Scambi di persona, intrighi e spunti autobiografici sono gli ingredienti dei Due gemelli veneziani nella messa in scena di Valter Malosti: un’attrice che con lui ha a lungo lavorato, Michela Cescon, si cimenta nella regia di L’attesa, testo di Remo Binosi, mentre a Milano debutta in prima nazionale Le nostre anime di notte diretto da Serena Sinigaglia. Non è semplice raccontare l’intricata trama dei Due gemelli veneziani di Carlo Goldoni, tutta incentrata com’è sugli equivoci scaturiti dalla perfetta somiglianza dei fratelli Zanetto e Tonino che, l’uno da Bergamo e l’altro da Venezia, giungono a Verona spinti da ragioni di cuore e non solo. Se il primo, allevato sulle montagne da uno zio ricco mercante, è decisamente sciocco e credulone, il secondo, cresciuto in laguna, è intelligente e dotato di notevole fascino. Zanetto si trova nella città scaligera per conoscere Rosaura, sua futura sposa nel matrimonio combinato dal di lei padre, dottor Balanzoni, interessato solo al patrimonio del giovanotto, mentre Tonino vuole ritrovare qui l’amata Beatrice con la quale
ha già una tempestosa relazione. Dal momento in cui solo per convenienza quest’ultimo decide di farsi passare per il fratello, innumerevoli sono i colpi di scena, gli inganni e le agnizioni, sino a un finale a metà tragico e a metà lieto. Non meno interessanti sono i personaggi minori, a partire dal signor Pancrazio, un simil Tartufo, che, sotto le finte spoglie di uomo di chiesa, nutre una segreta passione per Rosaura e vorrebbe quindi impedirne le nozze anche a costo di commettere un crimine. Lei è la tipica giovinetta ingenua, in trepida attesa di concedere la sua verginità al miglior partito, l’opposto di Beatrice, donna irruente e motivata solo dalla passione, che con Tonino ha già conosciuto le gioie del sesso. Completano il quadro un saggio e arguto Pulcinella e un arruffone e infoiato Arlecchino. Se quando si menziona questa commedia la mente torna ai due “storici” allestimenti di Luigi Squarzina nel 1963 con Alberto Lionello e di Luca Ronconi nel 2002 con Massimo Popolizio, accanto a loro non sfigura affatto la messa in scena di Valter Malosti, affiancato dalla drammaturga Angela Demattè che ne ha curato l’adattamento. Molto opportunamente il regista ha evidenziato l’aspetto noir della commedia (trame, veleni e omicidi) e le forti pulsioni sessuali che manifestano i personaggi principali, Pancrazio in particolare, giustamente assurto qui al ruolo di co-protagonista. Altro merito è quello di aver attinto ai Memoirés goldoniani per evidenziare alcune similitudini tra la vicenda e le biografia dell’autore. Prodotto da Emilia Romagna Teatro, Teatro Piemonte Europa, Stabile del Veneto e Teatro Metastasio di Prato, lo spettacolo ha per protagonista il bravo ed eclettico Marco Foschi, ma nella replica vista al teatro Carcano di Milano la parte del titolare, fermato da un problema di salute, è stata affidata a Jacopo Squizzato (lo ricordiamo nello Stupro di Lucrezia, da Shakespeare, diretto sempre da Malosti) che ha benissimo superato l’insidioso ostacolo del doppio ruolo, senza mostrare una sola indecisione e guadagnandosi gli applausi del pubblico. Forte della sua esperienza e talento, Dario Nigrelli è un perfido e subdolo Pancrazio, Irene Petris la volitiva Beatrice, Anna Gamba la pudica Rosaura, il poliedrico Marco Manchisi entra nei panni sia di Pulcinella che di Arlecchino e Alessandro Bressanello è il viscido Balanzoni. I due gemelli veneziani è in tournée sino al 13 novembre al teatro Dante Alighieri di Ravenna, dal 17 al 20 al Piccinni di Bari, dal 22 al 24 al Masini di Faenza e il 26 e 27 al Giuseppe Verdi di Pordenone.
