La mostra che Palazzo Bonaparte ci offre – cinquanta opere tra dipinti, disegni e numerosi lavori su carta raramente esposti, provenienti dal Museo Kröller-Müller di Otterlo che custodisce uno dei più grandi patrimoni delle opere di questo grande pittore – ricostruisce la sua vicenda umana e artistica ma trascende i confini dell’arte di Van Gogh (1853-1890) e ci porta a contatto con Vincent, l’uomo che in 37 anni di vita ha divorato la vita stessa ed è morto suicida. Le sue pennellate ci dicono la sua idea della realtà, riuscendo a trasmettere un mondo interiore carico di sentimenti ed emozioni, spesso al confine con la follia, e uno spaccato di vita del suo tempo che il suo sguardo ci restituisce.
Uno sguardo a volte sereno a volte inquieto e drammatico. Una storia umana tormentata e segnata da insuccessi in tutti quelli che sono considerati gli aspetti importanti di un’esistenza: incapace di crearsi una famiglia, di provvedere al proprio sostentamento e di mantenere dei contatti umani. Solo con il fratello Theo ebbe un rapporto profondo e strettissimo del quale restano le “Lettere”. Come uomo e pittore possedeva una sensibilità estrema e ha saputo rappresentare la realtà anche più umile e semplice in un incessante percorso all’interno della vita, della natura e di se stesso. Il successo arrivò tardi, poté rallegrarsi della vendita di un solo unico quadro pochi mesi prima della sua morte.
E’ grazie a lei, Helene Kröller-Müller, se oggi nel Museo che porta il suo nome è raccolta la seconda collezione più grande al mondo delle opere di Vincent Van Gogh. La prima è ospitata a Amsterdam presso il Van Gogh Museum nato per opera del nipote dell’artista, Vincent Willem figlio del fratello Theo, che crea la Fondazione Vincent van Gogh e conclude un accordo con lo Stato dei Paesi Bassi per costruire il Museo Van Gogh di Amsterdam che aprirà al pubblico nel 1973.
Di Helene per molto tempo si è saputo poco salvo che era la moglie di un ricco imprenditore olandese Anton Kroller e lei stessa figlia di industriali tedeschi. Introdotta alla pittura dal critico d’arte Henk Bremmer tra i primi estimatori di Van Gogh, Helene scopre l’artista olandese che non incontrò mai, ma dal quale restò affascinata per la sua ricerca dell’assoluto, ne comprendeva il senso rivoluzionario di modernità nella pennellata aggressiva con la quale l’artista trasponeva la realtà sulla tela con disperato realismo, e – elemento decisivo – percepiva nei suoi dipinti e nei suoi scritti la propria inquietudine e tormento interiore.
La fede che accomuna Helene e Vincent non è intesa in senso tradizionale ed è fuori dai riti borghesi. Van Gogh si sottrae a un fervore religioso scontato, che infatti non compare nei suoi dipinti, perché preferisce esprimere un sentimento religioso autentico dedicandosi agli esseri umani, alla natura, alla vita e alla fatica di tutti i giorni. Grazie al critico Bremmer, che segnò uno spartiacque nella vita di Helene, la figura e l’opera di Van Gogh, e soprattutto di Vincent, appaiono come il riflesso di una esistenza eroica che attraverso la sofferenza raggiunge la vera spiritualità. Quindi l’arte come esperienza mistica.
Tra il 1907 e il 1939, Helene e il marito Anton Kröller acquistano quasi 11.500 opere d’arte, creando così una delle più grandi collezioni private del Novecento. Helene sognava una “casa museo”, cioè un luogo dove condividere con altri il suo amore per l’arte. Questo spiega l’ampiezza e l’eterogeneità
della raccolta che intende illustrare l’evoluzione artistica dal realismo all’astrazione o idealismo come lei preferiva definirlo, a partire dalla metà dell’Ottocento.
