La mostra si pone l’obiettivo di portare all’interno di un palazzo storico e istituzionale – in quanto sede del Circolo dell’Esercito Italiano e della N.A.T.O. Rapid Deployable Corps Italy – un rumore di fondo, un tramestare, capace di smuovere questo luogo silenzioso. La quiete che si prova entrando nel palazzo è dovuta a vari fattori, non è solo perché poco conosciuto o per la sua particolare configurazione architettonica: più si entra a contatto con questa realtà si capisce che, anche nel suo essere pubblica, rimane comunque privata. È proprio questa relazione, questo confronto, tra pubblico-privato, il tema principe della mostra.
Da settembre 2020 siamo stati ospiti, con voglia di fare e col desiderio di portare elementi della nostra quotidianità all’interno di questo spazio, permettendo alle opere contemporanee di dialogare con il passato, creando un’interazione continua e mai pesante, opprimente. Con le nostre operazioni non si voleva oltrepassare o eliminare l’identità del Palazzo (storica e attuale) e di ognuno di noi (mia e degli altri due artisti, Davide Ausenda e Marco Vignati).
È stato importante per noi artisti entrare in questo luogo, abitarlo in senso attivo. Prima, come già detto, come ospiti curiosi e, successivamente, come inquilini rispettosi. Volevamo conoscere la storia delle sale, della famiglia Cusani, le persone che lavorano all’interno, entrando in relazione con il concetto di “eternità” e di “effimero”, portando una ventata fresca e dinamica, la giovinezza e la spontaneità del vivere – portando sempre la testa sulle spalle.
Davide Ausenda, artista dalle diverse sfumature, parla delle emozioni attraverso installazioni e dipinti, porta il tema dell’infanzia, di come l’essere umano vive i conflitti interiori attraverso la crescita, narra dinamiche complesse della psiche attraverso segni, scritte e numeri, ricercando un alfabeto che lasci destabilizzato lo spettatore e lo porti a riflettere sulla censura mentale di cui è vittima fin dalla giovinezza.
Marco Vignati, nasce come fotografo e diventa qui scultore, realizzando blocchi di cemento ricoperti di foglia oro, affrontando il tema della fragilità della memoria. Distrugge le fotografie, le nasconde, creando così contesti che privano lo spettatore di usufruire dell’immagine originaria.
Io invece proverei a descrivermi così, attraverso la mia stessa interiorizzazione e le parole altrui:
“Sentivo l’esigenza di trovare qualcosa di solo mio per poter dominare una dimensione dall’interno: era essenziale. L’azione, il movimento del segno, la traccia che resta (come passaggio sulla terra, io sono stato e sono qui) e gli odori. La carta, la grafite, i pastelli: indispensabili per i sensi.
Il mio linguaggio esprime un rapporto simbiotico fra corpo e superficie. Mi relaziono alla tela come se fosse un luogo caldo e accogliente, dove giocare e fare l’amore, un luogo sicuro ma allo stesso tempo pieno di imprevisti. È un’avventura danzare attraverso il colore.
Tirare fuori dalle situazioni, dalle persone, dagli oggetti: l’erotismo, è il mio centro. L’erotismo per me è l’origine di un’azione che muove alcuni fattori dell’universo e permette agli esseri umani di vivere intensamente la propria esistenza. Lo esprimo attraverso segni, cromie specifiche, proponendo situazioni oniriche fra il ricordo e il tempo trascorso. Creo un percorso attraverso i gesti e le paste pittoriche, con il desiderio di rivivere sulla mia pelle quel mondo fatto di respiri, fantasie e carne. Sono una persona fisica, passionale, che vive visceralmente il rapporto corpo-tela.
Ho sempre danzato, in modi diversi, liberamente e senza regole; ballare porta a una simbiosi mente-corpo, e per me la pittura ha lo stesso potenziale. Non limito quello che vive nel quadro: lo faccio uscire, la tela non lo confina, può relazionarsi con il resto, l’azione pittorica sopravvive immersa nel mondo.
Lavoro con la tela stesa a terra e per dipingere le giro attorno, ci cammino sopra e spesso mi sporco, ritornando a una dimensione primordiale.
Attraverso la mostra a Palazzo Cusani ho riflettuto maggiormente sull’importanza del corpo e di come esso entri in relazione con il resto, attraverso i segni e le impronte come identità e come effettivo passaggio sulla terra. La mia poetica si fonda sulla sensibilizzazione delle persone nei confronti di tematiche naturali e umane, che ancora oggi non sono accettate, come il rapporto con il proprio corpo, la sessualità, l’intimità (come in Stracciatella I, Titolo mestruale; Stracciatella II o in Corpo Sociale II), elementi che identificano gli esseri umani e la relazione che hanno con gli altri esseri umani. Il mio linguaggio si basa su linee e gesti in movimento, con azioni che richiamano la danza. Elementi alla base della comunicazione, dell’essere umano in quanto essere vivente, riscoprendo il primordiale (come in Corpo Sociale I). “
“[…] Capelli, pittrice, sullo sfondo di campiture libere di colori fluidi, ferisce le tele con gesti pittorici: dispone il disequilibrio, esprimendo la necessità di parlare liberamente di argomenti spesso confusi e mistificati. Unisce le tele, creando uno squarcio e suturandolo con cura, dove s’intravede un orizzonte dell’inatteso senza definirlo. Queste “tele di Maya” amplificano il potere del gesto, che rivendica espressionismi emotivi liberi da condizionamenti […]”
(Trilogia di umanità in un unico atto con azioni poetiche
Testo critico di Jacqueline Ceresoli, mostra Tramestio a Palazzo Cusani)
“[…] La ricerca di Alice Capelli ruota intorno allo strato epidermico, alla dimensione fisica e corporea non solo da un punto di vista puramente biologico e erotico, nella sua sfera si riflettono anche altri aspetti cui la società contemporanea tenta di trovare una definizione. “Richiamo all’ambiguità di genere […] e alla fluidità sia nella componente di identificazione del sé, e identitario sia dal punto di vista puramente tecnico con la pittura acquosa”.
L’atto performativo trova rappresentazione nei lavori su cui restano i segni di un’azione effettiva – come i seni dell’artista in Corpo sociale II – o gli strati di materiale utilizzato nel corso di performance – Corpo sociale I – che diventano un passaggio da attraversare.
Le tele si appoggiano come una seconda pelle alle pareti delle sale in un richiamo cromatico, le nuance sono delicate nei toni neutri della pelle, con pennellate di azzurro (Stracciatella I), e si accendono nel rosso di Titolo mestruale […]”
(Elena Solito
Forme Uniche, 19 giugno 2021)
BIO Alice Capelli classe 1997, Milano.
Dopo aver frequentato il Liceo Artistico di Brera, diplomandosi in Scenografia, si laurea in Pittura all’omonima Accademia di Belle Arti. Gli studi la porteranno ad avvicinarsi tanto alla pittura quanto alla fotografia e alle arti performative, indagando il movimento, il colore e l’interiorità umana.
Il tratto, istintivo e primordiale, trascina in una dimensione altera, abitata da forme celebrative dell’eros i cui andamenti verticali lasciano spazio all’inconscio. Le combinazioni cromatiche, che sembrano innate nell’artista, donano un senso di ebrezza spirituale che, unite alla gestualità, riescono a creare un mondo quasi tangibile.