Prima di lasciarci prematuramente nel 2002 a soli 53 anni, Remo Binosi, drammaturgo e giornalista, aveva scritto numerosi testi con ottimi riscontri ma quello che nel 1994 lo ha reso famoso è stato L’attesa, interpretato da Elisabetta Pozzi e Maddalena Crippa con grande successo di pubblico e critica. L’intreccio viene datato intorno alla metà del settecento ma la pièce assume una connotazione atemporale tanto che potrebbe essere verosimile anche due secoli dopo. Siamo in una villa nella campagna veneta dove sono recluse e guardate a vista due donne. La contessina Cornelia ha perso la verginità ed è rimasta incinta dopo un occasionale amplesso con uno sconosciuto durante una festa di carnevale in un palazzo veneziano ma è la promessa sposa di un duca che mai accetterebbe una sposa già violata: per questa ragione la famiglia la costringe a passare la gravidanza nascosta col pretesto di essersi ritirata per dedicarsi a lunghi esercizi spirituali. A prendersi cura di lei è la cameriera Rosa, schietta e incolta, a cui è stato affidato (senza farlo sapere a Cornelia) il terribile compito di uccidere il frutto del peccato subito dopo il parto. Durante i gli interminabili 5 mesi i rapporti tra di loro cambieranno radicalmente: dall’iniziale rispetto dei ruoli serva-padrona, le due man mano si aprono alle confidenze e diventano amiche. Scopriamo allora che anche Rosa è incinta e paradossalmente è stato lo stesso uomo a ingravidarle: se per quest’ultima si trattava di un misterioso un cavaliere alloggiato nella locanda dove prestava servizio e di cui ignorava il nome, Cornelia quel nome lo aveva saputo da un’amica subito dopo l’incontro amoroso e si trattava nientemeno che del famigerato Giacomo Casanova! Per non incorrere nelle ire del futuro marito Rosa istruisce la contessina su come produrre del falso sangue che testimoni la deflorazione e tra le due l’intimità cresce sin quasi al punto di sfiorare un approccio erotico. Partoriranno nello stesso momento un maschietto e una femminuccia ma non riveliamo gli accadimenti che seguono quei drammatici momenti: solo al momento di separarsi per sempre Rosa confesserà il suo amore. Ha avuto un’ottima intuizione Michela Cescon, attrice e qui regista, a riportare alla ribalta questo splendido testo, attingendo alla prima stesura dattiloscritta del 1992 che esalta la relazione tra le due donne e rende marginale la presenza di un terzo personaggio, una nutrice, che Cescon ha opportunamente eliminato. Il pregio maggiore della pièce sta nella lingua (divisa tra il veneto di Rosa e l’italiano di Cornelia) che coglie in pieno sensibilità e sfumature prettamente femminili, in dialoghi che parrebbe solo un’altra donna possa aver concepito. Ne sono esempio le descrizioni degli incontri carnali, più pudichi e ammantati di simboli quelli della padrona, realistici e senza censure morali quelli della cameriera, come nella descrizione del mitico membro di Casanova. Non mancano però spunti e riflessioni sulle differenze di classe, la maternità, l’amore, la seduzione e il piacere senza negare alcuni momenti di pura comicità. A dar spessore a questi personaggi servivano due ottime attrici impegnate in un fecondo gioco di squadra e felice è stata la scelta della regista che ha voluto Anna Foglietta e Paola Minaccioni, la prima ricca di registri che alternano collera, disperazione e dolcezza, la seconda divisa tra senso del dovere, empatia e attrazione: una grande prova per entrambe, festeggiate al teatro Carcano dove rimangono in scena sino al 13/11. Il testo dello spettacolo (prodotto da Teatro di Dioniso e Stabile del Veneto) è pubblicato da La nave di Teseo e nel 2000 ne è stato tratto il film Rosa e Cornelia, diretto da Giorgio Treves. La tournée dell’Attesa prosegue il 17 novembre al teatro dell’Unione di Viterbo, il 19 e 20 al Traiano di Civitavecchia, dal 22 al 24 al Galli di Rimini, il 26 e 27 al Petrarca di Arezzo, poi dal 3 al 5 febbraio al Toniolo di Mestre, dal 14 al 19 al Nuovo di Verona, il 7 e 8 marzo al Municipale di Piacenza, dal 10 al 12 al Giuseppe Verdi di Pordenone, il 26 e 27 all’Arena del sole di Bologna e il 4 e 5 aprile al Civico di La Spezia.
La solitudine nella terza età è di certo una condizione più difficile con cui convivere. Quando tra due persone mature nasce un sentimento prima d’amicizia e poi d’amore, spesso la società è ancora impreparata a considerarlo in maniera positiva e incoraggiarlo, arrivando anzi a censurarlo. Due vedovi ultrasettantenni, Addie e Louis, si conoscono da anni ma non si frequentano, sino a quando la donna, tormentata dall’insonnia dopo la morte del marito, chiede a Louis di andare a dormire da lei, senza però alcuna intenzione o prospettiva erotica. L’uomo accetta e nasce così un’intimità notturna fatta di chiacchierate e scambio di ricordi, sensazioni e speranze che non può che sfociare in un’amicizia o forse qualcosa di più forte. Tratto dall’omonimo romanzo di Kent Haruf (pubblicato da NN Editore) Le nostre anime di notte è stato adattato per il palcoscenico da Emanuele Aldrovrandi (uno dei nostri giovani drammaturghi rappresentato anche all’estero), sollecitato dalla regista Serena Sinigaglia. “E’ un romanzo straordinario, di quelli che incidono nell’anima e le regalano sollievo e fiducia. Una storia lieve, sussurrata nella notte. Niente urla, niente violenza, niente arroganza, tutto qui è in punta di piedi, delicata, mite: un vero balsamo per chi si sente stritolato da questo mondo strillone e brutale.” Ad interpretare Addie e Louis la regista ha voluto Lella Costa, sottratta per questa volta ai suoi one woman show e al teatro di narrazione, ed Elia Schilton, diretto in passato da maestri come Luca Ronconi, Carlo Cecchi e Peter Stein con cui ha lavorato nell’Indimenticabile colossal I demoni. Lo spettacolo, con le scene di Andrea Belli e i costumi di Emanuela Dall’Aglio, debutta in prima nazionale il 17 novembre al teatro Carcano di Milano che lo produce e rimane in scena sino al 27, poi Le nostre anime di notte sarà il 6 e 7 dicembre al Bonci di Cesena, il 13 al Palladium di Lecco, dal 16 al 18 al Comunale di Ferrara, dal 3 al 5 febbraio al Manzoni di Monza, il 6 allo Splendor di Aosta, dal 7 al 12 al Sociale di Brescia, il 23 al Galli di Rimini, il 7 marzo al Cristallo di Cesano Boscone, il 15 al Nuovo di Udine, il 18 e 19 al Lac di Lugano, il 28 e 29 al Comunale di Vicenza e dal 31/3 al 2 aprile al Fraschini di Pavia.
a cura di Mario Cervio Gualersi