La Fondazione Ferrero di Alba, in provincia di Cuneo, presenta Soffiantino. Tra oggetto e indefinito, personale a cura di Luca Beatrice, Michele Bramante, Adriano Olivieri fino 30 giugno 2022. Un’esposizione importante con 60 opere del pittore ed incisore torinese Giacomo Soffiantino (1929-2013), un talento da scoprire, rimasto in disparte, ma di grande talento e con un successo ottenuto come dimostrano le 4 edizioni della Biennale di Venezia alle quali ha partecipato. L’impegno è notevole, come ha sottolineato il Direttore della Fondazione Ferrero Bartolomeo Salomone, a poco più di tre mesi dalla chiusura di un’altra grande mostra, dedicata ad Alberto Burri. L’iniziativa riservata a Soffiantino, ha visto coinvolta anche la figlia Carlotta e l’Archivio dell’artista ancora presso la casa dove c’è ancora l’atelier. Il curatore Luca Beatrice che ha conosciuto Soffiantino ne ha sottolineato il carattere schivo anche se è stato un personaggio
molto presente negli ambienti artistici del capoluogo piemontese percepito come fabbrica, eppure tra gli anni Cinquanta e Sessanta soprattutto, laboratorio di idee e di grande vivacità seppure circondata da un ambiente austero. Il progetto si sviluppa attraverso sette sessioni non rigidamente separate, che anche nell’allestimento appaiono come scansioni, tempi di una stessa partitura dove l’aspetto storico-cronologico si intreccia con le tematiche tipiche dell’arte di Soffiantino. Il viaggio parte dagli Esordi e si snoda attraverso il fil rouge dell’Informale introdotto a Torino da Antoni Tapiès che visse nella città tra il 1956 e il 1977 e che vi fondò, nel 1970, un Centro importante; e la fedeltà alla pittura anche nello stile, nella coerenza di chi ha dichiarato di “dipingere per esistere”. Il punto di partenza è una fotografia e sono proprio le immagini a fare da guida in questo allestimento singolare: quella utilizzata per l’invito a una mostra collettiva alla Galleria La Bussola di Torino che apre il 18 maggio 1963. Il titolo coincide con il nome dei cinque partecipanti: Marco Gastini, Sergio Saroni, Giacomo
Soffiantino, Giorgio Ramella e Piero Ruggeri. I trentenni già con una certa esperienza e notorietà, Soffiantino, Saroni – che poi diventerà un accademico, dirigendo l’Accademia di Torino – e Ruggeri esporranno spesso insieme, un gruppo che resterà unito nel tempo anche se con alcune divergenze. Importante la partecipazione a ben quattro edizioni della Biennale di Venezia, seconda sezione; quindi la Natura, qualificandosi come neo naturalista e non tanto un artista Informale; la Luce altro elemento essenziale della sua arte; l’Esistenza; la Continuità e l’Epilogo. Dell’Esistenza, della vita in generale, è stato un
grande amante malgrado, o forse proprio per questo, tanti suoi temi si sono misurati con la tensione tra vita e morte come dimostra la presenza di teschi e di conchiglie, memori della vita che hanno sostenuto e poi della sua sparizione con una continuità tra organico e inorganico dove la lezione dell’Informale si avverte perché la figura, anche quella umana, è sempre presente ma trasfigurata, non senza forma, ma oltre la forma precisa, realistica, fusa con quella della natura. Altro tema essenziale quello della Luce intesa non solo come fonte esterna ma come sostanza stessa della sua pittura: tre sono gli autori che cita sempre, rispettivamente Monet, Rembrandt – del quale in mostra c’è un omaggio – e Turner. Il focus curatoriale nell’allestimento e nella scelta è sull’immagine più che sui documenti e intende valorizzare l’arte Informale come quella koinè che sviluppa un legame costitutivo per un gruppo di artisti, pur in una lettura personale di questa corrente, a distanza di 15 anni dal suo esordio. La mostra volutamente si concentra sulla pittura anche se è indiscutibile l’importanza di Soffiantino come incisore anche perché ha amato molto quest’arte, oggi meno apprezzata, e la sua stessa pittura ne risente. Come ha raccontato la figlia, ad esempio, amava molto disegnare con la penna biro che è un modo per incidere il foglio e per non poter tornare sui propri passi. Esposte due opere importanti, Il canto messicano, con la quale ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1971, dove un fiore nasce da un teschio, nella precarietà di una vita che sboccia in un ambiente inospitale che sarebbe però estirpata se il fiore fosse colto per essere messo in un ambiente apparentemente più consono; e Estate, con la quale vinse il Premio Biella che permise una produzione in serie con la diffusione della sua opera in una trentina di musei. La raccolta presenta anche opere come Ex voto e L’angolare che evidenziano, al pari della sua attenzione alla pittura, la capacità di disegno e la conoscenza dell’architettura, evidenziando due aspetti della sua arte e della sua personalità, da un lato l’impulsività, l’attrazione per la natura e anche per la sofferenza della storia umana; dall’altra la razionalità, legata forse anche al rigore della sua educazione paterna. Tra l’altro aveva fatto un Istituto tecnico e quindi aveva una preparazione sul disegno di questo tipo e disegnò ad esempio molti padiglioni. Chiude il percorso l’opera dedicata a Giacomo Leopardi, incompiuta perché è morto, nel 2013, che presenta singolari colori accesi, inconsueti nella sua arte. Quanto alla provenienza delle opere, essere provengono dalla GAM di Torino, dalle Gallerie d’Italia, dal Maga di Gallarate, dalla Galleria Civica di Scroppo di Torre Pelice e da una serie di istituzioni importanti. Una piccola sezione è dedicata anche all’Archivio.
a cura di Ilaria Guidantoni