Nella preziosa collezione figurano Jean-François Millet, Jan Weissenbruch, Paul Gabriël, Isaac Israëls, George Breitner, Pierre-Auguste Renoir e Henri Fantin-Latour. Per mostrare l’evoluzione verso l’idealismo Helene acquista dipinti di Odilon Redon, Paul Signac, Georges Seurat e Jan Toorop e poi degli idealisti Pablo Picasso, Juan Gris, Auguste Herbin, Piet Mondrian e Bart van der Leck. Non mancano le opere di Jean Metzinger, Gino Severini e Charley Toorop.
Il suo sogno si realizza nel 1938 quando il Museo Kröller-Müller apre finalmente i battenti.
Parte della collezione erano i novantuno dipinti e i centottanta disegni di Van Gogh da lei acquistati – il primo nel 1908 – e che formavano il nucleo attorno al quale ruotava la collezione di lavori del pittore olandese.
Negli anni di crisi dopo la prima Grande Guerra Helene espose le opere di Van Gogh in Europa e negli Stati Uniti dando voce all’uomo e incrementando la fama dell’artista e il valore delle sue opere.
Il percorso espositivo della Mostra segue un filo conduttore cronologico che passa dall’Olanda a Parigi a Arles, St Remy e Auvers-Sur-Oise e che si dipana in pochi anni di attività artistica, dal 1881 al 1890.
Van Gogh passa dal disegno all’olio dove usa colori scuri che creano un clima denso e ricco di realismo. Dal rapporto con gli scuri paesaggi della giovinezza allo studio del lavoro della terra dal quale scaturiscono figure che vivono in una severa
quotidianità come il seminatore, i raccoglitori di patate, i tessitori, i boscaioli, le donne intente a mansioni domestiche o affaticate a trasportare sacchi di carbone. I volti di questi protagonisti esprimono rassegnazione. Domina in queste opere l’amore per la terra e per l’uomo nel suo faticoso lavoro quotidiano. Ne emerge una idea di spiritualità e di umiltà dove la fatica è un dovere, è intesa come ineluttabile destino e non esiste evoluzione sociale. I rapidi colpi di pennello, quasi tumultuosi, gli spessi tratti di colore spalmato sulla tela quasi a voler penetrare l’immagine, ci parlano della personalità complessa dell’artista e della sua costante ricerca.
Van Gogh guarda ai pittori di Barbizon e a Millet soprattutto, la cui opera “Il Seminatore” lo colpisce e lo influenza fino alla fine della vita. In questa opera Vincent percepisce un sentimento religioso, dove il seminatore è Cristo che semina il verbo tra la gente e vi è un richiamo al suo desiderio di diventare predicatore come lo era stato suo padre.
Nel 1886 Van Gogh si trasferisce a Parigi con la volontà di confrontarsi con il movimento Impressionista e con i giovani pittori Signac, Seurat, Gauguin che, in particolare, per lui rappresenterà una ideale immagine di viaggiatore vagabondo. Vincent assorbe il clima vitale di Parigi e in parte il linguaggio pittorico degli impressionisti.
Cambia la scelta dei soggetti e le nature morte si fanno più luminose, gli accostamenti cromatici più ricchi e come racconta al fratello Theo “…mi servo del colore in maniera più arbitraria, per esprimermi
con maggiore forza”. Durante il soggiorno ad Arles, 1887-1888, i colori, nella luce accecante del sud, assumono ancora un’altra dimensione. Ritorna l’immagine de “Il Seminatore” più volte copiato, modificando la sfera espressiva – come lui stesso commenta – attraverso un uso metafisico del colore. E’ evidente che per Vincent lo studio del colore è sempre associato a una sua interiorizzazione. Nel corso di questi pochi anni di attività, Van Gogh dipinge un enorme numero di autoritratti, oltre quaranta, con il bisogno di lasciare qualcosa di sé e dice al fratello Theo “I ritratti dipinti hanno una vita propria che si origina dall’anima del pittore che nessuna macchina può catturare”. Nella esecuzione degli autoritratti si rafforza il suo interesse per la fisionomia umana. È di questo periodo l’Autoritratto a fondo azzurro con tocchi verdi (1887), realizzato con spesse pennellate verticali e orizzontali, dove l’immagine dell’artista si staglia di tre quarti, lo sguardo penetrante rivolto allo spettatore.
