezione online del film documentario domenica scorsa 3 maggio, in attesa di riaprire presto la mostra Sebastiao Salgado | Exodus. In cammino sulle strade delle migrazioni, in collaborazione con Wanted Cinema – ufficio stampa Lara Facco – un’occasione che non abbiamo mancato. Lo sguardo è sull’uomo senza piaggeria, sul Flâneur del pavé che adorava le nostalgiche banlieue come le nuove architetture, aveva conosciuto la guerra e il fronte, aveva fatto la resistenza senza parlare ma scegliendo di portare uno sguardo di sensibilità sul mondo. Interessante certamente il personaggio raccontato attraverso lo sguardo delle figlie e della nipote Clémentine Deroudille che ci regala una nutrita iconografia, così come attraverso alcune testimonianze di amici quali Daniel Pennac. Il film svela un mestiere, quello del fotografo, che non esiste più per come l’ha vissuto Roberto Doisneau, andando in giro con la propria macchina fotografica, instancabile lavoratore giorno e notte: reporter di giorno, stampatore, nel bagno di casa di notte, nella residenza familiare di Montrouge, trasformata dalle nipoti in un incredibile archivio.
Una dimensione artigianale e artistica ormai perduta da quando il fotografico è stato contaminato dal digitale. Il film è un affresco della Francia, ben girato, con un ritmo che non inciampa come normalmente il docufilm, né un omaggio lezioso, sposando invece una vena narrativa corale, con un corredo fotografico impeccabile e inquadrature curate. Emerge il profilo di un uomo, rigoroso, discreto, profondamente dedito alla propria famiglia, curioso soprattutto del genere umano. Una vita fatta di incontri, di amicizie profonde, in bianco e nero, estremamente raffinato. Colpisce la sua accettazione per cinque anni di lavorare come dipendente della Renault a fotografare il mondo operaio, per poter sostenere la propria famiglia; la passione per la sua città, Parigi, le periferie, il mercato delle pulci, le ventre de Paris, per usare il titolo del romanzo di Émile Zola. Firma tra l’altro con Blaise Cendrars, un libro sul petit peuple delle periferie, La Banlieue de Paris, immortalando i poemi visuali della rue, e un contratto esclusivo di tre anni con Vogue fotografando l’attualità glamour dell’epoca, i ritratti di personalità, la moda e le cronache aristocratiche di Parigi. Doisneau è anche il fotografo di un’America insolita in un momento in cui tutti la fotografavano come la patria degli hippies.
Doisneau ci sorprende dimostrando di poter fotografare anche a colori e all’estero, una società rarefatta, con un prospettiva architettonica rigorosa e impeccabile, una grande attenzione alla linea retta, della quale coglie l’anima: se Parigi è la città romantica, libera e libertaria del bacio che diventa un manifesto in tutti i sensi, entra nelle camere degli adolescenti, è un simbolo fino al Giappone; in America la gente balla tenendosi alla ‘giusta distanza’. Doisneau è sempre e comunque interessato all’uomo e alla morte, anche se le sue foto pullulano di vita. Era infatti solito dire che una foto, una scattata non è più, e ogni angolo è il ricordo di quello che è morto, il punto dove ha incontrato un amico per l’ultima volta. Uscito in Francia nel 2016 con il titolo Robert Doisneau, le révolté du merveilleux, per la regia di Clementine Deroudille, è interpretato da Clémentine Deroudille, Éric Caravaca, Sabine Azéma, sua grande amica e solo amica, Quentin Bajac, Jean-Claude Carrière. Il film restituisce una figura artistica troppo spesso ridotta alla fotografia di Le Baiser de l’Hôtel de Ville, un’immagine che ha conosciuto un destino fuori dal comune, apparsa inizialmente su Life nel 1950, senza clamore. Negli anni Ottanta acquista però valore di simbolo, quasi un oggetto di merchandising
a cura di Ilaria Guidantoni