Durante il soggiorno a Saint-Rémy-de-Provence (maggio 1889) Van Gogh subisce il suo primo attacco di follia mentre dipinge nei campi in una giornata di vento. I lunghi ricoveri nell’ospedale psichiatrico di Saint Paul-de-Mausole in Provenza non gli impediscono di continuare a dipingere tra alti e bassi e si domanda se questi ultimi lavori riflettano il suo stato mentale e soprattutto se possano essere proprio le sue creazioni artistiche a scatenare la follia. Nasce “Il giardino dell’ospedale a Saint-Rémy” che assume l’aspetto di un intricato tumulto interiore e il “Burrone” costellato da rocce aguzze che sembra inghiottire ogni speranza e, infine, la rappresentazione di un “Vecchio disperato” (1890) che diviene immagine di una disperazione fatale.
Negli ultimi tre mesi passati a Auvers-sur-Oise si dedica a un gran numero di attività: ritrae persone vicine, modelli
occasionali, dipinge paesaggi e nature morte.
La drammatica vita di Vincent Van Gogh termina qui ma risorgerà sotto forma di fama, notorietà, apprezzamenti in tutto il mondo grazie ad un’altra donna, la cognata Johanna Bongere, la quale, alla morte del marito Theo, circondata da centinaia di quadri, disegni e mucchi di lettere di un artista pressoché sconosciuto, forte anche di una sua ottima formazione culturale, dimostra grande lungimiranza e abilità manageriale. Tornata in Olanda, dal 1891 in avanti, filo dopo filo, tesse contatti e relazioni con critici, pittori e scrittori che possano aiutarla a far conoscere le opere di Vincent. In pochi anni, 1891-1914, organizza moltissime mostre in Olanda e in Germania e pubblica anche il prezioso epistolario tra Vincent e Theo, autentico specchio dell’artista e soprattutto dell’uomo. Alla sua morte nel 1925 il figlio Willem eredita le opere dello zio e il compito di portare a termine il progetto iniziato dalla madre che avrà il suo felice epilogo con l’apertura nel 1973 del Vincent Van Gogh Museum di Amsterdam.
Vincent Van Gogh anima fragile, costantemente alla ricerca di affetto, amicizia, approvazione e amore, a fronte di una vita drammatica, ha trovato in queste due donne Helene e Johanna comprensione e condivisione per spirito e cultura, e grazie al loro sostegno e lavoro ha raggiunto una immensa fama che ha fatto di lui una icona universale.
Helene vedeva nella cultura e nell’arte una spinta alla innovazione, preziosi strumenti di crescita e di sviluppo economico e sociale. E affida all’arte il compito di traghettare la società verso il futuro, espandendo il mondo delle opere oltre il concetto del bello. Se l’arte ha il compito di condurci verso il domani, allora l’artista diventa il mediatore fra i due mondi, dando voce a sentimenti sconosciuti e offrendo al mondo la sua visione del futuro attraverso l’esperienza estetica.
I grandi artisti, come Van Gogh con la sua anima visionaria, hanno la capacità di condividere la bellezza e di rendere universali i valori più comuni.
Roma, Palazzo Bonaparte fino al 26 marzo 2023
La mostra è prodotta da Arthemisia, realizzata in collaborazione con il Kröller-Müller Museum di Otterlo ed è curata da Maria Teresa Benedetti e Francesca Villanti.
La Mostra si avvale del patrocinio del Ministero della cultura, della Regione Lazio, del Comune di Roma – Assessorato alla Cultura – e dell’Ambasciata del Regno dei Paesi Bassi.
a cura di Daniela di Monaco